ROMA – È stato forse l’architetto più importante e noto di tutti i tempi, se escludiamo il semi-mitico Dedalo; dal suo nome è stato dedotto un aggettivo, “palladiano”, che indica rigore, armonia, classicità, bellezza. Quarantasette delle sue opere sono iscritte nell’elenco del Patrimonio mondiale dell’Unesco: 23 nella città di Vicenza e 24 ville nella campagna veneta.
Il Teatro Olimpico di Vicenza, da lui progettato (è la sua ultima opera) sarà, poi, materialmente eretto dal figlio Silla: è il primo teatro stabile coperto dell’era moderna, realizzato con un occhio a Vitruvio, nella realizzazione di una cavea semiellittica, ed uno alla moderna funzionalità, con un monumentale palcoscenico rettangolare e, soprattutto, con la copertura dell’edificio, che è a sé stante, non inserito in un palazzo. Sul palcoscenico ci sono ancora le scenografie della prima rappresentazione, l’Edipo Re di Sofocle, eseguita nel 1585, cinque anni dopo la scomparsa di Palladio: rappresentano le vie di Tebe, e mettono i brividi addosso a chi ha avuto la ventura di inoltrarvici per pochi passi.
Di Andrea Palladio conosciamo le opere, universalmente ammirate, che hanno ispirato l’architettura dei secoli successivi. E però sappiamo poco di lui.
Palazzi, ville, chiese, ponti: è impressionante l’elenco delle opere realizzate o progettate da Palladio. Ma il più famoso e celebrato architetto dell’era moderna visse, e morì, in povertà: non riuscì mai a monetizzare il suo immenso talento, pur in presenza di una committenza che certo non aveva scarsa disponibilità economica.
Non ebbe mai, terribile paradosso, neppure una casa propria: “ideava stupendi palazzi e ville padronali ma abitò sempre in affitto o talora ospite di amici, spostandosi ripetutamente da un’abitazione all’altra”, scrive in proposito Gianpietro Olivetto, in un suo singolare ed avvincente volume che si occupa sì delle opere e dei trionfi architettonici di Palladio ma che, per la prima volta, ne ricostruisce anche la storia privata, avventurosa e dolorosa, col rigore del ricercatore, la capacità affabulatoria del narratore, la professionalità comunicativa del buon giornalista; un testo che appassiona come un romanzo, con l’aggiunta di gustose divagazioni: “Andrea Palladio. La famiglia, l’opera, il suo tempo” (Itinera Progetti, Bassano del Grappa, 190 pagine, 9,90 euro).
Palladio, di umili origini, vicentino di adozione ma nato in Padova, esordì come scalpellino e divenne “architetto” a furia di frequentar cantieri, visitare ruderi – in particolare lo colpirono le ruine di Roma – e di compulsare da autodidatta libri su libri. Ebbe un unico grande amore, una donna che gli fu compagna per la vita, si chiamava Allegradonna (e nel XXI secolo le hanno intitolato anche un cocktail); sopravvisse alla morte prematura di due suoi figli (uno accusato di eresia; l’altro condannato per omicidio) e visse sempre in povertà. Fece realizzare a Vicenza la maggior parte dei suoi capolavori, ma segnato dalla tragica fine dei figli si trasferì a Venezia, dove si dedicò in particolare a progettare chiese. Persino il suo luogo di sepoltura rimase a lungo sconosciuto, così come quasi nulla si sapeva delle sue fattezze. L’investigazione di Olivetto svela anche questi misteri, oltre ad accennare alla sua eredità: culturale, non economica, perché Palladio morì povero, com’era vissuto. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino
CHI È GIAMPIETRO OLIVETTO
Nato a Lonigo, in provincia di Vicenza, il 1° novembre 1950, vive a Sacrofano, alle porte di Roma. Laureato in sociologia e diplomato in giornalismo all’Università di Urbino, giornalista pubblicista dal 1976 e professionista iscritto all’Ordine del Lazio dal 24 marzo 1980.
Già redattore capo in Rai (Struttura Rai per il Giubileo del 2000, Giornale radio e Gr Parlamento), inviato, vaticanista, ha lavorato a lungo per Il Gazzettino, il Giornale di Vicenza e il Mattino. Da febbraio a maggio 2005 al Tg1, redazione esteri, per la morte del Papa e il conclave.
Gli esordi negli anni ’70, nei quotidiani del Veneto: “Giornale di Vicenza”, “Gazzettino” (sedi di Vicenza e Bassano del Grappa), “Diario di Padova”, “Eco di Padova”. Per 15 anni ha lavorato per “Il Mattino” (prima alla sede di Napoli, poi alla redazione romana), come cronista, inviato, caposervizio interni e vicecapo f.f. redazione romana. Per oltre un anno caposervizio, inviato di cronaca e vaticanista al quotidiano “L’Informazione”.
Già collaboratore (di cronaca e costume) del settimanale “Oggi” e di altre testate nazionali (“Repubblica”, “Il Resto del Carlino – La Nazione –Il Giorno”, “Epoca”, “Panorama”, “Famiglia Cristiana”, “Sicilia”, “Giornale di Brescia”, “Secolo XIX”, “Gazzetta Mezzogiorno”, “Arena”).
Nel 2020 ha pubblicato “La dolce vita di Fraka” (All Around), una biografia di Arnaldo Fraccaroli, detto “Fraka”, per 50 anni inviato del Corriere della Sera, giornalista, filosofo, poeta, commediografo e tombeur de femmes; tra l’altro, “La dolce vita” prima del celeberrimo film di Fellini, fu il titolo di una commedia in tre atti di Fraccaroli. (giornalistitalia.it)