Disastri e scelte dissennate dal lontano 1978, ma non si può strozzare la voce di 2 regioni

Gazzetta, come si uccide un giornale

La sede (in affitto) della Gazzetta del Mezzogiorno in piazza Moro a Bari

BARI – Come si uccide un giornale. La Gazzetta del Mezzogiorno, una crisi che viene da lontano. 133 anni di storia, un radicamento territoriale in due regioni che ha pochi riscontri nel panorama editoriale italiano, una redazione di qualità: scelte editoriali stupide, aggravate dai rappresentanti dello Stato, rischiano di affossare, insieme con la Gazzetta, il pluralismo e la completezza dell’informazione in Puglia e Basilicata.
La crisi – che è tutta addebitabile ai disinvolti (a voler essere generosi) gestori della società editrice Edisud e della sua controllata Mediterranea – della Gazzetta del Mezzogiorno rischia di avere un exitus disastroso e fatale: la sospensione, se non cessazione, della pubblicazione del principale quotidiano di riferimento di due intere regioni italiane; l’unico che “copra” tutto il territorio di Puglia e Basilicata, con redazioni (alcune soppresse nell’ultimo biennio, ma “sopravvissute” col telelavoro di giornalisti rimasti ad operare nei capoluoghi) nelle sette province delle due regioni e corrispondenti in tutti i Comuni. Una straordinaria ricchezza, una risorsa strategica che, in mani capaci, avrebbe dovuto fare della Gazzetta un giornale in utile, mentre, affidata a chi non è stato all’altezza (o forse perseguiva altri obiettivi) ha compiuto il miracolo alla rovescia di farne un giornale (quasi) inutile.
“Nell’ultimo anno e mezzo – ricorda il Comitato di Redazione della Gazzetta – l’Edisud è stata affidata, dal Tribunale di Catania, in forma commissariale ai consulenti siciliani Angelo Bonomo e Luciano Modica, che da subito hanno continuato ad avvalersi di Franco Capparelli, direttore generale nominato fin dal 2014 da Mario Ciancio Sanfilippo, il cui pacchetto azionario di maggioranza della società è sottoposto dal 24 settembre 2018 a sequestro-confisca per effetto di una imputazione per concorso esterno in associazione mafiosa (inchiesta nella quale la Gazzetta è totalmente estranea)”.
“Il peso dei debiti pregressi ha portato la società a chiedere un concordato prenotativo, poi ritirato il 19 febbraio scorso al Tribunale fallimentare di Bari. Per evitare il fallimento serve un impegno concreto del socio di minoranza Valter Mainetti: venuto meno il sostegno finanziario della Banca Popolare di Bari, Mainetti deve decidere nelle prossime settimane se garantire una nuova procedura con proprie sostanze o rinunciare definitivamente.

