Il direttore di Piq.de a Perugia: “Abbiamo l’occasione di trasformare il nostro mestiere”

Giornalismo, Fisher: “Trump come Cernobyl”

Frederik Fisher al Festival internazionale del giornalismo in programma a Perugia fino al 9 aprile

PERUGIA – «L’elezione di Trump, per il giornalismo, ha avuto un impatto paragonabile al disastro Cernobyl: ha azzerato tutto ed ha offerto un’occasione per esprimere idee audaci che possono cambiare radicalmente il nostro mestiere. Sta a noi riuscire a sfruttare questa possibilità di trasformazione».
Lo ha dichiarato Frederik Fischer, direttore di Piq.de, in apertura del panel “Perché Trump è la cosa migliore che potesse accadere al giornalismo” che si è tenuto a Perugia in occasione dell’undicesimo Festival internazionale del giornalismo. Una tavola rotonda per capire l’impatto che l’elezione del neo presidente a “stelle e strisce” ha avuto sul giornalismo e come può cambiare questo mestiere.
Secondo Guia Baggi, cofondatrice dell’Investigative Reporting Project Italy, «la vittoria imprevista di Trump ha sottolineato che c’è una mancanza di collegamento tra i media che operano nelle grandi città e le persone che vivono nelle aree periferiche. Per riguadagnare credibilità bisogna riconnettersi al pubblico: passiamo troppo tempo nel mondo virtuale e per far interessare i lettori ai nostri prodotti, invece, dovremmo tornare tra la gente, rendendo il giornalismo un’esperienza più personale».
Non per tutti gli speaker che hanno partecipato al talk, però, l’elezione del presidente repubblicano rappresenta un’opportunità di rinnovamento per il giornalismo.
«Non c’è niente di buono nella vittoria di Trump, ma una lezione possiamo impararla lo stesso: noi giornalisti siamo incapaci di ascoltare il pubblico», ha dichiarato Jeff Jarvis, professore della City University di New York.
«In America – ha continuato il professore – ci sono tantissime comunità che non sono per niente rappresentate dai grandi media. Inoltre il giornalismo, oggi, non è il miglior strumento per descrivere la complessità del mondo: non tutto può essere rappresentato in 800 parole».
C’è chi pensa che la causa della crisi della professione non sia Trump, ma i giornalisti: «Il nuovo presidente non ha fatto altro che portare a galla i limiti del giornalismo degli ultimi 30 anni. Se nessuno ci legge più – ha dichiarato Lina Timm, fondatrice di Media Lab Bayern – è perché noi giornalisti siamo arroganti. Le start up che si occupano di informazione digitale e i blog, invece, devono fare prodotti che piacciono alla gente, altrimenti non riescono a guadagnare soldi per andare avanti. Ma se i vecchi giornalisti non si adeguano, tra 10 anni non avranno più un pubblico perché saranno tutti passati al digitale». (agi)

 

 

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