ROMA – Durante l’emergenza Covid-19 i tre quarti dei giornalisti italiani (73%) si sono imbattuti in casi di disinformazione: il 78% di questi almeno una volta a settimana, mentre il 22% addirittura una volta al giorno. La maggior parte della disinformazione ha viaggiato su fonti online non tradizionali (social, motori di ricerca, sistemi di messaggistica).
È quanto emerge dall’ultimo Rapporto dell’Osservatorio sul giornalismo, “La professione alla prova dell’emergenza Covid-19”, approvato all’unanimità dal Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che ha deciso di dare il via ad una consultazione pubblica per far luce sulle reali condizioni del lavoro giornalistico.
L’Autorità avvierà, quindi, incontri con il sottosegretario per l’informazione e l’Editoria e con gli stakeholder per raccogliere proposte e intraprendere un confronto sulle principali problematiche del settore, anche al fine di sviluppare indicazioni utili al legislatore ed avanzare proposte al Governo con l’obiettivo di tutelare e rinnovare l’informazione giornalistica in Italia.
Il Rapporto, giunto alla terza edizione, punta in particolare i riflettori sulla drammatica sfida imposta dalla pandemia alla professione giornalistica, analizzata attraverso un’indagine ad hoc che ha coinvolto la scorsa estate i professionisti dell’informazione: è emerso che, per l’attività lavorativa prevalentemente svolta a distanza a causa del lockdown, quasi 9 giornalisti su 10 hanno fatto ricorso a fonti istituzionali piuttosto che a riscontri diretti. Ciò non sembra aver avuto un significativo impatto sui lettori, almeno riguardo le notizie relative agli aspetti sanitari: in 7 casi su 10 i cittadini si sono detti soddisfatti delle informazioni ricevute.
Pur con importanti eccezioni, si è registrata una generalizzata difficoltà delle redazioni a misurarsi tecnicamente con linguaggi e specifiche esigenze dell’informazione di carattere medico-scientifico, “delegando” di fatto a istituzioni ed esperti il compito di informare direttamente i cittadini, nonché di certificare autorevolezza e qualità dell’informazione in materia.
Sullo stato di salute della professione risultano confermate e consolidate le dinamiche già individuate nelle due precedenti edizioni: progressivo invecchiamento dei giornalisti; diffusa precarizzazione; insoddisfacente preparazione specialistica in particolare sui temi economici, scientifici e tecnologici; crescente ibridazione della professione giornalistica strettamente intesa, con attività professionali attinenti al campo della comunicazione. Il tutto in una perdurante crisi di identità e ruolo della professione, entro il quadro più ampio di forti difficoltà dell’editoria.
La consultazione, che partirà oggi, è articolata in otto quesiti strutturati per macroaree e costruiti sulla base delle criticità emerse: accesso alla professione, profili contrattuali e remunerazione del lavoro giornalistico; percorsi formativi e di accesso alle redazioni; competenze digitali e specialistiche dei giornalisti; nuove forme di produzione e diffusione delle notizie; strumenti di contrasto alla disinformazione e alle fake news; pluralismo dell’informazione e criticità dell’informazione locale; tutela del diritto d’autore; minacce alla professione e problematiche connesse alla rappresentatività di genere (due temi che saranno oggetto di specifici prossimi approfondimenti da parte dell’Autorità). (giornalistitalia.it)
Scompaiono gli under 30 e calano gli under 40
L’emergenza Covid-19 ha rappresentato un importante banco di prova per il sistema dell’informazione, posto nuovamente al centro del dibattito pubblico e politico in quanto decisivo snodo per la circolazione di notizie e aggiornamenti di natura medico-sanitaria (e non solo), strumento di aggregazione delle comunità locali e, in definitiva, componente fondamentale per la tenuta dei delicati equilibri su cui si fondano la nostra società e la stessa vita collettiva. La copertura informativa dell’emergenza ha rappresentato però anche una sfida rilevante per lo status professionale di chi si occupa della produzione di notizie, ovvero i giornalisti, già alle prese con l’ascesa delle piattaforme online come intermediari dell’informazione e con la circolazione di contenuti di disinformazione.
Gli ultimi venti anni sono stati contraddistinti, in Italia, da un deciso invecchiamento della popolazione giornalistica, con la progressiva scomparsa di under 30 e una forte riduzione di under 40.
