Condanna in Cassazione sull’addetto alle pubbliche relazioni dell’ex Provincia di Trieste

Friuli Venezia Giulia: un’altra tegola sull’Inpgi

ROMA – Brutta sconfitta dell’Inpgi in Cassazione in tema di contributi per un giornalista dell’ex Provincia di Trieste. La Suprema Corte ha, infatti, dato ragione alla Regione Friuli Venezia Giulia sancendo che l’iscrizione all’albo dei giornalisti elenco professionisti e il rapporto di lavoro subordinato intercorso con la Provincia non determinano automaticamente la natura giornalistica se le mansioni svolte sono quelle di addetto alle pubbliche relazioni. (giornalistitalia.it)

LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

Corte di Cassazione Sezione Lavoro n. 7215 del 15 marzo 2021
(Presidente Umberto Berrino, Relatore Rossana Mancino)

ORDINANZA

sul ricorso 5799-2015 proposto da:
Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cola di Rienzo 69, presso lo studio dell’avvocato Bruno Del Vecchio, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

contro

– Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria 29, presso l’Avvocatura dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Morrone;
– Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, nella sua veste di successore della Provincia di Trieste, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma piazza Adriana 4, presso lo studio dell’avvocato Francesco Angelini, rappresentata e difesa dall’avvocato Mauro Dellago;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5562/2014 della Corte d’appello di Roma, depositata il 2 settembre 2014 R.G.N. 6292/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8 settembre 2020 dal Consigliere Dott. Rossana Mancino.

RILEVATO CHE

1. con sentenza in data 2 settembre 2014, la Corte di Appello di Roma, per quanto in questa sede rileva, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva escluso l’omissione contributiva della Provincia di Trieste, per i contributi da versare all’Inpgi, in riferimento a Medizza Fulvio;
2. per la Corte di merito il predetto Medizza era solo addetto alle pubbliche relazioni e l’iscrizione all’albo dei giornalisti professionisti e il rapporto di lavoro subordinato intercorso con la Provincia non determinavano automaticamente la natura giornalistica delle mansioni svolte e comprovato, peraltro, alla stregua delle risultanze istruttorie, che l’incarico di addetto all’ufficio stampa fosse rivestito da altra persona;
3. avverso tale sentenza l’Inpgi ha proposto ricorso, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale hanno opposto difese l’Inps, quale successore dell’Inpdap, e la Provincia di Trieste, con controricorso;
4. nell’imminenza dell’Adunanza camerale si è costituita la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, quale successore a titolo particolare della Provincia di Trieste, con memoria di costituzione;

CONSIDERATO CHE

5. con i motivi di ricorso, denunciando violazione degli artt. 115,116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., la parte ricorrente censura la Corte di merito per avere escluso la natura giornalistica della prestazione fondando il convincimento esclusivamente sulle risultanze della prova orale raccolta nel corso del giudizio, senza dare conto della prova documentale fornita dall’Istituto e considerare i verbali ispettivi e le dichiarazioni raccolte dagli ispettori verbalizzanti; assume, inoltre, la violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio giacché la Provincia avrebbe dovuto fornire la rigorosa prova contraria rispetto a quanto rilevato dagli ispettori verbalizzanti e deduce che le prove testimoniali raccolte, delle quali riporta brani, non assurgevano a prove contrarie ma confermavano la natura giornalistica della prestazione del Medizza che si rapportava, nello svolgimento, alla responsabile dell’ufficio stampa (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte di merito considerato quanto raccolto dagli ispettori verbalizzanti così omettendo di esaminare un fatto decisivo per il giudizio (secondo motivo);
6. il ricorso è da rigettare;
7. un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 c.c. può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori;
8. in realtà, nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzidetti, le relative doglianze sono mal poste e così anche con riguardo al preteso malgoverno dell’istruttoria documentale e orale la parte ricorrente non ha formulato altro che pure questioni fattuali, il cui esame è, per definizione, escluso in questa sede di legittimità;
9. va fatta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte di Cassazione (v., fra le tante, Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018), secondo il quale la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del novellato art. 360, n. 5 cod. proc. civ.);
10. la parte ricorrente lamenta essenzialmente, come già detto, una erronea versione mitologica valutazione delle circostanze fattuali che, se rettamente apprezzate, avrebbero dovuto condurre ad un diverso esito e sotto tale profilo i motivi mirano ad eludere i limiti entro i quali opera il sindacato sulla motivazione della sentenza di merito da parte di questa Corte, tentando di far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento;
11. quanto alla denuncia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., come modificato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, le Sezioni unite della Corte, con sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, hanno, fra l’altro, precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie con la conseguenza che in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete;
12. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;
13. ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R.n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate, in favore di ciascuna parte controricorrente, in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R.n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Adunanza camerale dell’8 settembre 2020.

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