ROMA – Una delegazione di giornalisti somali guidata dal segretario e dal tesoriere del sindacato della Somalia, Omar Faruk Osman e Farah Mohammed Yusuf, e dal tesoriere della Confederazione nazionale dei lavoratori (Festu), Mohammad Musse Mohammud, ha incontrato questa mattina i vertici della Federazione nazionale della stampa italiana. Ad accogliere i colleghi somali sono stati, infatti, il segretario generale della Fnsi Raffaele Lorusso, il segretario generale aggiunto Carlo Parisi e il direttore Giancarlo Tartaglia.
Al centro dell’incontro la situazione della libertà di informazione nei due Paesi, i cui rappresentanti siedono nel Comitato esecutivo della Ifj, la Federazione internazionale dei giornalisti.
«Siamo sulle stesse posizioni, come testimoniano le iniziative comuni portate avanti in seno alla Ifj», hanno ribadito il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, e il segretario somalo, Osman.
Altra iniziativa congiunta ha riguardato otto giornalisti di Radio Shabelle, che in due occasioni, nel 2014 e nel 2015, la Fnsi ha aiutato a raggiungere l’Europa.
«Ancora oggi la radio vive una situazione di precarietà e pericolo – ha detto Osman – come del resto l’intera informazione nel Paese. Il governo vuole averne il controllo perché è una delle poche voci libere della Somalia e questo si traduce in vessazioni e ritorsioni contro i giornalisti».
Da una parte, dunque, il governo e le autorità del Paese. Dall’altra i terroristi, che hanno preso di mira l’informazione in Somalia. Il risultato è una situazione di costante pressione sugli operatori dei media.
«Nel solo 2016 – ha detto il segretario del sindacato somalo – tre giornalisti sono stati uccisi e 37 sono stati arrestati. Negli ultimi quattro anni sono stati in tutto 47 i cronisti morti in nome della libertà di informazione in Somalia. Otto stazioni radio sono state chiuse e il parlamento ha varato una nuova legge sulla stampa che prevede misure draconiane».
I giornalisti di Radio Shabelle che sono riusciti a raggiungere l’Europa tra il 2014 e il 2015 hanno trovato accoglienza e ad alcuni è stato riconosciuto lo status di rifugiati. Una quarta giornalista, condannata al carcere a soli 18 anni e fuggita dal Paese prima di loro, oggi vive e lavora a Milano.