BARI – Strana gente, i giornalisti sportivi. I giornalisti sportivi veri, intendo, non gli esagitati telecronisti che ululano gooooooouuuuuullllll e via di seguito in tv o i loro emuli sulla carta. No, i giornalisti sportivi veri sono innanzitutto giornalisti. Veri.
Appassionati e conoscitori (non sempre le due cose coincidono) delle discipline di cui si occupano, sono cronisti, sono giornalisti investigativi, sono inviati (anche quando li inviano ad un campetto poco distante dalla sede di lavoro), sono redattori di costume e società. Ma non basta: sono narratori. Perché la narrazione è il cuore delle cronache sportive. E quelli bravi sono ottimi narratori, anche quando si cimentano con altre forme di narrazione, il romanzo per esempio, ed al di fuori dello sport.
Gianni Spinelli, per esempio, già vice redattore capo della Gazzetta del Mezzogiorno e collaboratore del Guerin Sportivo e del Giorno, oggi editorialista del Corriere del Mezzogiorno, è un narratore di grande potenza evocativa. Poi è pure meridionale, ed io me l’immagino trasportato da una macchina del tempo in un palazzo cretese o miceneo, nel mègaron, che affabula, magari con accompagnamento di una cetra, il signore e gli altri uditori, raccontando storie di ciò che non fu mai, ma è sempre. Quello che i nostri antenati greci chiamavano “mito”. Che quasi mai ha un lieto fine.
E di grande capacità di affabulazione è il suo più recente romanzo, questo appassionante “Il blues di Mariam” (Castelvecchi, 166 pagine, 18,50 euro), un mito ambientato con realismo magico, e la musica a fare da filo conduttore, in un paese fantasma, che esiste, beninteso, ma non è più un paese: Craco, la “Pompei del XX secolo”.
Un filo conduttore che fa da filo d’Arianna per salvare Teseo dal Labirinto; cosa che non riuscì, neppure col conforto potente della musica, ad Orfeo, il più grande di tutti i cantori. Non figurano nel romanzo; ma sentiamo che sono lì, nel profondo del mito; nel sottotesto, se volete. Di una storia fantastica ambientata nella contemporaneità, con tutti i suoi problemi, ma anche in quell’altrove assoluto che è il mito, ciò che non fu mai ma è sempre, dove solo la potenza della parola ci può trasportare.
Craco “resuscita”, quasi per magia, e diventa una sorta di Repubblica degli Artisti (ispirata alla storia vera di Calcata, nella Tuscia viterbese: anch’essa spopolata per moti franosi e ripopolata da una comunità internazionale di artisti) transnazionale, che ha in una energica ragazza del Mali, la Mariam del titolo, la sua musa e guida. E il paese fantasma inizia a rivivere, si trasforma in una sorta di Eden che attrae anche un vecchio abitante di Craco, trasferito con la moglie nel paese provvisorio di Peschiera, edificato a valle della franante Craco per ospitarne gli sfollati, una specie di triste dormitorio con scarsissimi servizi. E il settantenne Giuseppe si innamora di Mariam, e partecipa con lei all’impresa di far rinascere la “sua” Craco.
Nell’Eden si insinuano però ben due serpenti: uno è un politico ex senatore che si finge pentito, l’altro un giornalista infido e viscido. E la rinata Craco autogestita dagli artisti, poco abili nel districarsi con gli scontrini fiscali e gestione dei progetti di ristrutturazione degli edifici più o meno lesionati del paese fantasma, da loro comunque rimessa in sesto e portata a notorietà internazionale, grazie anche a produzioni teatrali innovative (anche qui con un filo ironico che garbatamente prende in giro i vari registi che si sentono un Padre Eterno) finirà nelle mani di un altro inflitrato, speculatore immobiliare.
Ricco di sottotesti, il godibilissimo romanzo, accompagnato dalla prima all’ultima pagina da una colonna sonora anch’essa, come la Repubblica degli Artisti, meticcia: col prevalente blues (e blues del Mali, per di più) che si contamina ed incrocia col flamenco, col rock, col jazz e il rap; e con una coppia, un Giuseppe e Mariam, che richiama vicende di duemila anni prima, in quella Terra Santa della quale Craco aveva più volte fatto le veci come set cinematografico. E poi la speculazione immobiliare sempre in agguato, i faccendieri sempre all’opera, troppo spesso travestiti da agnelli per insinuarsi fra le greggi, e un certo giornalismo, che purtroppo esiste, esercitato da marchettari e da arruffoni ed arraffoni senza scrupoli e senza dignità. E il ricordo di Rocco Scotellaro, il giovanissimo sindaco poeta di Tricase, del quale ricorrono quest’anno il centenario della nascita (19 aprile) ed il settantesimo anniversario della prematura morte (15 dicembre).
Un racconto mitologico. Senza lieto fine. Perché, come nel mito greco, come nella tragedia greca, il fine della narrazione è la catarsi. È provocare empatia e sdegno, commozione passione e orrore. E magari rinnovato impegno, chissà, per ridare vita – restando in guardia – a tanti affascinanti borghi fantasma della nostra Italia. Partendo per esempio da quella splendida, inquietante città fantasma che è Craco; una Pompei a cielo aperto, senza morti e senza lava, spopolata definitivamente dal 1974 dopo che nel 1963 erano iniziati smottamenti e frane che avevano fatto crollare alcuni edifici, lesionandone altri, abitata al momento soltanto dai corvi e dai colombi ed attraversata nelle sue propaggini più basse dai pastori e dalle loro greggi; visitabile solo in escursioni guidate su itinerari sicuri (c’è sempre il rischio crolli), e di difficile raggiungibilità (ma vale la pena di andarci; si ha l’impressione di sbarcare da una macchina del tempo). Un paese crepuscolare che attende, come l’attendeva Scotellaro, un’alba sempre nuova. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino
CHI È GIANNI SPINELLI
Giornalista professionista iscritto all’Ordine della Puglia dal 26 marzo 1968 e scrittore, Gianni Spinelli è nato a Noci e vive a Sammichele di Bari. È stato vice redattore capo della Gazzetta del Mezzogiorno ed ha collaborato con Guerin Sportivo, Il Giorno, Rigore, Corriere della Sera, Avvenire, Meridiani, Geo, Donna Moderna, E Polis Bari.
È attualmente editorialista del Corriere del Mezzogiorno e fa parte della redazione della Rivista di Studi Breriani, che pubblica con cadenza biennale I quaderni dell’Arcimatto. Fra i suoi libri, Palloni & Palloncini, I figli di Mamma Palla, Il gol di Platone, Settanta volte donna, Tutta colpa di Eva, Andiamo al Cremlino, La scatola di cuoio, Zeman per sempre. (giornalistitalia.it)