Giampaolo Angelucci

L’alternativa sarebbe l’ingresso nella procedura di nuovi imprenditori, in sostegno o in concorrenza con Mainetti. Ma il tempo stringe. L’imprenditore ed editore Giampaolo Angelucci ha formulato una proposta di acquisto di ramo di azienda (vuole comprare con 5 milioni testata, sito web e archivio storico) che assorbe solo 30 giornalisti, proposta che scade il 17 marzo prossimo”.
“Il quadro si completa – denuncia ancora il Cdr – con la complessa vicenda della raccolta pubblicitaria, linfa vitale per qualunque giornale. Ne è incaricata la società Mediterranea, controllata dalla Edisud. Inspiegabilmente la Mediterranea ha sempre promosso la raccolta pubblicitaria locale anche per i concorrenti del Corriere del Mezzogiorno. Ha deciso di chiudere lo sportello al pubblico per annunci, inserzioni e necrologie, notevoli fonti di guadagni certi in un settore commerciale dove la “Gazzetta” è monopolista sul territorio. Infine, ha stretto accordi con il gruppo editoriale Riffeser-Monti (di quell’Andrea Riffeser presidente della Federazione editori) per cedere l’incarico della raccolta pubblicitaria. A condurre la Mediterranea è Franco Capparelli, lasciato alla presidenza della società da Bonomo e Modica anche dopo che il Tribunale di Catania, su insistenza dei giornalisti della Gazzetta ha rimosso Capparelli dai suoi incarichi in Edisud. Scelta incomprensibile, poiché gli ha consentito di continuare a gestire i flussi di cassa indispensabili alla vita del giornale”.
“Il futuro di Mediterranea – evidenzia la rappresentanza sindacale aziendale dei giornalisti – è strategico per il futuro della Gazzetta: detiene la proprietà del marchio La Gazzetta Del Mezzogiorno e del palazzo di via Scipione l’Africano, abbandonato dal 2014 per occupare due piani in affitto in piazza Moro a 200mila euro l’anno. Nel frattempo per la sede storica, sottoposta a due ipoteche, è stato firmato un contratto preliminare di vendita, concluso il quale, Edisud e Mediterranea potrebbero fondersi. Il futuro di queste due società sembra indissolubilmente legato alla sopravvivenza del giornale, che non può morire in un’aula di tribunale dopo 133 anni di storia”.
Oltre ad avere accettato pesanti decurtazioni della retribuzione (che però, guarda caso, non hanno riguardato taluni “dirigenti”, e meno che mai gli amministratori giudiziari…), i giornalisti, come pure i poligrafici e gli amministrativi della Gazzetta hanno lavorato per mesi senza percepire stipendio, poi ricevendo solo parziali “anticipi”; ma non han fatto mancare alle comunità di Puglia e Basilicata la loro voce, la loro principale fonte di informazione.

