BARI – La discussione e le relative linee guida sulla revisione dell’Albo, di cui il Cnog si occuperà nella riunione di luglio, possono costituire un’occasione per una seria riflessione di fondo su quella che è o dovrebbe essere la mission del nostro Ordine.
L’Ordine come la Dc di De Gasperi
Alcide De Gasperi, che come ogni vero statista guardava alle future generazioni piuttosto che alle future elezioni, era solito ripetere che “La Dc serve se serve al Paese”.
Credo che le parole dello statista trentino, uomo di servizio più che di potere, siano tutt’altro che uno slogan e che contengano invece un preciso messaggio etico-politico che dovremmo fare nostro: l’Ordine serve se serve alla professione.
Non un Ordine fine a se stesso, autoreferenziale, ma un agile e rigoroso strumento al servizio della professione. L’Ordine serve se difende la dignità di chi svolge la professione di giornalista.
Se dunque è questa la mission, ne discende che ogni altra realtà, a partire dalla stessa legge istitutiva del ’63 e proseguendo con la struttura burocratica del nostro Ordine, sono assolutamente strumentali rispetto al compito istituzionale di difendere la dignità di chi svolge questa professione.
La revisione dell’Albo: la legge, i ritardi, le negligenze e le resistenze
E’ la legge istitutiva del ‘63 a disegnare con nettezza i confini della nostra professione e conseguentemente del nostro Ordine, nel cui perimetro ricade, e deve esclusivamente ricadere, solo chi effettivamente svolge questa professione.
I giornalisti professionisti e i giornalisti pubblicisti la cui identità è definita con altrettanta chiarezza: il pubblicista è colui che, pur praticando altra attività, svolge quella giornalistica in maniera “non occasionale e retribuita” e ogni Ordine regionale è tenuto a curare la revisione dell’Albo almeno una volta l’anno.
Ne discende quindi che questi concetti-base, espressi con chiarezza dalla legge, debbano costituire la stella polare che deve guidare ogni Ordine nella revisione dell’Albo mantenendo nel perimetro della professione solo ed esclusivamente chi effettivamente la svolge.
Sappiamo bene, e i numeri hanno una loro incontrovertibile e ineludibile forza, che in Italia e non da oggi non è così. Numerose analisi, tra cui quella condotta dal gruppo Lsdi, hanno messo in evidenza come dei 120 mila iscritti all’Ordine dei Giornalisti poco più di 50 mila hanno una posizione Inpgi.
E’ dunque del tutto evidente che ci troviamo di fronte a una platea di persone che non praticano l’attività giornalistica e che nonostante questo sono iscritti all’Ordine professionale.
E’ questo il bivio fondamentale e ineludibile davanti al quale il Cnog è chiamato a scegliere: difendere la dignità di chi svolge effettivamente questa professione o difendere il numero degli iscritti all’Ordine dei Giornalisti. Le due realtà, come si è visto, non coincidono.
Se si sceglie di difendere la dignità di chi svolge effettivamente la professione non si può non procedere, con grande determinazione, senza indugi e resistenze e senza operazioni gattopardesche, ad una seria revisione dell’Albo.
Se invece si sceglie di difendere, con spirito corporativo e anche ricorrendo ad abili stratagemmi, il numero degli iscritti all’Ordine, non si difende la dignità professionale dei giornalisti, ma la sopravvivenza dell’Ordine.
In questo senso non appare condivisibile l’ipotesi, che sembra si stia facendo strada nel Cnog, di esentare dalla presentazione della documentazione, in sede di revisione, gli iscritti temporaneamente non impegnati in attività giornalistica purchè dimostrino l’avvenuta partecipazione, o comunque la frequenza, ai corsi di aggiornamento previsti dall’ordinamento della professione.
Basta frequentare un corso di aggiornamento per dimostrare di essere giornalisti ed eludere così la revisione obbligatoria per legge? Torna la madre di tutte le domande: il Cnog vuole difendere chi effettivamente svolge la professione o difendere il numero degli iscritti all’Ordine grazie ad un corso di formazione professionale?
Questo è il vero nodo da sciogliere. Di tecniche per la revisione si potrà e si dovrà discutere e parlare, ma solo dopo aver sciolto il nodo che è tutto e ineludibilmente “politico”.
Quello di procedere alla revisione dell’Albo è un obbligo, che “è morale prima che di legge”, come ben recita il manuale del Consigliere di fresca pubblicazione curato dal Cnog: è quindi necessario procedere con grande speditezza e assoluto rigore, colmando ritardi, superando negligenze. E vincendo non poche resistenze di chi continua a considerare l’Ordine non uno strumento per difendere la dignità di chi svolge la professione giornalistica ma una struttura che punta ad auto-conservarsi.
