ROMA – Si è a lungo parlato “di noi”, alla Camera dei Deputati, del nostro presente e del nostro futuro, della condizione generale del giornalismo italiano, dello stato di salute delle nostre redazioni, dell’umore dei giovani colleghi che, per un pezzo, oggi portano a casa, senza contratto, una cifra media tra i 3 e i 5 euro lordi. Si è parlato soprattutto della necessità di riscoprire e ritrovare, nella vita professionale quotidiana, il senso forte di una deontologia che ormai sembra purtroppo relegata a vivere solo ai margini del nostro percorso quotidiano.
E non si poteva scegliere tema centrale più attuale di questo per “rimettere ordine nelle cose e soprattutto per rimettere in discussione noi stessi”: “Il giornalismo, la deontologia professionale e l’informazione sul web: la certezza delle competenze e i pericoli dell’improvvisazione on line”.
Ad aprire i lavori dell’incontro è stato Maurizio Lozzi (consigliere dell’Ordine dei giornalisti del Lazio), con una “lezione” incentrata sulla verità della notizia, sul rischio della “manipolazione”, sul terrore che le “fake news” diventino predominanti rispetto alla cronaca vera e quotidiana delle nostre periferie, modellando il suo intervento sugli strumenti possibili che ogni cronista ha oggi a disposizione per discernere il vero dal falso, e per ristabilire una volta per tutte “la verità storica della società che si vive”. Insomma, una sorta di vademecum su come utilizzare la rete e internet in maniera da sapersi “difendere dalle mille insidie quotidiane” che ogni cronista rischia di trovare ogni giorno sulla sua strada.
“Insidie contro il tempo”, le chiama Lorenzo Del Boca, direttore della Stampa Diocesana Novarese e presidente emerito dell’Ordine nazionale dei giornalisti e della Fnsi, che ha dedicato parte della sua analisi al concetto del tempo, perché, negli anni in cui “noi crescevamo e iniziavamo a fare i cronisti, avevano tutto il tempo che ci era necessario”, tempo per scrivere, tempo per ragionare, tempo per rivedere le cose che avevamo scritto, e infine “tempo per pubblicare le nostre storie”, ma il tempo che avevamo – ricorda, con la sua solita malinconia, Lorenzo Del Boca – “permetteva a tutti noi un passaggio fondamentale”, che oggi spesso non esiste più, ovvero la “verifica e il controllo attento e meticoloso delle fonti e della loro veridicità”.
Efficacissima la sintesi che Del Boca propone ai colleghi presenti in sala: “Abbiamo ormai distrutto il concetto di tempo e di spazio”, e qui ha perfettamente ragione lui, perché la tecnologia ormai ha trasformato il concetto del tempo in velocità, e spesso e volentieri – lo rimarcherà, dopo di lui, più volte Carlo Parisi, direttore di “Giornalisti Italia” e segretario generale aggiunto della Fnsi, “tutti noi rischiamo di essere governati, gestiti e controllati dalle regole spietate della tecnologia”. Guai a non saper utilizzare la tecnologia – il messaggio è chiaro – ma guai a farsi gestire o, peggio ancora, dominare dalla tecnologia.
Il vero dato di fondo, secondo Carlo Parisi, che analizza la crisi del sistema-giornalismo italiano è strettamente legato agli editori di questo nostro Paese che, “per mancanza di lungimiranza o per scelta deliberata, non sono stati in grado di scommettere seriamente sul capitale umano, sulle energie importanti che ognuno di loro aveva in redazione, investendo in professionalità”, ma è la “professionalità – insiste Parisi – la vera essenza di un’informazione di qualità”.
Come se ne esce? La terapia non è semplice – Parisi lo riconosce senza infingimenti – perché “il giornalismo italiano vive oggi una condizione di debolezza senza precedenti, in balia, continua, di mille insidie e altrettante minacce, a volte velate, altre volte palesi e che arrivano da ogni parte. Il giornalismo è, insomma, costretto a misurarsi e confrontarsi con poteri vecchi e nuovi, il cui vero obiettivo rimane, però, la mortificazione della stampa libera”.
Rispetto a questo tentativo di “emarginazione” radicale, che il più delle volte passa attraverso il meccanismo infernale delle querele per diffamazione con richiesta di risarcimenti milionari, Carlo Parisi non ha dubbi: “Mai come oggi i giornalisti hanno bisogno di un Ordine e di un Sindacato forti, ma hanno bisogno anche di un’Inpgi, di una Casagit, di un Fondo che, sia pure su direttrici diverse, proseguano uniti per la stessa strada e in difesa assoluta della dignità professionale di ognuno di noi”.
Non poteva mancare ad un incontro via via sempre più intenso e dal confronto serrato, il “ricordo vivo” di un signore della cronaca televisiva, Daniele Cerrato, uno dei giornalisti forse più amati e seguiti della storia della Tgr Rai, l’uomo che 27 anni fa a Torino si inventò “Leonardo”: una volta era una semplice rubrica del Tg regionale, oggi è un vero e proprio giornale scientifico, uno dei migliori giornali scientifici che vanno in onda in Europa e che ha fatto la storia stessa della Tgr.