Mario Ciancio Sanfilippo

La crisi è precipitata, ricordiamo, col sequestro-confisca delle azioni Edisud detenute da Mario Ciancio Sanfilippo operato dal Tribunale di Catania il 24 settembre 2018. A Catania il noto imprenditore ed editore siciliano (è stato anche presidente della Fieg, la Federazione italiana editori di giornali) è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, ma, come sottolinea sempre il Cdr, “in nessun modo la Gazzetta è coinvolta nel merito dell’inchiesta siciliana, della quale subiamo solo le conseguenze economiche e gestionali”.
Il Tribunale di Catania nomina commissari Angelo Bonomo e Luciano Modica: devono gestire l’Edisud, quindi – soprattutto – La Gazzetta del Mezzogiorno. Sono totalmente digiuni di editoria e di questioni dell’informazione, affrontano la crisi (l’Edisud è sottocapitalizzata, avrebbe dovuto procedere ad un aumento di capitale, bloccato dal sequestro-confisca) di un giornale come se si trattasse di un supermercato o di un aranceto, con decisioni (e non decisioni) che distruggono il bene che è stato loro affidato. Non solo. Il Tribunale di Catania ha sottratto al proprietario del pacchetto di maggioranza la gestione d Edisud e Gazzetta del Mezzogiorno, ed i commissari nominati dal Tribunale che cosa fanno? Mantengono al suo posto, anzi si affidano totalmente a lui, Franco Capparelli, il direttore generale nominato da Ciancio Sanfilippo fin dal 2012, uno dei principali responsabili della dissennata conduzione del giornale, incluse consulenze “tanto costose quanto ininfluenti”, come ricorda il Comitato di Redazione.
“La loro ricetta per risolvere i problemi economici del giornale – stigmatizza il Cdr – era di dimezzare in modo lineare gli stipendi dei lavoratori. Proposta alla quale ci siamo opposti”.
Dopo mesi di proteste, i giornalisti, che continuano a lavorare senza stipendio o con parziali acconti, ottengono dal Tribunale di Catania la sostituzione di Capparelli. Il consiglio di amministrazione dell’Edisud viene integrato con un commercialista barese, Fabrizio Colella. Lo compongono il commissario Bonomo e Claudio Sonzogno, in rappresentanza del socio di minoranza Valter Mainetti, in precedenza non rappresentato in Cda.
Il quale Mainetti, immobiliarista con vari interessi, ed editore del quotidiano Il Foglio, si era detto pronto ad assumere il controllo della Edisud, una volta andato a buon fine il concordato poi saltato in febbraio. A garantire e finanziare l’operazione doveva essere infatti la Banca Popolare di Bari, che già aveva gestito il passaggio del pacchetto di minoranza dell’Edisud dall’imprenditore Fusillo (anch’egli mai rappresentato nel Cda) a Mainetti.
Le disavventure della Popolare Bari, commissariata, bloccano l’operazione (che comunque non sarebbe stata a costo zero per i lavoratori dipendenti: si parlava di tagli tanto fra i giornalisti quanto, ancor più, tra i poligrafici; e già sciacalli compilavano liste di proscrizione, con i “buoni” da salvare ed i “reprobi” da cacciare…).
Il 19 febbraio, infatti, l’Edisud rinuncia al concordato in bianco, procedura che le avrebbe permesso di evitare il fallimento; concordato che si fondava su due presupposti: un piano di sanguinosi tagli al costo del lavoro giornalistico e poligrafico (riduzione di organici, non solo di retribuzioni) e la presenza di garanzie finanziarie per 14 milioni di euro promesse dalla Banca Popolare di Bari, ora non più in condizione di mantenere gli impegni dopo l’inchiesta giudiziaria sull’istituto di credito e il successivo commissariamento.
“Che cosa succede adesso? – si chiede il Cdr – Mainetti, informalmente, si è impegnato a garantire con un milione di euro la gestione ordinaria per le prossime settimane, con l’obiettivo di ripresentare il concordato in tempi stretti. Confindustria Puglia e Confindustria Basilicata si sono impegnate nel rispondere all’appello di formare una cordata di imprenditori locali che offra le famose garanzie per 14 milioni di euro venute meno con il commissariamento della Banca Popolare di Bari”.
“Ma c’è un altro fronte – comunica il Cdr – e lo ha aperto Giampaolo Angelucci, imprenditore nazionale del settore sanitario ed editore di Libero, de Il Tempo e di alcuni quotidiani locali tra Umbria, Lazio e Abruzzo. Angelucci aveva già presentato nel gennaio del 2019 una offerta di acquisto di ramo di azienda: si proponeva per rilevare la testata in cambio di 12 milioni di euro e dell’assorbimento di quasi tutta la forza lavoro del giornale. La sua offerta – alla quale il Tribunale di Catania non diede seguito – è stata ripresentata il 17 febbraio 2020, ma con condizioni mutate in peggio: con 5 milioni di euro propone di acquistare la testata, il sito internet e l’archivio storico per editare la Gazzetta con 30 giornalisti (a fronte degli attuali 74 in due regioni) e 4 poligrafici. Un’offerta migliorabile a fronte di un piano editoriale condiviso con la redazione, ha reso noto lo stesso Angelucci, informalmente, nel corso di un incontro. La sua proposta (formalmente avanzata dalla società Tosinvest) è ora sul tavolo di Colella, Bonomo e Modica. Evidentemente in concorrenza con i propositi di Mainetti (formalmente rappresentati dalla società Denver). E non sappiamo se nei prossimi giorni possano manifestarsi ulteriori cordate non necessariamente a sostegno del salvataggio della Edisud, bensì finalizzate all’acquisizione della sola testata e dei beni necessari alla pubblicazione di un giornale con 133 anni di storia”.
Il Cdr, in tre comunicati che sono, in realtà, pregevoli e documentati articoli, riassume e rende comprensibili una serie di disastri e di scelte dissennate (a voler essere generosi) compiute dal sedicente management – scelto dall’azionista di maggioranza siciliano – a partire dal Duemila, “con l’insensato investimento di 11 milioni di euro per una rotativa acquistata in anni in cui i centri stampa venivano chiusi in tutta Italia: doveva servire per stampare anche altri prodotti commerciali, nessun manager della Edisud negli ultimi 20 anni è riuscito in questa impresa. In compenso non sono mancate le generose consulenze, alcune ancora in corso, a dispetto dei sacrifici chiesti a quasi tutti i lavoratori del giornale. Quasi. Perché per qualcuno dei quadri amministrativi lo stipendio è rimasto, inspiegabilmente, praticamente intatto. Magari sull’esempio del consiglio di amministrazione di Edisud che il 19 luglio 2019 contestualmente all’avvio delle procedure di concordato deliberava anche compensi per se stesso (protagonisti Bonomo e Modica) per 180mila euro”.
“Inutile e dannoso – denuncia il Cdr – è stato chiudere le redazioni di Brindisi, Matera e da ultimo Barletta. Inspiegabile è stato lasciare la sede di proprietà di viale Scipione l’Africano a Bari e spendere 200mila euro l’anno per l’affitto di due piani in piazza Moro, continuando naturalmente a pagare le spese fisse del palazzo abbandonato. Scelte che nessun buon padre di famiglia farebbe, altro che manager. E anche questo è accaduto durante la gestione Capparelli.

