FERRARA – È morto Gian Pietro Testa, uno dei più grandi giornalisti d’inchiesta, esperto di cronaca giudiziaria e terrorismo. Aveva 86 anni e nella sua lunga e prestigiosa carriera ha scavato nel profondo delle trame più oscure della storia italiana, come le stragi di Piazza Fontana, Peteano e Bologna. È stato consigliere regionale dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna dal 1995 al 2001 ed ha fondato la scuola di giornalismo dell’Ordine di Bologna.
Si è spento all’ospedale della frazione Cona di Ferrara a causa delle complicazioni legate ad alcune patologie di cui soffriva da tempo. Pochi mesi fa aveva perso la sua compagna. «La morte della sua Elettra – ha dichiarato suo figlio Enrico, caporedattore centrale di Raisport – lo ha ucciso dentro ma ancora di più lo ha ucciso il non arrendersi al tempo che passava e che passa. Papà detestava il capitalismo, papà era molto più anarchico che comunista, papà non sopportava l’arroganza del potere e il potere a prescindere».
Nato a Ferrara il 24 settembre 1936, ha lavorato in diversi quotidiani nazionali, tra cui Il Giorno, l’Unità, Paese Sera. È stato tra i fondatori del settimanale Avvenimenti e direttore del quotidiano napoletano Senzaprezzo e della rete televisiva NTV a Bologna. Alla fine degli anni ’60 e negli anni ’70 si è occupato di cronaca nera e terrorismo. È stato il primo giornalista a entrare nella sede della Banca dell’Agricoltura il 12 dicembre del 1969 e della strage di Bologna. Il suo lavoro investigativo lo farà annoverare tra i cosiddetti “pistaroli”, il gruppo di giornalisti d’inchiesta celebrato nel libro di Marco Nozza.
Terminata l’attività di cronista, ha fondato e insegnato nella scuola di giornalismo di Bologna e al Carid dell’Università di Ferrara. Dal 1985 al 1992 è stato capo ufficio stampa del Comune di Ferrara e direttore del mensile Ferrara. Nel 1976 ha pubblicato il libro “La strage di Peteano” (Einaudi). Alla strage della stazione di Bologna, del 2 Agosto 1980, ha invece dedicato “Antologia per una Strage”, raccolta di 84 poesie, una per ogni vittima, uscita per Zanichelli nel 1980 e ripubblicata da Minerva edizioni nel 2005. Sempre sulla Strage di Bologna ha scritto nel 1986 “Terrorismo: la strategia che viene dall’alto” (Thyrus) a cura dell’Associazione dei familiari delle vittime.
Ha scritto anche: “I canti di Focomorto” (Edizioni del Leone, 1985), “Il linciaggio” (Liberty House, 1988), “L’ultima notte di Savonarola” (edizioni Liberty House, 1990), “Il muschio del nord” (Corbo Editore, 1995), “Una notte che la luna era morta” (Book Editore, 2000), “Don Rodrigo o la rivoluzione fallita” (Di Renzo, 2003), “Lettera semiseria di un comunista al signor Dio Ill.mo” (T. Editore, 2004), “Io sono il milite ignoto” (Minerva Edizioni, 2006), “Via di Gatta marcia” (Minerva Edizioni, 2009), “Il rocchetto di Ruhmkorff” (Minerva Edizioni, 2013), “Il vestito di taffetà” (Este Edition, 2018).
Nel 2017 è stato insignito dall’Associazione Stampa di Ferrara del Premio alla carriera per aver scavato «nel profondo delle trame più oscure della storia italiana».
Il suo amico e collega Sergio Gessi, che ha curato la prefazione del suo ultimo libro (“L’odio”, Edizioni La Carmelina), ricorda che «Per Gian Pietro il giornalismo era uno strumento finalizzato alla ricerca della verità, accompagnato dal dovere di combattere l’ingiustizia. Per questo si è sempre trovato a praticare strade in salita e molto spesso nella condizione di dover sminare il terreno per fare chiarezza fra i fatti e gli ostacoli frapposti dai potenti al fine di occultare le soperchierie e alimentare i propri interessi. Nella sua lunga e brillante carriera non ha mai derogato da questa regola ferrea.
Sempre caparbiamente dalla parte del torto: sempre attento ai deboli e agli sfruttati, sempre pronto a denunciare gli abusi, le soperchierie, i vezzi e i vizi dei potenti. Gian Pietro Testa ha fatto della sua professione uno strumento di giustizia, dando voce a chi voce non ha, stando sempre al riparo dalle lusinghe e dalle tentazione del Potere, senza farsi irretire mai dagli uomini che il potere esercitano a proprio vantaggio e non a tutela dei diritti che a ciascuno vanno garantiti». (giornalistitalia.it)