PALERMO – “Caro Lettore, il Giornale di Sicilia non è stato in edicola per una settimana. Ti spieghiamo il perché”. Così il Comitato di redazione del quotidiano palermitano si ripresenta ai lettori dopo le sei giornate di sciopero proclamate per protestare contro l’aumento dei carichi di lavoro dei giornalisti in regime di cassa integrazione.
“Questo quotidiano con 156 anni di storia – ricorda il Cdr – sta attraversando una crisi grave di copie e di pubblicità, come tutti gli altri giornali d’Italia. Ma a differenza degli altri, in questo c’è una direzione che si ostina a non confrontarsi con il futuro, a non volere affrontare le sfide della modernità. Una direzione in carica dal 1982, quando gli azzurri di Bearzot e Paolo Rossi vinsero il mundial in Spagna e in Italia il presidente della Repubblica era Sandro Pertini. Un’era geologica fa”.
“Adesso, – incalza il Cdr – sempre la stessa direzione, deve affrontare la crisi epocale della carta stampata. E come? Tre anni fa ha chiesto alla redazione e al Cdr, l’organo sindacale di base, 13 prepensionamenti. Che sono stati concessi. Poi non ha rimpiazzato quelli che sono andati in pensione per conto loro. E nessuno ha protestato. Poi ha ridotto compensi a collaboratori e fotografi. E va bene. Poi ha chiesto la cassa integrazione, oppure in alternativa il licenziamento di 12 colleghi redattori e la fuoriuscita di 16 collaboratori contrattualizzati. Ok per la cassa integrazione e una riduzione di quasi il 20 per cento dello stipendio. Alla fine così è rimasto un organico all’osso. Non importa, stringiamo i denti e avanti a testa alta”.
“Poi però – spiega il Comitato di redazione del Giornale di Sicilia – anche la direzione, oltre a tagliare, ha dovuto proporre qualcosa. E cosa ha fatto? Ha ridotto l’organico nella cronaca di Palermo, proprio nell’area core business del giornale. E poi ha tagliato tutte le edizioni della Sicilia orientale e mascherato l’aumento dei carichi di lavoro con una strampalata teoria ragionieristica di numeri di titoli per ogni pagina, priva di alcun fondamento professionale, che – caro Lettore – Ti risparmiamo volentieri. Tra l’altro, ma questo in fondo è solo un dettaglio, tutto ciò è avvenuto senza alcun reale confronto con il Cdr, rimasto nella stanza del direttore 5 minuti e alla prima obiezione è stato invitato ad andare via. Ma non importa, abbiamo le spalle larghe”.
“Ma alla fine cosa è rimasto? Un giornale – denuncia il Cdr – più povero, senza alcuna sinergia con internet dato che il sito Gds.it non è realizzato dai giornalisti del giornale, caso più unico che raro, ma da un service esterno. Senza alcun collegamento con la tv, la nostra Tgs, che un tempo, faceva più ascolti della Rai. Non va bene, non può andare bene. Sappiamo meglio del direttore e del condirettore che bisogna fare sacrifici, li abbiamo fatti. Li faremo”.
“Ma – sottolinea il Cdr – non possiamo rassegnarci alla mancanza di idee, di progettualità, di uno sguardo fresco, aperto e lucido verso il futuro. Vogliamo lavorare, informare, vivere. Per questo siamo stati costretti a fare sentire le nostre ragioni con uno sciopero lunghissimo e senza precedenti in Italia. Per fare sentire la nostra voce, per non avallare un progetto che non ci convince e mortifica le professionalità. E siamo pronti a rifarlo, se azienda e direzione si ostineranno a non ascoltare le ragioni di chi vive di questo giornale più di loro”.