La revisione dell’Albo: il caso Puglia
E’ facendosi guidare dalla legge istitutiva dell’Ordine, dal citato “obbligo morale”, che il Consiglio regionale dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia, insediatosi il 27 maggio del 2013, ha approvato, il successivo 12 luglio, la delibera (pubblicata dal giorno successivo sul nostro sito www.og.puglia.it e allegata in coda a questo documento) sulla revisione dell’Albo che oggi, in Puglia, conta 4219 pubblicisti e 670 tra professionisti e pensionati.
Sette mesi dopo l’approvazione e la pubblicazione della delibera, mesi durante i quali si sono svolte anche due assemblee aperte proprio per chiarire i termini della revisione (quindi c’è stato tutto il tempo per informare i colleghi delle procedure in corso) l’Ordine di Puglia ha inviato una lettera agli iscritti chiedendo, come prevede la legge, di dimostrare il possesso dei requisiti necessari per il mantenimento dell’iscrizione all’Albo.
Dunque, fermo restando il rispetto delle anzianità di iscrizione, ai pubblicisti è stato chiesto di dimostrare la propria attività “non occasionale e retribuita” e ai professionisti l’esclusività del lavoro giornalistico, così come recita l’articolo 1 della legge 69/63.
Particolarmente complessa è stata la definizione dei perimetri relativi al lavoro dei pubblicisti, sia sul fronte della dimostrazione dell’attività svolta (viste le ormai variegate forme di lavoro giornalistico correlate anche alle nuove tecnologie) che su quello della retribuzione (visto il perdurare di una crisi nota a tutti).
Naturalmente abbiamo aperto ad ogni forma di giornalismo, compresi gli uffici stampa. Sul fronte del compenso del lavoro dei pubblicisti non abbiamo stabilito dei minimi, in attesa anche della definizione delle tabelle sull’equo compenso. E in più abbiamo anche indicato come criterio sussidiario alla dimostrazione della retribuzione i versamenti di contributi all’Istituto di previdenza dei giornalisti o anche ad altro ente purché riconducibili al lavoro giornalistico svolto.
Tuttavia mai, in nessun caso, l’Ordine può condividere la visione perversa – più da editori senza scrupoli che da giornalisti ‐ del lavoro giornalistico gratuito. Del resto non è certo una interpretazione pugliese della legge a stabilire questo principio angolare: è stato lo stesso Cnog a più riprese a sancire il principio della retribuzione come elemento imprescindibile della definizione di lavoro giornalistico.
Dunque i criteri individuati per la revisione ci sono sembrati i più equi per tenere insieme l’ineludibile obbligo di legge e una realtà oggettiva di un lavoro giornalistico in crisi profonda (forse anche per un esercizio di controllo venuto meno proprio da parte dell’istituzione ordinistica, verrebbe da pensare).
L’Ordine come il Rotary
La reazione da parte dei colleghi coinvolti nell’operazione-revisione è stata e continua ad essere rivelatrice della realtà della nostra professione. Quasi tutti i colleghi, di cui la stragrande maggioranza in assoluta buona fede, hanno manifestato incredulità e stupore davanti alla di applicare la legge istitutiva dell’Ordine in tema di revisione dell’Albo: una legge che è quasi sconosciuta ai più.
In molti ci hanno fatto e continuano a farci osservazioni del tipo: “La revisione dell’Albo? E cos’è? Perché?”.
“La revisione? Non è mai stata fatta, perché ve ne ricordate proprio ora?”
“Scrivo per hobby, per volontariato, perché la mia attività dovrebbe essere retribuita?”
“Ho sempre pagato con regolarità la mia quota, non basta?”. Quest’ultima battuta rivela una visione “rotaryana” del nostro Ordine al quale, come accade al Circolo Tennis o al Club del Burraco, basta pagare la quota per continuare ad essere “socio”.
L’aspetto più serio e grave è invece costituito dall’atteggiamento di chi ha soffiato e continua demagogicamente a soffiare su questo malcontento, anzi alimentandolo con ogni mezzo, non per difendere i colleghi o per farsi carico della loro effettiva condizione professionale, ma solo per far restare inalterato il numero degli iscritti.
Il “lodo Villotta” e la spending review del Cnog
Il collega Piero Villotta, giornalista udinese, volto noto della Rai regionale, ex presidente dell’Ordine del Friuli Venezia Giulia e attuale consigliere nazionale, in alcune dichiarazioni rilasciate (e non smentite) a fine gennaio al Messaggero Veneto ha detto che: “Il gettone di presenza è uno scandalo. Il Cnog garantisce 150 euro (lordi) al giorno anche per le commissioni. Facendo due conti, significa che per 150 consiglieri (e poi parliamo di tagliare il Parlamento n.d.r.) e 8 sedute di solito di tre giorni l’Ordine spende 600mila euro. Più le commissioni. Siamo sotto il milione, vale a dire il 20% del bilancio, il 10% di quello che versano gli iscritti”.
