ROMA – “Per i miei studenti il sogno non è più andare a lavorare al New York Times, ma a nuovi siti come vox oppure vice. Una delle mie studentesse più brillanti, dopo uno stage la scorsa estate al Los Angeles Times, mi ha detto “mai più quotidiani, sono troppo lenti”. E ora lavora a Yahoo!”.
“Nelle parole di Gabriel Kahn, direttore del progetto “Future of journalism” alla University of Southern California c’è il senso di una trasformazione che sta rivoluzionando il mondo dell’informazione negli Stati Uniti (ma non solo).
E’ un cambiamento che coinvolge in eguale misura gli assetti societari, gli strumenti e il pubblico stesso del giornalismo moderno, con nuovi protagonisti e vecchi problemi, come quello del rapporto con il potere.
La riflessione parte ovviamente dalla notizia più recente, ovvero il raddoppio della quota del magnate messicano Carlos Slim nel New York Times, mossa che ne fa il principale azionista singolo. Ma questo, spiega Kahn, è solo la conferma di un interesse del tycoon messicano e non andrà a snaturare l’anima del grande quotidiano Usa: “Dal punto di vista del controllo del New York Times, non ci saranno grandi ripercussioni: il comando rimane alla famiglia Sulzberger” che controlla le azioni di classe b, quelle che contano “piuttosto – aggiunge – il fatto è che non ci sono più le dinastie nella editoria dei quotidiani americani, se si escludono appunto i Sulzberger e i Murdoch, laddove fino a una dozzina di anni fa questo era un settore dominato dalle famiglie.
Ciò è molto visibile a livello locale dove le testate tradizionali sono state assorbite da gruppi molto più grandi che però non si sono dimostrati all’altezza delle sfide: si sono schierati contro il digitale, e questo si è rivelato un disastro per tutto il settore”.
“I giornalisti – sottolinea Kahn – non sentono tanto la questione del cambiamento degli editori, quanto la fragilità di questo settore. Così diventa difficile sostituire i talenti. Per testate come il New York Times o il Washington Post l’emorragia delle grandi firme è continua, professionisti che non sono stati sostituiti e che erano l’anima di questi giornali. Però non voglio dire che la fine delle “grandi firme” sia una perdita tout court, onestamente credo sia anche un passo in avanti”.
Per il docente della Usc, con un passato da corrispondente del Wall Street Journal, anche in italia, “i nuovi editori digitali fanno un giornalismo molto più innovativo, fanno cose che i giornali non farebbero mai perché non ne hanno le risorse e non ne hanno la fantasia: basti vedere come il sitopolitico.com segue la politica, è completamente diverso da come lo fa il Washington Post. E anche siti comevox.com affrontano i grandi temi in modo molto più accessibile che non i giornali tradizionali e così raggiungono anche un pubblico più vasto”.
Sembrerebbe una situazione senza speranza per la carta stampata, ma per Kahn “non è una gara per vedere chi muore prima: bisogna piuttosto guardare il tutto dal punto di vista dei bisogni del consumatore”.
“La copertura dei grandi temi nazionali e internazionali viene fornita dai giornali tradizionali come il New York Times o da siti come vice.com, ma – osserva – restano le notizie della comunità, come quelle sulla criminalità o sull’immigrazione. E questo è uno spazio che può essere occupato da qualche giornale locale molto innovativo o da una testata fatta da giovani che inventano un nuovo approccio. Per ora ci sono stati moltissimi tentativi ma il modello vincente non è ancora venuto fuori”.
“Eppure – spiega Kahn – negli Stati Uniti questo è uno spazio di mercato enorme: nelle comunità locali è difficile immaginare che i giornali tradizionali, con i costi altissimi che hanno e la difficoltà a trasformare i ricavi tradizionali in ricavi digitali, possano sopravvivere senza altri fortissimi cambiamenti. Ma questa è un’occasione per chi voglia dare un prodotto nuovo a quel pubblico chevuole seguire i temi locali”.
Il sospetto è che questo giornalismo più piccolo e veloce, ma inevitabilmente più frammentato, possa essere anche più debole. “E’ vero – ammette – per questo nuovo giornalismo c’è un punto fondamentale, quello di farsi rispettare dal potere”.
Kahn ricorda che “oggi quando una grande società o un politico fa una maxi-causa contro il giornalista di un sito che ha poche risorse per difendersi si crea un clima difficile per lavorare: per ora ci sono solo associazioni che hanno provato ad affrontare questo problema, offrendo una copertura per chi affronta certi rischi, ma resta il vantaggio del giornale tradizionale, che aveva un punto di forza nelle inchieste, fatte da giornalisti con esperienza, che sapevano dove trovare documenti e fonti”.
“Quello del giornalismo di inchiesta è un mestiere a parte e molto costoso. A Washington o a New York ci sono tantissimi reporter investigativi, e lo abbiamo visto ad esempio nel caso Snowden. E poi c’è propublica, ma è un caso unico” che non è possibile replicare a livello locale.
“Quindi la domanda è: nelle realtà più piccole come farà la stampa a sfidare le autorità o i poteri? E’ tutto da vedere – conclude Kahn – è una delle tante sfide” che aspettano il giornalismo che cambia. (adnkronos)