Al comunicato sindacale del Cdr è seguita la replica del direttore ed editore del Giornale di Sicilia, Antonio Ardizzone, che pubblichiamo in calce a questo articolo. Una lunga sequela di gravissime accuse al Comitato di redazione, ma soprattutto uno sprezzante e ingiustificato attacco ai giornalisti ed alla loro rappresentanza sindacale da parte di un editore-direttore che, chiaramente, ammonisce: “qui comando io” e “peggio per loro”. Superfluo ogni commento. (giornalistitalia.it)
Il direttore-editore: “Peggio per loro. Io ho il dovere di andare avanti”
PALERMO – Il Comitato di redazione, non avendo argomenti per sostenere uno sciopero del tutto immotivato, sceglie la strada dell’insulto. Non merita risposta. Che è dovuta, invece, ai lettori che ci seguono. E rispondo per quello che sono, l’editore di maggioranza assoluta, il titolare delle decisioni, il direttore politico di questo quotidiano e l’ultimo discendente della famiglia che ha fondato questo giornale 156 anni fa, che è una azienda privata, gestita da me, insieme ai soci, e che ha sempre vissuto, decidendo da sola, senza sostegni esterni, senza contributi pubblici né partecipazioni di alcun genere.
Mi trovo nella stessa condizione in cui si trovano tutti gli editori di carta stampata di questo Paese e, come tutti loro, sono impegnato nelle stesse scelte che gli altri hanno fatto o stanno facendo. Si è proceduto ad inevitabili restrizioni, in questi nove anni di crisi gravissima: prima i soci (da 9 anni senza dividendi), poi gli amministratori (80 per cento in meno di emolumenti), ancora i poligrafici (salari ridotti del 42 per cento) ed in ultimo i giornalisti (retribuzioni ridotte del 18,50 per cento).
L’obiettivo cruciale, oggi, è quello di sopravvivere tentando di riportare nell’azienda quell’equilibrio tra costi e ricavi che la crisi ha travolto. È questo che i componenti del Comitato di redazione non accettano, chiudendo gli occhi davanti ad una realtà che non si vuol vedere. Peggio per loro. Io ho il dovere di andare avanti.
I lettori avranno un giornale nuovo, che in parte possono già leggere. Un giornale che si ammoderna e si adatta ai tempi. Nel momento in cui la carta stampata è spiazzata dai tempi della cronaca, vogliamo in edicola un quotidiano che spiega meglio e di più i fatti per far sapere cosa è successo ma pure perché è successo.
Raggiungiamo questo obiettivo ristrutturando tempi di produzione, accorpando edizioni, rivedendo formule e modelli consolidati nel passato. Questo non comporterà maggior lavoro per i giornalisti, ma certamente più estro, più impegno facendo cadere, forse, confortevoli abitudini e certezze trascorse.
È questo che spaventa? Ma non ci sono alternative. Io credo in questo giornale. Ho sostenuto con la mia famiglia e gli altri soci i deficit costanti registrati negli ultimi nove bilanci, impegnando tutte le risorse accumulate in anni di gestione accorta.
Non ci siamo fatti fiaccare dalla crisi, guardando al futuro. Abbiamo realizzato il sito on line che è ora nettamente leader in Sicilia, raggiungendo, con una gestione esterna alla redazione, risultati di gran lunga migliori, e a costi nettamente più bassi, di quanto non fossero quelli ottenuti quando il sito era gestito dai nostri giornalisti. Non si capisce perché dovremmo tornare indietro, riportando la sua produzione in redazione, quando il Cdr diceva e dice che si devono sopportare, ieri come ancora oggi, carichi di lavoro insostenibili già per fare il giornale di carta stampata. Tutto questo è stato possibile, dosando con rigore tagli e investimenti.
E, quanto ai prepensionamenti, questi non sono stati concessi dal Cdr, ma decisi dagli editori titolari del potere di farvi ricorso. Questi i fatti che il Cdr travisa. Ma nessun Cdr può fermarmi nel proposito di salvare una azienda che deve lottare per la sopravvivenza.
I lettori vedranno, con i fatti, che il Cdr mente perché proprio io, da editore insieme ai soci, e da direttore insieme al condirettore, sto lavorando per il futuro. E sono certo di avere da chi ci legge e ci segue, come sempre in 156 anni, comprensione e attenzione. Per questo non posso rinunciare alle mie scelte rispettando, come sempre, leggi, contratti e accordi. I giornalisti dicono di volere proseguire nello scontro avviato.
Facciano pure. Io resto fermo. Fino alle estreme conseguenze.
Antonio Ardizzone
direttore ed editore del Giornale di Sicilia