Andrea Monti Riffeser

Autolesionista è stato accorpare le edizioni: pubblicare le pagine di Foggia e Barletta come di Taranto, Brindisi e Lecce in fascicoli promiscui, ha disorientato lettori e inserzionisti. Per questa scelta, la redazione – anche in disaccordo con il direttore Giuseppe De Tomaso – si è fermamente, quanto vanamente, opposta. Nella nostra vicenda, nonostante tutto, non è mai uscito di scena neppure Franco Capparelli, tuttora alla guida della società Mediterranea, incaricata della raccolta pubblicitaria ma praticamente inoperosa da due mesi in attesa di un passaggio di mano con la concessionaria di proprietà del presidente della Federazione editori, Andrea Riffeser Monti”.
Tra l’altro, recentissima la decisione di accorpare in un unico open space (per risparmiare l’affitto di uno dei due piani) redazione ed uffici amministrativi, con quali conseguenze sul libero esercizio dell’attività giornalistica, che esige riservatezza, è facile immaginare.
Ma l’assassinio della Gazzetta è iniziato molti, molti anni prima. Sia pure in forme, inizialmente, più “morbide”.
È iniziato contestualmente al rapimento ed assassinio di Aldo Moro, nel 1978. È l’anno in cui il Banco di Napoli, proprietario del pacchetto di maggioranza (89%) della Mediterranea, la società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno, porta a termine la cessione della gestione della Gazzetta ad una appositamente costituita società che mette insieme imprenditori locali, piccoli o medio-piccoli, ed è coordinata dall’amministratore stesso della Mediterranea, Giuseppe Gorjux, figlio del direttore-fondatore della Gazzetta, Raffaele. Nella società di gestione dovrebbe entrare anche, a garanzia dei giornalisti e dei lettori, il direttore dell’epoca della Gazzetta, Oronzo Valentini, una figura mitica del giornalismo non solo meridionale, che tra l’altro è uno dei piccoli azionisti della Mediterranea. Amico personale di Aldo Moro, “socialista senza tessera”, come ama definirsi, non ostile alla Dc ed uomo del centro-sinistra (col trattino) ma senza settarismi, Valentini è “ingombrante” e viene estromesso dalla nuova società editrice. Tempo un anno, sarà anche fatto fuori dalla direzione e sostituito col giornalista Rai Giuseppe Giacovazzo, mosso dall’ambizione di transitare dalla direzione della Gazzetta per andare a dirigere il Tg1. Tanto che, assumendo la direzione del quotidiano pugliese (e lucano), si guarda bene dal dimettersi dalla Rai, e si mette in aspettativa. A Giacovazzo succederanno via via altri direttori.
A Bari avviene la fusione per incorporazione dell’Edisud in una finanziaria di uno dei soci della società di gestione, che assume il nome della società assorbita, facendone però scomparire gli utili. È l’inizio della fine, anche se non tutti lo capiscono.
Il Banco di Napoli decide intanto di dismettere anche la proprietà dei suoi quotidiani. Gorjux non ha liquidità, e per acquistare anche la proprietà del giornale (e della faraonica sede di via Scipione l’Africano) cerca partner: saranno Luigi Lobuono (titolare dell’agenzia di distribuzione della Gazzetta e di altri giornali), Mario Ciancio Sanfilippo, proprietario-direttore de La Sicilia di Catania, e la società editrice della Gazzetta del Sud di Messina e Reggio Calabria. Ciascuno col 30%. Gorjux col 10% pensa di essere ancora l’arbitro ed il padrone del giornale, ma dovrà presto ricredersi.
La guida dell’Edisud (e man mano anche la maggioranza assoluta delle azioni) passa nelle mani di Ciancio Sanfilippo. Ed inizia la metodica distruzione del giornale. Il progetto di integrazione giornale di carta-televisione-Internet, caldeggiato con preveggenza dal redattore capo Dionisio Ciccarese, che fa anche parte di un forte Comitato di Redazione, viene boicottato. Ciccarese a quel punto lascia e si trasferisce alla direzione della tv della Gazzetta, Antenna Sud, che rilancia, dotandola anche di un moderno sito web (poi taglieranno i fondi e condanneranno all’asfissia ed all’agonia anche la tv).
Nel mirino finisce la Redazione romana che, forte anche della distanza geografica, ha sempre difeso strenuamente la propria autonomia e l’indipendenza dei suoi giornalisti.

