ROMA – Rispondendo ad una sollecitazione sull’editoria da parte del presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, durante la tradizionale conferenza stampa di fine anno, sabato scorso a Villa Madama, il premier Giuseppe Conte ha dichiarato che il governo non ha inteso commissariare l’Inpgi, ma ha concesso all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti ulteriori 6 mesi di tempo (fino al 30 giugno 2020) proprio per rispettare anche la sua autonomia. Ed ha aggiunto: «È chiaro che il governo é disposto a fare la propria parte, ma anche l’Istituto dovrà fare la sua, nel senso che dobbiamo garantire comunque la stabilità finanziaria. I conti devono essere tenuti in ordine. Da gennaio partirà un tavolo tecnico. Io spero che anche questa vertenza troverà soluzione».
Insomma, per il Presidente del Consiglio i conti dell’Inpgi non sarebbero in ordine. Gli ha, però, subito replicato – e bene ha fatto – il presidente dell’Ordine, Verna, ribattendo che «i conti sono tenuti in ordine, in realtà quel che manca sono i contributori; comunque avremo occasione di riparlarne».
Le affrettate ed imprudenti affermazioni sull’Inpgi da parte del premier Conte non possono, tuttavia, passare inosservate. Meritano, invece, un’adeguata risposta proprio perché mettono in discussione la mia onorabilità e la mia professionalità di componente del Collegio Sindacale dell’ente.
Sarebbe stata buona regola, soprattutto per un autorevole giurista quale é il professor Giuseppe Conte, documentarsi a fondo sull’Inpgi prima di rilanciare in diretta tv “voci” prive di qualsiasi fondamento, raccolte dentro e fuori il Parlamento, creando così senza alcun motivo allarme e confusione all’interno della categoria giornalistica. Di conseguenza va stroncata sul nascere ogni possibile ingiustificata illazione.
Come componente del Collegio Sindacale dell’ente cercherò, quindi, di spiegare in modo sintetico, ma sufficientemente esauriente, come i conti dell’Inpgi 1, riguardante il lavoro giornalistico subordinato, sono assolutamente esatti nelle cifre anche se, purtroppo, in profondo rosso da molti anni a causa della crisi strutturale e catastrofica del mondo dell’editoria dal 2009 in poi che ha coinvolto a catena anche grandi gruppi industriali con conseguente crollo di giornalisti iscritti in attività di servizio ed aumento esponenziale di giornalisti pensionati. Viceversa, i conti dell’Inpgi 2, riguardante il lavoro giornalistico autonomo, vanno in opposta direzione, cioè a gonfie vele e con il vento in poppa e un vero boom di iscritti.
I provvedimenti di accertamento degli stati di crisi convalidati preventivamente dal Ministero del Lavoro hanno praticamente svuotato le redazioni di giornali, periodici e agenzie di stampa. Pertanto, l’Inpgi 1 si é sostituito a sue spese allo Stato nel sostegno non solo alla categoria, ma addirittura alla stessa editoria, perché é oggi l’unico ente previdenziale privatizzato sostitutivo dell’Inps che – a differenza dell’Inpgi 2 e delle altre Casse professionali (medici, avvocati, ingegneri, architetti, notai, dottori commercialisti, ecc.) – si accolla da sempre gli ammortizzatori sociali al posto dello Stato (disoccupazione, cassa integrazione, contratti di solidarietà, Tfr in caso di fallimento, mobilità, ecc.). A ciò si aggiungono gli altrettanto onerosissimi contributi figurativi previdenziali (relativi non solo agli ammortizzatori sociali, ma comprensivi anche del servizio militare di leva, dei periodi di maternità, dell’art. 31 dello Statuto dei lavoratori per gli ex deputati, senatori, parlamentari europei, governatori e consiglieri regionali e sindaci di grandi città, e della copertura di posizioni previdenziali di lavoratori dipendenti da aziende fallite dopo il definitivo riconoscimento in sede giudiziaria dei risultati delle ispezioni dell’ente) senza, però, avere alcun ristoro da parte dello Stato, come, invece, avviene normalmente per gli altri dipendenti iscritti all’Inps dove l’Erario rimborsa ogni anno a questo mega ente centinaia di milioni di euro proprio per coprire tali costi di natura squisitamente “assistenziale” e non “previdenziale”.
Il crescente disequilibrio economico-finanziario che, dal 2011, ha via via maturato di anno in anno un costante e progressivo disavanzo é in buona parte frutto anche di questi enormi costi – assolutamente ingiusti e inaccettabili per un ente “privatizzato” – che sono stati sinora fronteggiati dall’Inpgi 1 con la vendita di titoli ed immobili (come lo storico palazzo Volpi al Quirinale) che ha fortemente ridotto il proprio patrimonio.
