SOVERATO (Catanzaro) – Sono i volti dell’emergenza Calabria, della libertà di informazione a rischio. Giornalisti “in trincea” finiti nel mirino perché “scomodi”, perché raccontano verità che non piacciono alla criminalità organizzata e ai poteri più o meno occulti che la corteggiano.
Al dibattito, ieri sera, al Glauco di Soverato il momento forse più toccante è stato quello delle testimonianze dei cronisti Michele Albanese, giornalista del “Quotidiano” e corrispondente “Ansa” dalla Piana di Gioia Tauro, Francesco Ranieri della “Gazzetta del Sud” e Lucio Musolino de “Il Fatto Quotidiano”.
Molto sofferto l’intervento di Albanese, sotto scorta dopo aver denunciato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle processioni religiose: “Non sono un eroe ma – ha esordito Albanese – un giornalista che cerca di fare il suo lavoro con onestà, quello che ho fatto io l’avrebbe fatto la stragrande maggioranza dei miei colleghi. Io sto vivendo questa mia situazione come un incubo, che spero finisca presto. I ragazzi della scorta sono splendidi ma fare il giornalista in queste condizioni è difficile”.
Albanese ha rivelato di avvertire due “ferite”: “La prima è stata il giudizio secondo il quale io sono contro la Chiesa. Nulla di più falso, io sono cresciuto in quel contesto che mi ha insegnato a scegliere il bene e per questo non posso accettare preti collusi o don Abbondio. La seconda – ha aggiunto Albanese – arriva da una parte del giornalismo calabrese e della cultura calabrese, quella parte che dice che bisogna smettere di criminalizzare la Calabria perché così se ne rovina l’immagine. Io dò dignità alla mia terra se racconto anche le cose negative. Non se ne può più di questa tesi, come se non se ne può più di quella parte del giornalismo che ritiene che il male maggiore della Calabria sia la magistratura”.
L’ultima riflessione di Albanese: “Spero che la nostra categoria e la società civile trovino elementi di consapevolezza per fare fronte comune, perché è una guerra di tutti”. A sua volta Francesco Ranieri, minacciato da un boss del Soveratese – secondo quanto emerso da una recente indagine della Dda di Catanzaro – ha affermato che “il problema della Calabria è che non si ragiona come una comunità, adesso sta a noi, in primo luogo come cittadini, superare una mentalità chiusa e individualistica. Tempo fa, mentre scattavo foto al mare sporco, sono stato apostrofato da una persona, che mi ha detto che così danneggiavo l’immagine della nostra terra. Come se il problema è il giornalista e non invece il mare sporco…”.
Infine, Lucio Musolino, in passato bersaglio di intimidazioni, l’ultima delle quali a Oppido Mamertina all’indomani del famoso “inchino” della Madonna per omaggiare un boss della ‘ndrangheta: “La magistratura conduce indagini sulla politica perché, evidentemente, la politica non fa la sua parte. Ricordiamoci che siamo in una terra nella quale l’ex presidente della Regione, pur condannato, si muove con la scorta… Questo fa capire che la Calabria dev’essere ancora raccontata in tutte le sue sfaccettature”.
Musolino ha raccontato anche la sua esperienza personale: “Venni licenziato anni fa da «Calabria Ora», ho vinto la causa, ma non ho ancora visto un euro perché l’allora editore, che oggi è indagato, aveva creato un inestricabile sistema di «scatole cinesi». Ecco come si fa editoria in Calabria: giornali utilizzati come rami d’azienda di tutt’altre attività. In Calabria c’è una saldatura tra mafia, politica, imprenditoria: è una catena che va spezzata”.