Filippo e Maria Elisabetta Curtosi “contro il mito”: colpevole di parresia o capro espiatorio?

Giacomo Matteotti: quanto costa dire la verità?

Maria Elisabetta e Filippo Curtosi

ROMA – “Contro il mito Matteotti. Colpevole di parresia o capro espiatorio”, è un libro scritto a due mani dai giornalisti Maria Elisabetta e Filippo Curtosi, padre e figlia, per la Casa Editrice “Francesco Tozzuolo Editore”, 152 pagine, 20 euro – sottolineano gli autori – «interamente dedicate alla storia di Giacomo Matteotti, che fu il più carismatico e inflessibile intellettuale antifascista europeo».

Giacomo Matteotti

Nato da una facoltosa famiglia socialista, dopo aver rinunciato a una importante carriera di professore di diritto e procedura penale universitaria, Matteotti – esordisce Maria Elisabetta Curtosi – si dedicò fino al sacrificio della vita alla lotta contro i totalitarismi fascista e comunista, contro qualsiasi autorità, politica, militarista, religiosa, per la libertà, la democrazia e la giustizia, attraverso gli scritti, i discorsi, le lettere che abbiamo scelto per raccontare il vero Dna dell’uomo, delle tante vite del deputato socialista, al netto del mito, del martire e dell’eroe e contro ogni retorica del “santino”».
Filippo Curtosi, più della figlia, va ancora molto oltre questo giudizio sommario e di merito. «La parola – sottolinea – a volte può essere fabbricata, ingannevole, bifronte, ma non nel caso di Matteotti nel quale è una continua rinascita, un movimento inesauribile, una materia che s’impasta con i suoni, i silenzi, il mistero dello sguardo, dell’immagine di una realtà diversa che schiude mondi. Le parole di Matteotti sono, infatti, sovversive, sacrali, primitive, emotive, capaci di rovesciare certezze della mente, distruggere pregiudizi, per scuotere il coro che dorme…».
Forte, passionale, appassionato, è quasi intimo questo racconto che padre e figlia fanno del vecchio leader socialista e che Maria Elisabetta Curtosi dedica oggi a suo nonno: «A Filippo, mio nonno, socialista che definì Matteotti critico, utopistico, infangato dai comunisti, isolato dai socialisti e ammazzato dai fascisti».
Il grande interrogativo, a cui gli autori tentano oggi di dare una risposta, è forse il più arduo: «Che uomo era il nemico più temuto dal fascismo degli albori?».
«Nel centenario del suo assassinio – rispondono all’unisono – abbiamo provato a capirlo. Grazie ad alcuni dei 106 discorsi alla Camera, a quelli del Consiglio provinciale di Rovigo, agli scritti e alle lettere sui giornali, a Togliatti, a Turati.

Filippo Curtosi

I testimoni che lo conobbero sono tutti morti, né sono giunti fino a noi video o audio, solo le lettere, gli scritti, i discorsi. La storia, più del tempo e dello spazio, in questo caso, non ancora chiuso, la fanno le parole. Il delitto Matteotti, i fatti o le testimonianze postume “sono” le parole che li raccontano».
I due giornalisti non hanno alcun dubbio sul grande valore morale che rappresentava Giacomo Matteotti e in testa al loro saggio precisano che la vera protagonista di questo libro «è la parola, una parola: parresia, il termine che connota, nella lingua greca, l’attività di dire la verità, il parlare chiaro».
Chi è colui che può dire la verità e quale rapporto e quali conseguenze tra la verità e il potere? «Secondo noi – scrivono Filippo e Maria Elisabetta Curtosi – la problematizzazione della verità nella totale libertà sono elementi che caratterizzano la fine di uno status quo e l’inizio di qualcosa che non si conosce. Il metodo che abbiamo seguito è quello dell’analisi filologica consapevoli che la cosa è quella che ognuno di noi vede, tocca, annusa, ricorda. Invece la verità non si può nemmeno inventare, forse è tutto ciò che non sappiamo, come scriveva Concetto Marchesi ne “Il libro di Tersite”».

