ROMA – Non v’è dubbio che la delega sulle intercettazioni, attualmente all’esame della Camera, nasconda un pericolo per il diritto di cronaca. Nel mondo politico, in modo assolutamente trasversale, con parlamentari che si muovono alla luce del sole e altri che agiscono nell’ombra, grande è la voglia di imbavagliare i giornalisti. La tutela della privacy e il diritto alla riservatezza delle persone estranee alle indagini penali non hanno niente a che vedere con iniziative che puntano chiaramente a regolare i conti con la categoria, a intimidire anche gli editori e, soprattutto, a tutelare esponenti del mondo politico coinvolti a vario titolo in procedimenti giudiziari. Questi ultimi, infatti, non si rassegnano ad accettare un dato di fatto ovvio e inconfutabile, ossia che in democrazia il prezzo della notorietà che discende dal ricoprire una carica pubblica comprende anche una tutela della privacy attenuata rispetto a quella dei cittadini comuni.
Se l’emendamento dei deputati Ermini e Verini ha migliorato il testo all’esame della Camera, resta comunque inaccettabile il tentativo di introdurre sanzioni pecuniarie per chi pubblica notizie coperte da segreto perché in questo modo si introduce una forma di censura preventiva. A nessun giornale e a nessun giornalista potrà mai essere impedito di pubblicare una notizia che abbia rilevanza per l’opinione pubblica, anche se coperta da segreto. Si tratta di un principio basilare di tutte le democrazie, peraltro più volte ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo.
Il diritto di cronaca è insopprimibile perché esiste il diritto di tutti i cittadini ad essere correttamente informati. Soltanto la libera circolazione dei fatti e delle idee, che non significa né libero arbitrio né tolleranza per abusi e forzature, consente infatti ai cittadini di conoscere e di esercitare la sovranità popolare loro assegnata dalla Costituzione. Chi pensa di introdurre bavagli o sogna nuove forme di censura, farebbe bene a prenderne atto. A meno che non voglia coprirsi di ridicolo: davvero si pensa che, in un mondo globalizzato, si possa impedire la pubblicazione di una notizia con l’introduzione di un divieto? Chi potrà mai perseguire e sanzionare un sito web registrato all’estero che dovesse pubblicare una notizia “vietata” in Italia?
Raffaele Lorusso
Segretario generale Fnsi