La Gazzetta del Mezzogiorno: quasi 133 di storia dal 1 novembre 1887

Ci provano due volte, a sopprimerla. La prima manovra, a fine anni ’90, fallisce (anche per la reazione dei politici pugliesi e lucani, e del potente Tatarella fra i primi, mobilitati dal CdR e dai cronisti parlamentari della Gazzetta) la seconda, nel 2002, morto Tatarella, e fuori combattimento l’uomo forte di Ciancio, Giuseppe Ursino, un duro che però capisce di editoria e che si era convinto dell’utilità di conservare la Redazione romana, il delitto riesce. Nell’agosto 2002 la Romana chiude; una giornalista accetta un demansionamento, pur di restare a Roma come “collaboratrice”; gli altri quattro vanno a Bari e Taranto (uno è chi scrive queste righe), variamente dequalificati. L’informazione politica sindacale ed economica nazionale autoprodotta scompare dalla Gazzetta, sostituita da agenzie copincollate e senza più il punto di vista meridionale ed apulo-lucano sui provvedimenti e le questioni d’attualità; e la Gazzetta scompare in pochi mesi dalle rassegne stampa delle Camere, dei ministeri, dei partiti, dei sindacati, delle associazioni datoriali.
Nel frattempo sono sbarcati a Bari il Corriere della Sera (con l’inserto Corriere del Mezzogiorno) e la Repubblica. E in Basilicata sono nati piccoli quotidiani locali. La Gazzetta è ancora l’unico quotidiano che copra (anche con la sua folta rete di corrispondenti) l’intero territorio delle due Regioni, ma non è più un quotidiano quasi monopolista.
Da allora un disastro dietro l’altro. La rotativa faraonica ed inutilizzata; gli inviati redazionalizzati e che non viaggiano più; le redazioni decentrate messe nel mirino, depotenziate negli organici, alla fine soppresse (Matera, Brindisi, Barletta); per ultimo, le edizioni locali, vera ricchezza del giornale, accorpate con sacrificio dell’informazione locale (l’unica che i concorrenti o le testate e testatine web non sono in grado di fornire adeguatamente) e sconcerto e rabbia dei lettori. A tutto questo si aggiunga un paradosso quasi surreale: l’istituzione, contra legem e contro il contratto nazionale di lavoro giornalistico (l’unico contratto collettivo di lavoro in Italia, per inciso, che ha forza di legge perché in legge convertito da un DPR) di una “doppia direzione” con due direttori aventi eguali poteri e prerogative. Ma con uno solo, a norma di legge, che figurava come direttore responsabile. Una follia durata dal 2008 al 2012, quando il Cdr pretese ed ottenne la fine della ridicola sceneggiata. Che aveva prodotto ulteriori, irreparati danni.
Il resto è drammatica cronaca degli ultimi mesi e degli ultimi giorni.
Ma La Gazzetta del Mezzogiorno non può e non deve esser lasciata morire. I presidenti delle due giunte regionali devono adoperarsi in ogni modo per favorire la rinascita del giornale. Le Università delle due regioni devono intervenire, sia pure con modeste quote. Come le Camere di Commercio, i grandi enti pubblici i cui statuti lo consentano, le grandi imprese presenti sul territorio. E lo stesso governo deve avvertire la responsabilità di non rendere afone le comunità delle due aree.
La voce delle due regioni non può essere strozzata. Per di più, da amministratori nominati da un ordine dello Stato, la Magistratura. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino
Componente del CdR della Gazzetta del Mezzogiorno dal 1989 al 2012

