ROMA – Senza stipendio, senza contributi e senza sussidio di disoccupazione. È la situazione in cui si trovano 26 giornalisti del quotidiano l’Unità, di proprietà della Piesse, che ha ormai cessato le pubblicazioni, ma che non ha ancora licenziato i suoi dipendenti.
Il Comitato di redazione sperava che nel decreto “Cura Italia” ci fossero misure per venire incontro alla loro situazione, ma ora teme che con lo stop ai licenziamenti finiscano paradossalmente per essere penalizzati.
“Siamo esclusi da qualsiasi fattispecie del decreto”, spiega Massimo Solani del Cdr de l’Unità ricordando che “a dicembre 2019 è finita la cassa integrazione e siamo rientrati sotto l’ombrello dell’azienda. Da allora non ci pagano gli stipendi, non ci pagano contributi e non ci licenziano”.
“Avevamo sperato – spiega Solani – che in questo decreto ci fosse qualcosa per i giornalisti in difficoltà, ma non c’è nulla. Non possiamo accedere in nessun modo a nessuna delle misure prese. Anzi, abbiamo fatto partire i decreti ingiuntivi per mancati pagamenti pregressi ed ora, con il blocco dei tribunali, non possiamo neanche portarli avanti”.
Solani giudica “vergognoso il comportamento dell’azienda, che non ha neanche dato la disponibilità a presentarsi al ministero del Lavoro. Lo ritengo lesivo della nostra professionalità e dignità umana e per questo siamo pronti a portare avanti ogni iniziativa nei confronti dell’azienda e dei suoi dirigenti”.
I giornalisti de l’Unità – fanno sapere dall’azienda – all’inizio di gennaio 2020 hanno rifiutato al ministero del Lavoro e delle politiche sociali un anno ulteriore di cassa integrazione in deroga che Unità srl, col parere favorevole del ministero, aveva trovato all’interno del decreto Genova. I giornalisti in quella sede hanno deciso di rifiutare quella opportunità, a differenza dei poligrafici. L’azienda precisa, inoltre, che come sempre resta disponibile a trovare una soluzione ad iniziare dal chiedere una nuova cassa integrazione qualora i giornalisti fossero disponibili. (ansa)
Il Cdr che sperava nel “Cura Italia” attacca, ma l’azienda replica: “Hanno rifiutato la cig”