MOSCA (Russia) – Il giornalismo, in Russia e Bielorussia, è un mestiere ad altissimo rischio, si sa. Ma il caso di Gennady Mozheiko, giornalista (bielorusso) del quotidiano governativo (russo) Komsomolskaya Pravda, edito però in Bielorussia e per questo finito nel mirino del regime di Alexander Lukashenko che ne ha bloccato il sito settimana scorsa, va oltre il normale. Anzi, quasi paranormale. Un vero e proprio cortocircuito da il re è nudo. Persino comico, se non fosse che ora rischia oltre 12 anni di carcere.
La premessa. Mozheiko pare sia stato arrestato a Mosca dagli agenti del Kgb – l’intelligence bielorussa – e trasportato a Minsk, dove ora si trova in custodia cautelare. Praticamente una extraordinary rendition del regime di Lukashenko (che Minsk però nega). Il caso è molto controverso poiché, per l’appunto, pur essendo bielorusso, e dunque non coperto dalla “lunga mano” di Mosca verso i propri concittadini, Mozheiko lavora per un media russo ed è stato l’autore di un articolo evidentemente sgradito.
La scorsa settimana, infatti, nella capitale bielorussa, nel corso di un raid del Kgb, l’esperto informatico Andrei Zeltser avrebbe sparato a un ufficiale dell’intelligence e sarebbe stato ucciso dal fuoco di ritorno. Il gruppo bielorusso per i diritti Viasna sostiene che almeno 86 persone siano state arrestate da allora in relazione al raid.
Ecco il patatrac. Mozheiko pubblica sul sito web di Komsomolskaya Pravda l’intervista a un compagno di classe di Zeltser, che aveva dipinto il 31enne come “un bravo ragazzo” in contraddizione con la descrizione del Kgb, secondo cui si trattava di un “pericoloso criminale”.
La Bielorussia allora blocca il sito web di Komsomolskaya Pravda (questo avviene mercoledì scorso e va notato che il quotidiano non va in edicola dall’agosto del 2020, perché additato a media straniero colpevole di aver coperto le manifestazioni di piazza scoppiate dopo le elezioni). L’articolo incriminato, sostiene il direttore di Komsomolskaya Pravda, Vladimir Sungorkin, è stato corretto “nel giro di tre minuti” proprio perché la redazione si è resa conto che la storia “non corrispondeva del tutto alle idee correnti sulla vicenda” (e tutto ciò la dice lunga sull’idea di giornalismo che vige a queste latitudini). Ma quei tre minuti sono stati fatali a Mozheiko, che è stato accusato di “incitamento all’odio” e “vilipendio delle autorità” e ora rischia un bel po’ di galera, se un tribunale lo giudicherà colpevole.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, pur dichiarando di “non approvare l’arresto di un giornalista per le sue attività professionali”, ha sottolineato di non voler commentare oltre, perché stiamo parlando di “un cittadino bielorusso” e, dunque, si tratta di “un fatto interno”. Mosca, d’altra parte, s’è data da fare per limitare la libertà di stampa a casa propria, tra bollini di “agente straniero”, “organizzazioni indesiderabili” e persino vere e proprio manette, come nel caso di Ivan Safronov, ex reporter di grido incriminato per “alto tradimento”. E pazienza per Mozheiko, allora. (ansa)