ROMA – I “neet” (acronimo dell’inglese Not engaged in Education, Employment or Training, ndr), quei giovani disillusi dal mercato del lavoro che non hanno un impiego, non lo cercano e non cercano alcuna formazione, attirano l’interesse di Google. Secondo quanto racconta a “Mix 24” Fabio Vaccarono, country director dell’azienda in Italia, “spesso questi giovani sono attivi su altri fronti e questo cattura la nostra curiosità”.
Proprio su questo fronte, spiega ancora, “stiamo lavorando presentando dei programmi anche con il ministero del Lavoro, con corsi e tirocini proprio per aiutare i giovani a trovare opportunità aggiuntive”.
E sul fatto che si parli di circa 2 milioni di persone che ogni anno vogliono entrare a far parte dell’universo di Google, Vaccarono è chiaro: “Servono impegno e formazione” accademica, ma oggi “assistiamo a un cambiamento del modo di lavorare nei Paesi più sviluppati. Ci sono persone con interessi apparentemente poco correlati con i nostri che possono invece essere persone aperte e interessanti”.
Automotive e informazione
La rete e il settore delle automobili sono la nuova frontiera secondo il director manager. Google, chiarisce subito, “non fa autovetture, è un malinteso. La nostra forza sta nell’informazione e nell’utilizzo della rete per rendere anche oggetti di consumo quotidiano più intelligenti di quanto non fossero prima. L’obiettivo – spiega quindi ai microfoni di Radio24 – degli esercizi fatti sulle auto è quello di cooperare con le case che producono le automobili”, ma non “c’è alcun piano per essere integrati verticalmente nel settore. L’idea è quella di rendere le macchine più intelligenti grazie alla connessione con la rete. È un fatto interessante: all’inizio prima si guardava alle features di un prodotto, poi c’è stato un momento in cui il brand e la capacità di raccontarlo è stata importante, ora credo che una parte dei prodotti e dei servizi si giocherà sull’informazione. Questo sarà vero anche grazie a un oggetto che ci accompagna per molte ore della giornata, l’automobile”, spiega Vaccarono.
Il “caso” Olivetti
Vaccarono è di Ivrea, città dove nel 1908 venne fondata una delle più grandi aziende della storia d’Italia: Olivetti. Che però non riuscì a fare il grande salto e diventare la Google italiana, nonostante il potenziale e il potere acquisito sul mercato negli anni.
“Ci sono molte ragioni, – dice il manager – tra le quali il fatto che abbiamo un mercato domestico limitato numericamente e molto poco preparato da un punto di vista tecnologico. Ad un certo punto si sono affermati dei player che avevano dei giganteschi mercati domestici come gli americani, molto più informatizzati dei nostri. Potevano saturare il ritorno sull’investimento già in casa e vendere a condizioni molto aggressive”.
Eppure, ricorda infine Vaccarono, “quando ho fatto la tesi in Olivetti, nel 1994, l’azienda era ancora il primo produttore di pc in Europa. Ma non è solo un caso italiano: grandi produttori di informatica e hardware europei non ce ne sono più”, conclude. (Adnkronos)
Il motore di ricerca interessato ai giovani disillusi: “Attirano la nostra curiosità”