TORINO – “Liberi di informare” è il convegno che, in occasione della mostra dedicata ai 135 anni della “Gazzetta del Popolo”, si propone di approfondire alcuni momenti della storia di questo importante quotidiano. La manifestazione avrà luogo lunedì 6 maggio, dalle ore 9, nella sala Viglione di Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte.
Prestigioso il parterre dei relatori. Introducono i lavori il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte, Alberto Sinigaglia, e il segretario dell’Associazione Stampa Subalpina, Stefano Tallia. Poi sarà la volta di Luca Rolandi, giornalista, cultore di storia del giornalismo che ha disegnato la mostra dedicata alla “Gazzetta”.
I relatori sono perlopiù cronisti che in quel giornale hanno appreso i rudimenti della professione per poi transitare in altre testate con altri incarichi: Giampaolo Boetti, in seguito caporedattore a La Stampa; Salvatore Tropea, direttore dell’edizione piemontese di Repubblica; Beppe Fossati, diventato prima la firma de Il Giornale e poi direttore di TorinoQui; Piero Bianucci che definiscono “il Piero Angela della carta stampata”.
I 135 anni della Gazzetta del Popolo rappresentano una vera e propria riscoperta di un tesoro professionale. Con immagini inedite, documenti esclusivi e interviste di giornalisti che hanno lavorato nella redazione viene esposta una storia più che secolare.
Per la verità le mostre, aperte fino al 19 maggio, sono tre. Al Museo Nazionale del Risorgimento (orario di apertura: 10-18) si racconta il periodo cosiddetto risorgimentale: dalla fondazione nel 1848 fino alla prima guerra mondiale. A Palazzo Lascaris (orario: 9-17) sono in mostra gli anni dal 1916 al 1945, periodo in cui il giornale era allineato con il governo fascista. L’ultima parte (tra il 1946 e il 1983) è illustrata al Polo del ‘900, in corso Valdocco (orario: 10-18), proprio dirimpetto alla sede della Gazzetta del Popolo.
La “Gazzetta del Popolo” è uno dei giornali con alle spalle una storia indimenticabile. A fondarlo, il 16 giugno 1848, sono stati Felice Govean e Giovanni Battista Bottero. Il Piemonte aveva iniziato quel percorso risorgimentale, destinato a terminare il 20 settembre 1870 con l’occupazione di Roma. Un’epoca, perciò, di entusiasmi e di delusioni, almeno all’inizio con le sconfitte militari di Custoza e di Novara. Ma i fogli di quel quotidiano battagliero hanno saputo interpretare il sentimento collettivo di una città con l’ambizione di diventare Stato.
Dunque, rileggere la storia della Gazzetta del Popolo significa ripercorrere le vicende fondamentali che hanno determinato l’unificazione dell’Italia. I dispacci degli inviati hanno documentato le vicende della seconda guerra d’indipendenza (1859), l’impresa di Garibaldi lanciato alla conquista del Regno delle Due Sicilie e le votazioni plebiscitarie che hanno accettato il governo di Vittorio Emanuele II.
Un vero e proprio tuffo nel passato: la terza guerra d’indipendenza per aggiungere Venezia alla corona sabauda e la prima guerra mondiale per prendere Trento e Trieste. Infine, il fascismo, il secondo conflitto mondiale, l’avvento della Repubblica, la lira, il voto alle donne, le prime esperienze di un Parlamento democratico e le lotte fra partiti.
La “Gazzetta del Popolo” è stata protagonista di significative innovazioni tecnologiche. Il 18 gennaio 1934 è stata inaugurata una nuova stazione radio-telefonica e, l’anno successivo, una stazione tele-fotografica per la trasmissione e la ricezione delle immagini attraverso le linee telefoniche.
La Gazzetta del Popolo è stata la prima a proporre un notiziario locale con pagine dedicate alle province. A quel tempo il quotidiano arrivava a vendere 600 mila copie in concorrenza con il Corriere della Sera. Poi gli anni della crisi e il declino. La concorrenza della Stampa si è fatta prepotente e la Gazzetta del Popolo è diventata “l’altra voce di Torino”.
Nel 1983, il quotidiano è stato acquistato da Alberto Caprotti per un tentativo estremo per risanare le sorti del giornale. Troppo tardi. I giornalisti, in cooperativa, l’hanno tenuto in vita fino al 1983 quando anche loro hanno dovuto arrendersi. Ma le firme di quel giornale hanno rappresentato un’altra storia. (giornalistitalia.it)
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