Se i numeri forniti dal collega Villotta rispondessero al vero, circostanza di cui non ho motivo di dubitare (ma i vertici del Cnog potrebbero anzi dovrebbero confermare, smentire o precisare) non si potrebbe non concordare con la sua analisi.
Soprattutto se si considera che lo stesso Cnog che spende quelle cifre per i suoi lavori, ha destinato poco più della metà, vale a dire 495mila euro, per la formazione obbligatoria permanente in tutta Italia.
E’ l’ora dunque che il Cnog proceda ad un’altra ineludibile riforma, che è totalmente nella sua piena disponibilità e non del Parlamento e cioè quella di una coraggiosa spending review al suo interno. La campana del taglio dei costi, che in Italia sta suonando per tutti, deve suonare anche per noi. Non possiamo chiamarci fuori da quello che è il clima del Paese che proviamo a raccontare ogni giorno sui mezzi di informazione. A quel richiamo bisogna rispondere presto, bene e responsabilmente.
Il nuovo consiglio dell’Ordine regionale della Puglia, in una delle prime sedute dopo il suo insediamento, ha mantenuto il criterio del rimborso spese (parcheggi auto e rimborso benzina in ragione di 30 centesimi a chilometro) ma ha tagliato la diaria di 35 euro a seduta, con un risparmio di circa 2000 euro l’anno. Una cifra poco più che simbolica ma che, appunto, vuole costituire un preciso messaggio anche ai colleghi.
Al Cnog è doveroso chiedere quindi un concreto taglio alle proprie spese: dalla diaria per i 156 consiglieri (decisamente troppi) o riducendo da tre a due i giorni riservati alle riunioni del Consiglio e destinando quella cifra alla Formazione.
O proponendo al Parlamento una mini-riforma della legge istituiva dell’Ordine. Basterebbe emendarla elevando da 1000 a 2000 il numero dei pubblicisti necessari per eleggere un consigliere nazionale.
Ma vi è nell’attuale Cnog la volontà politica di procedere a questa coraggiosa riforma?
La Formazione “via” alla Revisione
Anche la formazione obbligatoria permanente è una cartina di tornasole sulla questione della revisione dell’Albo. La domanda, una banale domanda sorge spontanea: ma perché devono essere formati, in modo obbligatorio e permanente, alla professione giornalistica quanti e sono tantissimi, non svolgono questa professione?
E’ questo un fondato argomento a sostegno della richiesta di una seria e rigorosa revisione dell’Albo. Solo chi svolge effettivamente la professione deve essere formato professionalmente. Per gli altri è un autentico non senso oltre che uno spreco di risorse.
Per fare un esempio: alla Puglia, per il 2014, sono stati attribuiti per la formazione 24mila euro a rendicontazione. Fatti i dovuti calcoli, si tratta di 5 euro a collega. Quale sarebbe stata la cifra riservata ad ogni collega se gli iscritti non fossero stati i circa 5000 attuali, ma un numero rispondente solo a quelli che effettivamente svolgono la professione?
Perché l’Ordine della Puglia deve poter spendere 5 euro per formare un giovane collega precario e la stessa cifra per chi, più o meno candidamente, ammette che ormai da anni svolge nobilmente, onestamente ma anche esclusivamente un’altra professione?
La riforma che non c’è e il monito di Aldo Moro
Alla luce di queste considerazioni, argomenti che colleghi ben più autorevoli hanno sostenuto in altre sedi, è evidente che la riforma dell’Ordine, che può essere anticipata da una seria autoriforma, che non è nelle mani del Parlamento ma in quelle del Cnog, non è più rinviabile.
E’ necessaria per ridurre il distacco quasi incolmabile tra l’Ordine e la realtà della professione, la vita delle redazioni, i problemi di quanti fanno questo mestiere e vivono di giornalismo se davvero si vuole che l’Ordine continui a rappresentare per tutti i colleghi un autentico punto di riferimento.
Ma il Cnog vuole davvero la riforma, una profonda riforma dell’Ordine o punta alla difesa dello status quo? Forse è l’ora che i Consigli regionali più sensibili e i colleghi stanchi dell’attuale situazione prendano le necessarie iniziative per procedere con coraggio sulla strada del rinnovamento.
Continuando a stare nella palude c’è paradossalmente da augurarsi che il Parlamento non si occupi della riforma della legge sull’Ordine dei Giornalisti. Il giorno che dovesse farlo probabilmente lo farebbe con una riforma tombale.
Ho aperto con De Gasperi e chiudo con Aldo Moro. Lo statista pugliese ammoniva sulle sorti di un Paese “che non si salverà se non nascerà un nuovo senso del dovere”. Il giornalismo, l’Ordine sono un pezzo non secondario di questo Paese. Non ci salveremo senza riscoprire i nostri doveri.