A lui tocca il compito forse più scomodo della giornata, spiegare cosa è oggi in Italia il giornalismo scientifico, alle prese, tra l’altro, proprio in queste ore, con il caso-influenza cinese, e con la grande difficoltà di mediazione tra il rigore della scienza e le emozioni di chi sta davanti al televisore. Ecco, allora, che in sala riecheggia un termine che per molti è assolutamente nuovo, quello di “distinzione estetica” della notizia, o anche di “bollino blu” della nostra informazione – a parlarne per primo è Andrea Camporese, presidente emerito dell’Inpgi –, che Daniele Cerrato traduce alla sua maniera, con semplicità: “Spesso ci chiediamo se dobbiamo affidarci alla sostanza o affidarci invece alla reazione del nostro pubblico. Noi preferiamo la realtà della sostanza. Questo evita il diffondersi del panico, delle preoccupazioni generali della gente comune, ed aiuta la gente che sta a casa a conoscere meglio i problemi di cui parliamo in quel momento”.
“Sono anni – sottolinea Cerrato – che raccontiamo di epidemie nel mondo, come l’ultima ‘cinese’, ma la regola che, come giornalisti, ci siamo imposti trova sintesi in questo slogan: Guai a sfruttare le paure e le psicosi comune per fare cassetta e audience’. Come dire: guai a inseguire e “utilizzare “la paura collettiva per aumentare i followers del proprio sito internet o del proprio giornale on line. Sarebbe un delitto sociale.
Poi, inevitabilmente, lo sguardo si sposta su Casagit e sulla sua recente trasformazione: “Una mutua aperta e sul mercato – ha fatto notare il presidente – può ricevere adesioni anche da soggetti che giornalisti non sono, e accogliere così nuovi enti e popolazioni. Ma conservando gli obiettivi e i valori di sempre: fornire assistenza sanitaria, all’insegna della solidarietà. Un’apertura che non pregiudica l’autonomia della categoria, anzi: la governance della mutua Casagit Salute rimane saldamente nelle mani dei giornalisti”.
Il futuro? Andrea Camporese lo traccia seguendo questo segmento, e raccontando la sua ultima “avventura professionale” che lo porta a disegnare quella che sarà la redazione del futuro, dove accanto al grafico di un tempo siederanno ingegneri gestionali, esperti di tecnologie avanzate, e persino degli psicologi, e il giornalista sarà chiamato a guidare e gestire questo suo nuovo gruppo di lavoro.
“E non pensiate che io vi stia a parlare di un futuro lontano – avverte Camporese – perchè già oggi questo “nucleo” così raccontato è realtà in tanti altri paesi lontani dal nostro: sono appena rientrato da Tel Aviv dove ho trovato e scoperto una realtà imprenditoriale ed editoriale che arriverà in Italia non prima dei prossimi dieci anni”, e tutto questo la dice lunga sul nostro “stato di salute”. Insomma, è ora di rimboccarsi le maniche e, soprattutto, di “uscire dalla riserva indiana”, ammonisce il giornalista, già al timone dell’Inpgi.
In tutto questo bailamme come saranno le agenzie di stampa del futuro? Ce lo dice con la sua tradizionale certezza di vecchio cronista dell’Ansa Stefano Fabbri, consigliere nazionale Fnsi e già capo della redazione Ansa di Firenze: “Credo che il futuro delle agenzie possa essere quello della certificazione della notizia”. Traduciamo meglio. “Se volessimo avere la certezza che la notizia sia assolutamente vera, le agenzie di stampa potrebbero avere gli strumenti e soprattutto la voglia di riportare il sistema-informazione ai livelli di qualità alti a cui la nostra tradizione italiana in passato ci ha abituati”.
Questo ed altro ancora da Piazza Montecitorio dove non sono mancate neppure le “istruzioni per l’uso”, la parentesi in cui Massimo Di Russo, responsabile delle attività promozionali di Casagit Salute, ha spiegato ai giovani colleghi presenti in sala il ruolo, “l’importanza e la necessità di credere nella Casagit che è la nostra cassa della salute”.
Di Russo si è soffermato, in particolare, sul profilo W-IN nato dalla convenzione tra l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani e la Casagit: un’operazione congiunta di welfare assistenziale di categoria a sostegno dei giornalisti con reddito medio-basso iscritti alla gestione separata dell’Inpgi.
La convenzione rende operativo il progetto, messo a punto dall’Istituto di previdenza e dal Comitato amministratore della gestione separata e approvato dai Ministeri competenti, per offrire una nuova tutela di assistenza sanitaria ai lavoratori autonomi e free lance con redditi medio-bassi.
L’iscrizione, gratuita per 3 anni (fino al 30 giugno 2022), è totalmente a carico dell’Inpgi che ha stanziato 3 milioni di euro (500 per ciascun giornalista). Un programma di assistenza sanitaria voluto dall’allora presidente dell’Inpgi, Andrea Camporese, che ha avuto la geniale intuizione di distribuire ai lavoratori autonomi meno fortunati, sotto forma di assistenza sanitaria integrativa, le plusvalenze derivanti dagli investimenti della Gestione Separata.
Idea immediatamente sposata dal Comitato amministratore e tradotta in servizio dal presidente della Casagit, Daniele Cerrato, per garantire assistenza sanitaria integrativa a quanti, finora, avevano potuto solo sognarla. (giornalistitalia.it)