Il rilevante divario tra entrate e uscite per pensioni registrato negli ultimi 9 anni e assommato assieme ha, purtroppo, superato il miliardo di euro, comportando di conseguenza una contrazione del patrimonio tanto che alla fine del 2019 non potranno essere garantite più di 2 annualità e mezzo di “riserva tecnica” rispetto all’importo delle pensioni attualmente da pagare.
Si ricorda che quando l’Inpgi era ancora un ente pubblico doveva garantire appena 2 annualità di riserva legale. Poi il governo Berlusconi varò, a Palazzo Chigi il 30 giugno 1994, il decreto legislativo n. 509, che fu pubblicato (record assoluto negativo) solo dopo ben 54 giorni sulla Gazzetta Ufficiale del 23 agosto 1994 (a quanto si apprese informalmente il testo del decreto fu completamente riscritto in questi 54 giorni e la riserva legale passò dalle iniziali previste 3 annualità alle 5 annualità di riserva legale, come stabilisce l’articolo 1, comma 4, lettera c), del provvedimento). Di conseguenza, da un punto di vista squisitamente formale, tutte le Casse previdenziali privatizzate, compresi l’Inpgi 1 e l’Inpgi 2, dovrebbero garantire ai propri iscritti almeno 5 annualità di riserva “tecnica” rispetto agli importi delle pensioni pagate, pena il Commissariamento dell’ente. In pratica ogni ente deve, comunque, assicurare una sopravvivenza di almeno 5 anni anche se non entrasse in cassa neppure un euro.
Ebbene il Parlamento ha, di fatto, svilito questa sostanziale garanzia, approvando nella legge finanziaria per il 1998 un’apposita norma, e precisamente l’art. 59, comma 20, della legge 27 dicembre 1997 n. 449 con cui si stabiliva che la riserva tecnica non doveva essere calcolata sulle pensioni in corso di pagamento, bensì su quelle in essere per l’anno 1994 con l’avvertenza, però, che «detti importi sono adeguati, secondo misure e criteri da determinarsi con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, in occasione dei risultati che emergeranno dai bilanci tecnici di cui all’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo».
Purtroppo, però, sono passati da allora ben 22 anni senza che sia stata data mai attuazione a queste indicazioni e senza che la norma del 1997 fosse stata mai modificata. Risultato: la riserva tecnica di legge di fatto agganciata ai dati del 1994 appare oggi del tutto superata dai tempi e dal buon senso.
Infatti, se si volesse tener rigorosamente conto della legge tuttora in vigore basterebbe all’Inpgi 1 garantire una riserva tecnica di soli 746 milioni 192 mila euro, cioè 5 volte i 149 milioni 238 mila euro pagati nel 1994 per le pensioni dei giornalisti. Ma sarebbe assolutamente poco serio anche se perfettamente legale.
Per questo motivo la Presidenza e la Direzione Generale dell’Inpgi e il Collegio Sindacale, presieduto dal professor Vito Branca, hanno ritenuto più corretto applicare la legge secondo le indicazioni originarie del decreto legislativo n. 509 del 1994. Pertanto é stato evidenziato che si sarebbe dovuta garantire al 31 dicembre 2018 un’effettiva riserva tecnica di ben 2 miliardi 638 milioni 700 mila euro, cioè pari a 5 volte i 527 milioni 740 mila euro realmente pagati nel 2018 per le pensioni dei giornalisti. E poiché la Riserva I.V.S. al 31 dicembre 2018 ammontava ad appena 1 miliardo 557 milioni 620 mila euro, la riserva “tecnica” effettiva al 31 dicembre 2018 era di 2,95 annualità, anziché di 5 annualità.
Per quanto riguarda, invece, il corrente anno 2019 é stato calcolato un ulteriore peggioramento al 31 dicembre 2019 e si ipotizza una riserva “tecnica” di 2,499 annualità, anziché di 5, cioè una riserva legale praticamente dimezzata rispetto a quanto previsto originariamente dal decreto legislativo n. 509 del 1994.
In conclusione, all’Inpgi 1 si é registrata una progressiva escalation negativa della riserva tecnica. Basti pensare che appena 7 anni fa, nel 2012, era di 4,225 annualità. È un dato che fa il paio con il rapporto giornalisti attivi/pensionati sceso vertiginosamente da 2,27 del 2012 a 1,54 del 2018. Va, tuttavia sottolineato, che questo rapporto é praticamente quasi identico a quello che si é registrato nel 2018 anche all’Inpgi dove, però, nessuno se ne é lamentato.