Fnsi e Assostampa: “Il tempo è scaduto”

«È tempo di prendere decisioni sul futuro della Gazzetta del Mezzogiorno, principale organo di informazione di Puglia e Basilicata. Il Tribunale di Catania e il socio di minoranza di Edisud, Valter Mainetti, hanno il dovere di esprimersi con chiarezza sul destino del giornale e di tutti i lavoratori che sino ad oggi hanno consentito ai pugliesi e lucani di avere un giornale di riferimento che vanta 133 anni di storia».
Così la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e le Associazioni regionali di Stampa di Puglia e Basilicata sulla vicenda kafkiana in cui si trovano da oltre un anno i giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno, dopo che all’azionista di maggioranza, l’editore Mario Ciancio Sanfilippo, sono state poste sotto sequestro con confisca le quote societarie della Edisud, nell’ambito di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Catania per presunto concorso esterno in associazione mafiosa.
«Dal 24 settembre 2018 lo Stato, attraverso il Tribunale e gli amministratori giudiziari nominati, ha assunto la gestione del giornale. L’obiettivo di avviare un processo di risanamento ha già comportato enormi sacrifici per tutti i lavoratori, ai quali non sono nemmeno state versate, in alcune mensilità, le retribuzioni. Ora, con il ritiro della domanda di concordato presso il Tribunale di Bari – prosegue il sindacato dei giornalisti – si mandano per aria tutte le misure che avrebbero dovuto garantire un futuro alla testata, ai giornalisti e a tutti coloro che vi lavorano. È dunque responsabilità dello Stato rispondere quanto prima a questa paradossale inversione di rotta, così come è dovere della società Denver, che fa capo all’imprenditore Mainetti, chiarire una volta per tutte se intende proseguire nella procedura annunciata tramite investimenti e garanzie finanziarie. Diversamente, si aprano le strade ad altre possibili offerte di acquisto, che pure sono in campo, in modo da consentire quell’operazione di salvataggio che la gestione commissariale non è stata in grado di svolgere».
«Il tempo è scaduto – ribadiscono Fnsi e Associazioni regionali di Stampa –. In questi mesi, nonostante gli accordi sindacali subito raggiunti con il Comitato di redazione per la tutela dei posti di lavoro dei giornalisti, si è temporeggiato sin troppo nella presentazione del piano concordatario rendendo vana la possibilità di sostegno da parte della Banca Popolare di Bari, perché nel frattempo l’istituto di credito è stato commissariato.
Inoltre, insieme agli ulteriori sacrifici richiesti ai lavoratori, è stato avviato un discutibile e affrettato piano editoriale che ha comportato la chiusura di altre redazioni e la riduzione dell’informazione nei territori pugliesi e lucani tramite l’accorpamento delle edizioni. Si aggiunga lo stallo delle attività in cui sembra versare la società di raccolta pubblicitaria, Mediterranea, in attesa di un annunciato passaggio di consegne. Così facendo, in assenza di iniziative serie e immediate da parte dei custodi giudiziari di Catania e dei responsabili amministrativi, il rischio del fallimento è alle porte. I giornalisti hanno il diritto, una volta per tutte, di sapere se è questo il destino che li aspetta o se – entro le scadenze indicate dal Tribunale di Bari – saranno messe in campo altre misure». (giornalistitalia.it)

 

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