MUGGIA (Trieste) – Il giornalista Gian Mario Tomainu, storico cronista dell’Agi, è morto stamane nella sua casa di Muggia, davanti al golfo di Trieste di cui si era innamorato e dove si era trasferito da anni dopo la pensione. Aveva compiuto 76 anni ieri. Solo alla fine dell’anno scorso aveva scoperto la malattia che se l’è portato via e di cui neanche i colleghi coi quali era rimasto in contatto sapevano.
Nato a Orgosolo (Nuoro) il 13 maggio 1945, giornalista professionista iscritto all’Ordine della Lombardia dal 3 giugno 1986, Tomainu aveva iniziato molto presto a scrivere dalla Sardegna, con la quale ha sempre mantenuto un legame fortissimo, anche dopo averla lasciata per lavorare nella redazione dell’Agenzia Italia a Milano, nel 1983, dove è stato cronista di giudiziaria per il resto della sua carriera. Di Orgosolo è sua moglie Pina Pirisinu, con la quale ha avuto due figli, Ivano, che si era trasferito a Trieste, e Monica, che lavora all’estero, ma entrambi negli ultimi giorni erano accanto a lui.
Nel 2004 è stato il primo giornalista a parlare con il compaesano e amico d’infanzia Graziano Mesina, ex Primula rossa del banditismo sardo e condannato all’ergastolo, ora di nuovo latitante, che quell’anno era appena uscito dal carcere di Voghera, dopo aver ricevuto la grazia dal presidente della Repubblica.
Nella sua lunga carriera professionale, cominciata quand’era giovanissimo con le cronache della rivolta di Pratobello del 1969, a Orgosolo, contro gli espropri dei pascoli comunali, Tomainu è stato addetto stampa all’Enichem di Ottana (Nuoro), prima di essere assunto all’Agi. Ha collaborato con L’Unione Sarda, L’Europeo, Famiglia Cristiana e il Messaggero Sardo, il periodico dedicato agli emigrati sardi. È stato anche presidente della squadra di calcio (poi diventata di softball) di Orgosolo, dove ancora vive parte della sua famiglia.
Tomainu, allora giovanissimo, aveva raccontato in prima persona la sua infanzia e adolescenza nel libro di Giuseppe Fiori “La società del malessere”. «Siamo una famiglia di pastori», scriveva il figlio di un servo pastore che solo in età matura sarebbe riuscito ad avere un gregge tutto suo. «Sono il terzo di cinque figli, frequento l’Università a Cagliari, giurisprudenza, e mando corrispondenza da Orgosolo a Radio Cagliari e all’Unione Sarda». Ma da bambino Mario (così lo chiamavano amici e familiari) aveva fatto, d’estate, vita da pastorello, che ricordava con parole nostalgiche nel saggio di Fiori. (agi)
Dall’ovile con Mesina al collegio in Umbria
«Ero contento, a un bambino la campagna piace, dà un’idea di avventura, di grande libertà». L’ovile della famiglia Tomainu era a una ventina di metri da quello dei Mesina. Graziano era tre anni più grande di Mario e i due erano compagni di giochi: «Era capace di pescare con le mani, prendeva ranocchi, pesciolini, cosa difficile, bisogna averci l’occhio e la prontezza», ricordava il futuro giornalista del bambino destinato a una vita da criminale e all’ennesima latitanza. «Forte, un ragazzino d’energia incredibile, per la sua età».
La svolta per Mario era arrivata con l’incontro con un sacerdote alla colonia marina della Caletta, vicino a Siniscola (Nuoro): gli era stato proposto di studiare in Umbria, dove poi avrebbe concluso il ginnasio in un collegio con la prospettiva di prendere i voti. Vacanze estive sempre a Orgosolo, anche per dare una mano al padre pastore. Graziano Mesina lo sfotteva: «In bella strada ti sei messo». Nel frattempo erano diventati parenti: un fratello della madre di Mario aveva sposato la sorella di Grazianeddu, Giuseppa (tzia Peppedda).
Tomainu non aveva mai concluso il noviziato, gli era mancata la vocazione. Nel 1963 era tornato a Orgosolo e aveva frequentato il liceo a Nuoro: per mantenersi agli studi aveva lavorato come assistente prima in un orfanotrofio e poi in un convitto. Nel suo futuro, complici i fatti di Pratobello, ci sarebbe stato il giornalismo.
Gli anni al palazzo di giustizia di Milano
A Milano aveva seguito i grandi casi di giudiziaria, dall’omicidio Ambrosoli, ai processi per terrorismo, Tangentopoli, Turatello, il caso Mondadori e tanti altri. Il mestiere e la comune origine lo avevano portato a conoscere il presidente della Repubblica Francesco Cossiga che – raccontava Tomainu – una volta fece fermare il corteo delle auto blu per scendere e salutarlo di persona.
Per chi ha condiviso con lui la vita di redazione resta indimenticabile il ricordo delle lunghe telefonate in sardo ascoltate, che iniziavano immancabilmente con un energico “ajò” per concludersi con “in bonora”.
Per anni ha sfamato i colleghi con i prodotti tipici della Sardegna che non mancavano mai nella sua dispensa, dal pane carasau, al formaggio casizolu, alle seadas, i dolci al miele preparati dalla moglie; un esempio della sua naturale gentilezza e dell’ospitalità della sua terra, che lui praticava anche “in continente”, nella Milano in cui si era ambientato tanto bene. (agi)