Giacomo Matteotti

E qui ritorna prepotente quello che sembra essere il vero mantra di questo libro di ricostruzione storica, scritto, questo va detto, con una attenzione ai documenti storici che è quasi maniacale. «Matteotti – scrivono Filippo e Maria Elisabetta Curtosi – ha un Io reale uguale all’Io ideale, a lui non importava il piacere di essere odiato, picchiato, denunciato dal potere fascista o apprezzato dai suoi pavidi compagni socialisti o della opposizione perché meglio una promozione in carriera politica, sociale, culturale che rafforza la propria identità che indagare e denunciare il male, le ingiustizie».
Un caso, questo di Giacomo Matteotti, a giudizio degli autori «mai chiuso, ancora aperto a distanza di un secolo dall’arresto degli esecutori materiali, dalle indagini che l’hanno preceduto, dalle condizioni in cui è avvenuto, senza accontentarsi della cosiddetta versione ufficiale, perché la storia della Repubblica è piena ancora oggi di notti avvolte nel mistero.
Ecco perché – evidenziano i due autori del libro – in ampi settori dell’opinione pubblica si è diffuso, al posto del dubbio, il pregiudizio che ha trasformato l’ansia diffusa di verità in presunzione di menzogna da parte del potere costituito.

L’ultima foto di Giacomo Matteotti

Il delitto Matteotti induce a dubitare, scavando un solco tra cittadini e Stato, sia esso fascista o democratico, per cui dietro ogni scena ci deve essere un retroscena, dietro un fatto una trama e dietro un delitto politico e non, un puparo».
Dopo la sua morte – spiega il saggio dei Curtosi – Matteotti diventa un mito, un eroe, quasi un santo. Ma come si spiega l’immagine idealizzata dopo la morte di uno che era contro tutto e contro tutti?
«La risposta – sottolineano Maria Elisabetta e Filippo Curtosi – è nella politica, nel senso che la politica di qualunque coloritura si svolge in modo autonomo, indipendente dalle considerazioni morali, etiche, si preoccupa solo dell’efficacia delle sue operazioni. Senza scrupoli, con l’inganno, la menzogna. In altre parole, il male è inerente all’azione politica. Anche Sant’Agostino era consapevole dello spirito “demoniaco” nascosto nella politica, sicché egli contrappose la Città dell’uomo, creatore della politica umana, alla Città di Dio, rammentando che fu Caino il fondatore della prima città e Romolo il fondatore di Roma e tutte due furono fratricidi».
Un libro dunque tutto da leggere, pieno di riferimenti bibliografici, di citazioni colte, scritto con grande passione e senso di rigore, che fa di Filippo e Maria Elisabetta Curtosi due testimoni attenti, e soprattutto attendibili, del nostro tempo. (giornalistitalia.it)

Pino Nano

CHI È FILIPPO CURTOSI

Filippo Curtosi

Filippo Curtosi è nato il 5 febbraio 1954 sul carro dei genitori, massari, nei pressi di Pannaconi di Cessaniti (Vibo Valentia), dove vive. Avvocato, ha lavorato all’Ufficio legale della Provincia di Vibo Valentia. Già dirigente ai massimi livelli della Uil Enti Locali e successivamente segretario provinciale della Cisal di Vibo Valentia di cui è consigliere nazionale e coordinatore regionale della Csa Cisal Enti Locali. Giornalista pubblicista iscritto all’Ordine della Calabria dal 19 giugno 2004, ha scritto su “L’Avanti!”, “Critica MM”, “Italia Oggi”, “Calabria Letteraria”, L’Altra Provincia”, “Cronache Italiane”, “Il Quotidiano della Calabria”, “Gazzetta del Sud”, “Calabria Ora” e “Mezzoeuro”.
Assieme a Giuseppe Candido ha fondato e diretto il trimestrale di storia, arte e cultura laica e liberale “Abolire la miseria in Calabria”. Un personaggio davvero unico nel suo genere e che ha segnato la vita e la storia del sindacato in Calabria.

CHI È MARIA ELISABETTA CURTOSI

Maria Elisabetta Curtosi

Maria Elisabetta Curtosi nasce nell’agosto del 1989 a Pannaconi, piccolo borgo alle porte di Vibo Valentia. Dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti, si è laureata in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. È giornalista e scrittrice per passione. Da pubblicista esordiente ha curato una rubrica sul quotidiano “Calabria Ora” e sul periodico “Mezzoeuro”, così la sua passione per la scrittura, congiunta all’amore per la cultura, la storia, le arti e le tradizioni calabresi, l’ha portata a collaborare con molte testate, tra cui la rivista mensile di Cultura e Arte “Calabria Letteraria” e “Abolire la miseria della Calabria”, periodico nonviolento di storia, arte, cultura, politica laica liberale calabrese.
Ha curato con Filippo Curtosi e Francesco Cavallaro il volume “Il Cinema e la Memoria, Vittorio De Seta: il coraggio delle idee” (Adhoc Edizioni). Ha svolto attività di volontariato con le Associazioni culturali “L’Altro Aiuto” e “Non mollare”. Oggi lavora a Roma nella Direzione Generale del Patronato Encal Cisal. (giornalistitalia.it)

 

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