Premesso che più di quattro giornalisti italiani su dieci rientrano nella categoria freelance (costituita da autonomi e parasubordinati), i dati della terza edizione dell’Osservatorio sul Giornalismo confermano inoltre le profonde e strutturali differenze in termini di reddito tra questi ultimi e i dipendenti, e quindi una condizione del mercato del lavoro “insider–outsider”, in cui i lavoratori dipendenti (gli insider) godono di maggiori tutele, mentre le rimanenti categorie di giornalisti (gli outsider) sono costretti a lavorare in condizioni di precarietà e basso reddito.
La precarietà della condizione lavorativa è evidente soprattutto nelle nuove testate (quelle esclusivamente digitali), che raccolgono la gran parte dei giovani professionisti, caratterizzate da un modello organizzativo fondato su una struttura redazionale snella (cosiddette redazioni flessibili) e un ampio ricorso a collaborazioni occasionali
con soggetti freelance.
Alla luce di questi fenomeni (ossia invecchiamento, precarizzazione, e connessa struttura insider-outsider), la professione giornalistica tende a ibridarsi sempre più con altre professioni, e molti giornalisti iniziano a impiegarsi in uffici stampa e comunicazione di enti pubblici e privati, caratterizzate da maggiore possibilità di accedere a fasce reddituali medio-alte e minore precarietà professionale (e personale).
Peraltro, quest’evoluzione si accompagna con, ed è artefice di, livelli di competenze digitali ancora non pienamente sviluppate. È bassa la propensione dei giornalisti allo svolgimento di attività innovative di web journalism che vanno oltre le consuete routine produttive. Inoltre, ai professionisti dell’informazione, che già trattano in maniera inferiore rispetto a temi di politica e cultura argomenti economici e scientifici, manca un livello di conoscenza specialistica (inteso in particolare in termini di formazione accademica) adeguato alla copertura di fatti ed eventi economici, finanziari, scientifici e tecnologici.
Proprio a causa della scarsa attitudine ad attività ad alto contenuto innovativo e del basso livello di conoscenza specialistica su temi scientifici da parte dei giornalisti, questi ultimi, durante l’emergenza sanitaria Covid-19, hanno preferito utilizzare soprattutto fonti istituzionali e dare spazio, senza filtri e mediazioni, a scienziati ed esperti, a cui anche gli stessi cittadini potevano liberamente accedere per informarsi sugli aspetti centrali dell’emergenza.
Ciò è avvenuto a scapito sia delle fonti giornalistiche dirette e all’attività sul campo, solitamente fondamentali nell’attività di confezionamento delle notizie, sia di fonti digitali e open (cosiddetta open data), utilizzate dai giornalisti in maniera talvolta persino inferiore rispetto al periodo precedente l’emergenza.
Il mancato ricorso a fonti giornalistiche di tipo innovativo ha inoltre portato quasi 4 giornalisti su 10, anche nei settori non toccati pienamente dalla pandemia (come lo sono stati ad esempio la cultura e lo sport), a non occuparsi di argomenti trattati abitualmente. Se per la cultura e lo sport tale scelta è dovuta al drastico ridursi di eventi e notizie legati a queste tematiche, occorre altresì rilevare come circa un terzo dei giornalisti abbia rinunciato a trattare notizie di cronaca, la cui mancata copertura non è certamente dipesa da un minor numero di eventi su cui esercitare la funzione informativa. Ciò, a lungo andare, potrebbe portare anche a rilevanti conseguenze, considerato il fondamentale contributo del giornalismo di qualità nel monitorare fenomeni di rilevanza sociale (quali quelli connessi, ad esempio, alla criminalità organizzata) e quindi nell’assicurare un corretto funzionamento della vita democratica del Paese.
Inoltre, in un delicato momento in cui i cittadini devono essere accompagnati da voci esperte, i giornalisti non sono pienamente riusciti, se non in alcuni ma significativi casi, ad assumere un ruolo di debunker e certificatori delle notizie di qualità, lasciando alle istituzioni pubbliche e agli esperti il complesso compito di filtrare, selezionare e decodificare correttamente conoscenze e notizie di interesse collettivo.
Se le istituzioni nazionali e regionali/locali e le istituzioni e le personalità del mondo scientifico, a cui sia i giornalisti sia i cittadini possono accedere allo stesso modo, rimarranno, anche dopo il periodo segnato dalla pandemia, il principale snodo informativo su un numero rilevante di questioni di interesse collettivo, e se gli stessi giornalisti non riusciranno a dotarsi di competenze digitali e specialistiche utili a poter esercitare un maggior controllo sull’intero circuito dell’informazione (e della disinformazione), il ruolo di mediazione storicamente esercitato dai profes- sionisti dell’informazione fin dalla nascita della sfera pubblica occidentale rischia di essere messo in discussione. (giornalistitalia.it)
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Il documento di consultazione pubblica