Negli ultimi 5 anni i ricavi dell’Inpgi 1 si sono ridotti di oltre il 50% e il numero dei giornalisti subordinati occupati nel settore si é contratto di circa il 40%. Sono, infatti, andati in pensione o in prepensionamento ancora in giovane età con la legge sull’editoria n. 416 del 1981 ben 3 mila giornalisti non sostituiti al lavoro che hanno comportato per l’Inpgi 1 il gravissimo e non previsto danno di perdita di contributi previdenziali da parte di 3 mila iscritti e il contestuale maggior costo di ben 3 mila pensioni in più tutte o quasi di importo medio alto.
Pertanto, si può documentalmente affermare senza timore di smentita che l’Istituto é stato connotato nel corso degli anni dalle stesse situazioni di criticità verificatesi presso l’Inps per quanto riguarda lo sbilancio fra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali, riconducibili essenzialmente all’evoluzione delle dinamiche demografiche che hanno determinato un progressivo incremento dell’età anagrafica della popolazione e l’allungamento del periodo di godimento dei relativi trattamenti pensionistici. A questo va aggiunta la stagnazione del mercato del lavoro, che non é stato più in grado di produrre quei tassi di sostituzione e crescita della forza lavoro che nei sistemi a ripartizione – quale é quello italiano – costituiscono l’architrave della sostenibilità economica finanziaria delle politiche di welfare nel loro complesso.
Ciò ha comportato che l’ente ha dovuto contare solo sulle proprie risorse per fronteggiare gli squilibri strutturali del sistema, determinati dall’effetto congiunto dei due fattori demografico e occupazionale. Di conseguenza, per salvare l’Inpgi 1 occorre al più presto implementare la platea degli iscritti ed ottenere dallo Stato lo stesso trattamento che riserva all’Inps di cui l’Inpgi 1 é ente sostitutivo. (giornalistitalia.it)
Inpgi: 93 anni di storia grazie all’iniziativa della Fnsi…
e grazie ad una vecchia legge potrebbe costruire le case
Storicamente l’Inpgi é stato creato 93 anni fa dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (nata nel febbraio 1908) ed eretto in Corpo Morale con il regio decreto n. 838 del 25 marzo 1926 (vedere la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 121 del 26 maggio 1926).
Successivamente con legge n. 3316 del 31 dicembre 1928 (vedere la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 40 del 16 febbraio 1929) vennero fuse nell’Inpgi le varie Casse Pie ancora esistenti in varie città italiane (come quelle di Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Venezia e Udine) che avevano per scopo l’assistenza e la previdenza fra giornalisti e i redditi netti provenienti dai patrimoni degli enti stessi furono utilizzati ai fini generali della previdenza e dell’assistenza dei giornalisti italiani. Ma già ben prima di questa data erano state riconosciute altre Casse Pie (sorsero, infatti, quale forma di mutualità volontaria, intorno al 1870 quando ancora in Italia mancava un ordinamento giuridico della previdenza sociale), come ad esempio:
1) la Cassa Pia di Previdenza eretta in ente morale con Regio decreto 24 dicembre 1885 presso l’Aspi, Associazione della Stampa Periodica Italiana, sindacato dei giornalisti dell’epoca (questa a sua volta nacque a seguito del duello a colpi di sciabola avvenuto a Roma la sera del 18 maggio 1877 per lavare l’onta di un articolo ritenuto sarcastico e diffamatorio, pubblicato sul “Fanfulla”, prestigioso quotidiano dell’epoca. La sfida fu vinta dall’onorevole Augusto Pierantoni – avvocato, deputato radicale per molte legislature e genero del ministro della Giustizia, Pasquale Stanislao Mancini – che, alto come un corazziere, dopo tre attacchi ferì in allungo all’avanbraccio il giornalista parlamentare del “Fanfulla”, Fedele Albanese);
2) la Cassa di Previdenza per i soci del Sindacato dei corrispondenti di giornali con sede a Napoli con Regio Decreto n. 1263 del 27 ottobre 1912 (vedere la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 291 dell’11 dicembre 1912);
3) la Cassa di previdenza per i Soci del Sindacato dei corrispondenti di giornali italiani ed esteri con sede a Roma il cui Statuto venne modificato con Decreto Luogotenenziale del 19 marzo 1916 n. 371 (vedere la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 84 del 10 aprile 1916.
