PALERMO – Oggi Catania ricorda Pippo Fava, scrittore, drammaturgo, grande giornalista. Ma tutti dovremmo ricordarlo per le opere che ci ha lasciato e per le coraggiose denunce contro la mafia in un periodo e in una città in cui pochissimi avevano voglia di ascoltare e di capire.
Gennaio è un mese terribile per il giornalismo siciliano, sono stati uccisi, in anni diversi, anche Giuseppe Alfano e Mario Francese. E tutti ci hanno lasciato un’eredità pesante. Fare memoria, come dico sempre, è un impegno e una responsabilità. Come ha scritto lo scrittore Premio Nobel Jose Saramago “noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità, forse, non meritiamo di esistere”.
E a proposito di memoria e responsabilità voglio ricordare Pippo Fava proprio con le sue parole, quelle sul valore etico del giornalismo. Parole scolpite in un editoriale che scrisse nell’ottobre del 1981 su Il Giornale del Sud, giornale che l’indomani lo licenziò. Quelle parole di Fava sono un manifesto del buon giornalismo, parole che in tempi di così grande crisi della nostra professione, crisi anche di credibilità, ogni giornalista dovrebbe rileggere e meditare. Per capire l’importanza e la responsabilità di essere giornalisti. E fare nostra la lezione di Pippo Fava significa onorarne la memoria e mantenerlo vivo.
Eccole le sue parole, attuali ieri e più che mai oggi. «(…) lo spirito politico di questo giornale è la verità. Onestamente la verità. Sempre la verità. Cioè la capacità di informare la pubblica opinione su tutto quello che accade, i problemi, i misfatti, le speranze, i crimini, le violenze, i progetti, le corruzioni. I fatti e i personaggi. E non soltanto quelli che hanno vita ufficiale e arrivano al giornale con le proprie gambe, i comunicati, i discorsi, gli ordini del giorno, poiché spesso sono truccati e camuffati per ingannare il cittadino, ma tutti gli infiniti fatti e personaggi che animano la vita della società siciliana, e quasi sempre restano nel buio, intanati, nascosti, interrati.
Io sostengo che la vera notizia non è quella che il giornalista apprende, ma quella che egli pazientemente riesce a scoprire. Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società.
Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza, la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.
Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero.
Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! (…)». (giornalistitalia.it)