ROMA – Ancora un libro, appena fresco di stampa, e ancora nuove reazioni per le rivelazioni shock del procuratore antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, che questa volta supera sé stesso documentando con grande coraggio e con elementi reali e incontestabili alla mano come la mafia abbia conquistato ormai anche le grandi città del Nord d’Italia, dove i boss governano da padrini e da padroni assoluti. Una nuova denuncia pubblica, clamorosa e sconcertante.
“Complici e colpevoli” è l’ultimo saggio firmato a quattro mani da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, appena fresco di stampa e che Mondadori Editore (pagine 168, euro 18) lancia martedì 16 novembre in quasi tutte le grandi capitali straniere d’Europa, un libro che apre uno squarcio sconcertante e impressionante su un fenomeno che per lunghi anni in Italia è rimasto sconosciuto e, soprattutto anche, mai indagato per come avrebbe invece dovuto esserlo.
È il racconto documentatissimo e dettagliato, quasi maniacale, dell’assalto delle cosche mafiose a Milano, nel suo hinterland, a Bologna, Parma, Reggio Emilia, e nelle zone più impensabili dello stivale che si estende lungo la catena montana delle Alpi, zone terre e regioni per anni considerate immacolate e incontaminate. E mentre polizia e carabinieri davano la caccia al Sud a piccoli gregari, al Nord invece cresceva indisturbata una nuova classe dirigente di ’Ndrangheta che alla fine ha determinato condizionato e influenzato elezioni politiche di tutti i livelli. Questo e molto altro ancora nel nuovo libro del Procuratore Capo della Repubblica di Catanzaro, che oggi viene considerato uno dei magistrati più a rischio del mondo.
Partiamo da questo passaggio virgolettato che troviamo tra le pagine del libro: «La gente ci descrive come fossimo dei mostri, delle persone senza scrupoli, come se ammazzassimo la gente così a caso. Non è vero. Sappiamo farlo quando serve. Io so essere cattivo, quando serve. Se non serve faccio la persona normale».
Queste parole, pronunciate da un boss calabrese e intercettate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano – spiegano Gratteri e Nicaso –, sono rappresentative della strategia che da almeno sessant’anni le mafie mettono in campo per infiltrarsi in maniera sempre più capillare nel tessuto socio-economico del nostro Paese. È la vecchia lezione accademica che il giudice Nicola Gratteri va ripetendo inascoltato da anni ormai nelle aule e nelle assemblee di decine di istituti scolastici di tutta Italia. Oggi – ripete l’alto magistrato calabrese – la criminalità organizzata non ha più bisogno di sparare, ha acquisito la capacità di muoversi sottotraccia, senza suscitare clamore o allarme, dilagando, apparentemente senza freni.
La verità che Nicola Gratteri ci racconta questa volta supera di molto l’immaginazione collettiva: «In Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, così come in Valle d’Aosta, Liguria e Trentino, le mafie raramente sono giunte con le armi in pugno. Si sono piuttosto presentate con il volto rassicurante di figure professionali in grado di offrire servizi e soluzioni a basso costo, a partire dallo smaltimento dei rifiuti fino a una sorta di welfare di prossimità, più efficace rispetto a quello spesso carente dello Stato».
Come ben evidenziano Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, si tratta di un fenomeno che ormai non si può più ignorare nella sua incontestabile pervasività.
Vi dicevo di un quadro sconcertante, ma soprattutto di grande allarme sociale per il paese intero: «I 46 «locali» di ’ndrangheta finora scoperti al Nord, i 5 consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose e le 169.870 imprese riconducibili a contesti di criminalità organizzata dimostrano che nessuna zona d’Italia può ritenersi impermeabile alla penetrazione dei clan». Ma qui ha pienamente ragione il procuratore Gratteri quando spiega che per troppo tempo si è voluto credere alla “metafora del contagio”, come se le mafie fossero un virus che infettava territori sani. Tutt’altro. Nelle nuove realtà in cui dettano legge, hanno goduto di una lunga e colpevole sottovalutazione da parte sia del mondo imprenditoriale sia di quello politico, che hanno troppo spesso aperto loro le porte finendo per giustificarne la condotta e diventarne consapevoli complici in nome del denaro e del potere. Povera Italia nostra. (giornalistitalia.it)
Pino Nano