Valentino Losito
Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia
Revisione dell’Albo dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia
Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Puglia ha deliberato il 12 luglio 2013 le modalità di revisione dell’albo regionale. Il provvedimento risponde alla legge che obbliga l’Ordine a verificare la sussistenza dei requisiti professionali dei proprio iscritti, professionisti e pubblicisti. Dalla procedura, come prevede la norma, sono esentati i giornalisti con più di 15 anni di anzianità di iscrizione.
Il Consiglio ha, inoltre, deciso di rinviare la revisione a carico dei colleghi in disoccupazione Inpgi e di quelli iscritti negli ultimi tre anni (cioé quelli che più recentemente hanno dimostrato la propria attività. Tutti gli interessati riceveranno una lettera alla quale dovranno rispondere esibendo le prove documentali.
Ai pubblicisti si richiede la dimostrazione dell’attività giornalistica non occasionale e retribuita, anche se esercitano altri lavori. Ai professionisti si richiede la dimostrazione dell’esclusività dell’attività giornalistica. Le copie di buste paga o contratti possono essere inviate coprendo le cifre nel rispetto della privacy.
L’eventuale cancellazione dall’elenco dei professionisti non estinguerebbe il titolo conseguito con l’esame di Stato: la reiscrizione avverrebbe con il ripristino dell’attività professionale in esclusiva. La delibera del 12 luglio 2013 contiene nei dettagli i criteri di revisione.
TESTO DI DELIBERA
Premessa:
La legge sull’ordinamento della professione di giornalista (n. 69 del 1963) individua tra le attribuzioni del Consiglio dell’Ordine (articolo 11) la tenuta dell’albo, ribadita nell’articolo 30 del DPR 115/1965 (Regolamento per l’esecuzione della Legge n. 69 del 1963): “Il Consiglio regionale o interregionale provvede alla tenuta dell’albo e deve almeno ogni anno curarne la revisione”.
Sono gli articoli 40, 41 e 42 della legge n. 69/63 a normare il tema. In particolare l’articolo 41 indica con chiarezza i criteri fondamentali di cui tenere conto: “È disposta la cancellazione dagli elenchi dei professionisti o dei pubblicisti dopo due anni di inattività professionale.
Tale termine è elevato a tre anni per il giornalista che abbia almeno dieci anni di iscrizione. Nel calcolo dei termini suindicati non si tiene conto del periodo di inattività dovuta all’assunzione di cariche o di funzioni amministrative, politiche o scientifiche o allo espletamento degli obblighi militari. Non si fa luogo alla cancellazione per inattività professionale del giornalista che abbia almeno quindici anni di iscrizione all’albo, salvo i casi di iscrizione in altro albo, o di svolgimento di altra attività continuativa e lucrativa”.
Sempre la legge n. 69/63 definisce i “pubblicisti” come “coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi” (articolo 1 comma 3).
Fatte queste premesse, il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia delibera:
1 ‐ La revisione coinvolge i colleghi iscritti negli ultimi quindici anni, calcolando il tempo a ritroso a cominciare dalla data di invio della lettera informativa. Nella prima fase viene sospesa la revisione per pubblicisti e professionisti iscritti negli ultimi tre anni e per tutti coloro che si trovano in regime di disoccupazione comprovata dall’Inpgi.
2 ‐ I pubblicisti devono aver pubblicato almeno 20 articoli, retribuiti, per anno negli ultimi due anni (articoli di giornale o web, servizi radiotelevisivi o fotografici). Il limite scende a 12, 6 o 4 in caso di pubblicazione rispettivamente per mensili, bimestrali o trimestrali.
3 ‐ In caso di svolgimento di attività giornalistica negli uffici stampa, come mezzi di prova sono ammessi i contratti stipulati con enti pubblici o soggetti privati oppure documenti dai quali risulti il carattere giornalistico dell’incarico ricevuto negli ultimi due anni.
4 ‐ Gli iscritti devono esibire, a dimostrazione dell’avvenuta retribuzione dell’attività giornalistica, i versamenti previdenziali e una certificazione della retribuzione valida ai fini fiscali. I professionisti con contratto di lavoro dipendente possono dimostrare lo svolgimento dell’attività professionale in via esclusiva attraverso l’esibizione dell’ultima busta paga.
5 ‐ Gli iscritti sottoposti a verifica hanno sei mesi di tempo (a partire dalla data della missiva inviata dall’Ordine regionale) per esibire i mezzi di prova richiesti. In caso di mancata risposta o di carenza di documentazione verranno attivate le procedure di cancellazione dall’albo con le modalità previste dagli articoli 43 e 3.