ROMA – “Giornalisti o giudici”. Il saggio, firmato da Vittorio Roidi e Lorenzo Grighi, non propone il punto interrogativo ma che si tratti di una domanda è fuori dubbio. Chi si preoccupa d’informazione – è la tesi del libro – dovrebbe ricercare la verità, indagare e coltivare il senso del dubbio, senza accontentarsi dei primi risultati acquisiti.
Invece – e l’affermazione ha il valore di un atto d’accusa – troppo spesso accade che le pagine di cronaca siano informate da tesi preconcette e si risolvano a proporre delle costruzioni arbitrarie soprattutto “colpevoliste”.
La pubblicazione (edizioni RaiEri, 155 pagine, 16 euro) rafforza il titolo con un sommario: “quando la cronaca ‘trova’ il colpevole prima della sentenza”.
Alla categoria dei giornalisti ai quali il testo è rivolto i due autori non fanno sconti. Il che può avvenire per l’autorevolezza dei loro curricula proprio nel mondo dell’informazione.
Vittorio Roidi ha iniziato la sua professione nella cronaca del Messaggero per diventare inviato della Rai (con Sergio Zavoli) e tornare poi al Messaggero come caporedattore (con Vittorio Emiliani). Già presidente della Federazione della Stampa e segretario dell’Ordine dei giornalisti e, attualmente, consigliere d’amministrazione della Fondazione Murialdi, si è comunque impegnato per la promozione dei valori deontologici della professione.
Lorenzo Grighi, umbro di Todi, ha studiato “relazioni internazionali”, all’università, prima di approdare alla trasmissione “Petrolio” della Rai.
Nella presentazione, lo stesso editore evidenzia come il libro sia il risultato del confronto fra due generazioni di giornalisti, nati a 40 anni di distanza uno dall’altro. E come i risultati siano del tutto omogenei.
“Giornalisti o giudici” prende in esame due vicende di cronaca, temporalmente vicine, che hanno riguardato due delitti. Il primo caso è avvenuto a Perugia e riguarda Raffaele Sollecito, accusato (con l’americana Amanda Knox) di avere ucciso la studentessa Meredith Kercher.
L’altro si è svolto a Garlasco, in provincia di Pavia. Il protagonista è stato Alberto Stasi che si è trovato in Corte d’Assise a rispondere dell’assassinio della fidanzata Chiara Poggi.
Sollecito, con sentenza della Cassazione, è stato dichiarato innocente ed è tornato in libertà. Al contrario, Stasi, dopo peripezie giudiziarie, è stato riconosciuto colpevole ed è finito in carcere,
Eppure, per Roidi e Grighi, la verità giudiziaria non è motivo di commento. Loro preferiscono analizzare il comportamento della cronaca durante le istruttorie e nel corso dei rispettivi processi. Cronaca che ha inflitto a quei ragazzi la gogna mediatica della “colpevolezza preventiva”.
Le ricostruzioni si sono appiattite sugli atti giudiziari dell’accusa quindi presentando solo una delle possibili voci delle vicende. Più che informazione, un atto d’accusa, senza diritto di replica. Ma può il giornalismo accecarsi in modo da non vedere oltre una tesi processuale?
In conclusione: “la legge dichiara che trovare la verità è il primo dovere del giornalismo ma quanti appaiono determinati a cercarla?” Sembra una resa all’ineluttabile. E, invece, il pessimismo non chiude completamente le porte alla speranza.
La professione può riprendere il proprio ruolo critico e autocritico, rimanendo un presidio di indipendenza.
“Fino a quando si accetterà di pubblicare ricostruzioni ipotetiche, illazioni, tesi personali, in prevalenza ‘colpevoliste’?” Per dire che è tempo di voltare pagina. (giornalistitalia.it)
Lorenzo Del Boca