Anche durante la Grande Guerra 1915-1918 in cui i giornalisti fecero ampiamente la loro parte – come dimostrano i 267 Caduti di tutta Italia (di cui due terzi decorati al valor militare), tra i quali oltre al celebre Cesare Battisti figurano un deputato in carica, 3 figli di ex ministri e ben 51 Direttori di giornali – restò alta l’attenzione delle forze politiche verso il mondo giornalistico. Lo dimostra il decreto luogotenenziale del 6 dicembre 1917, emanato subito dopo la disfatta di Caporetto, che aumentò il prezzo degli abbonamenti e nella vendita dei giornali proprio per consentire alle aziende di assicurare ai giornalisti “un equo trattamento economico” (tema tuttora sul tappeto a distanza di un secolo a dimostrazione dei “corsi e ricorsi” storici, n.d.r.).
Dopo la fine della Prima Guerra mondiale i deputati e i senatori furono altrettanto lungimiranti come provano:
1) la legge n. 13 del 1920 (vedere la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 12 del 16 gennaio 1920) che devolse alle istituzioni di previdenza dei giornalisti una quota delle contravvenzioni incassate per le infrazioni al divieto di pubblicazione dei giornali in determinati giorni ed ore;
2) il Regio decreto legge del 9 ottobre 1921 n. 1599 sul cosiddetto Fondo carta, che destinò una sostanziosa somma alle istituzioni di previdenza esistenti a favore del personale giornalistico;
3) Il Regio Decreto legge del 14 gennaio 1926 n. 86 che sancì il diritto in favore delle Casse di Previdenza dei Giornalisti a percepire una quota sulle inserzioni e sugli abbonamenti dei giornali, riviste e stampe periodiche;
4) il Regio decreto legge del 17 febbraio 1927 n. 359 che attribuì all’Inpgi il 10% del ricavato dei biglietti ferroviari di andata e ritorno e dei relativi abbonamenti.
Nel 1950, due anni dopo l’entrata in vigore della nostra Carta repubblicana, fu emanato un provvedimento legislativo che aboliva il limite massimo retributivo oltre il quale era escluso l’obbligo contributivo e si affermava il principio della generalizzazione dell’obbligo assicurativo. Nacque, così, l’obbligo anche per gli editori di versare all’Inps i contributi già dovuti all’Inpgi a seguito degli accordi contrattuali. Gli effetti che tale norma era destinata a produrre misero in pericolo la sopravvivenza dell’Inpgi e si corse ai ripari.
Per salvare l’Istituto, che vedeva inserite automaticamente le sue forme assicurative nel quadro istituzionale del regime generale obbligatorio, vi era un’unica soluzione possibile: fare affermare con provvedimento di legge il carattere sostitutivo delle forme assistenziali e previdenziali da esso gestite a favore dei giornalisti professionisti nei confronti delle corrispondenti forme assicurative obbligatorie.
In quest’ottica si mobilitarono i massimi esponenti dell’Istituto e del sindacato in un ampio ed approfondito confronto con la classe politica. Si deve, in particolare, alla sensibilità e lungimiranza del deputato campano e ministro del Lavoro del Governo De Gasperi, Leopoldo Rubinacci, morto 50 anni fa a Milano il 19 ottobre 1969, l’iniziativa legislativa che, preso atto della peculiarità dell’attività professionale dei giornalisti, si concluse con l’emanazione della legge 20 dicembre 1951 n. 1564 con cui venne riconosciuto all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” il carattere sostitutivo di tutte le forme di previdenza e assistenza obbligatorie nei confronti dei giornalisti professionisti ad esso iscritti.
La legge Rubinacci stabiliva, tra l’altro, che la misura dei contributi dovuti dai datori di lavoro e le prestazioni erogate dall’Ente non potevano essere inferiori a quelle stabilite per le corrispondenti forme di assicurazione obbligatorie. L’istituto divenne, così, un ente di diritto pubblico con personalità giuridica ed autonomia gestionale. Questa normativa da allora é rimasta in vigore fino ad oggi senza sostanziali modifiche (ma quasi tutti lo ignorano).
Purtroppo, quasi nessuno ricorda che in questi 68 anni di vigenza della legge l’Inpgi 1 ha incassato dalle aziende editoriali una somma di gran lunga inferiore a quella che avrebbe invece percepito l’Inps, in quanto le aziende editoriali fino a pochi anni fa hanno versato contributi previdenziali nettamente inferiori. Ed é stato calcolato addirittura in un miliardo di euro il danno che avrebbe subìto l’Inpgi 1 in base a questa differenza. Ciò dimostra il ruolo fondamentale svolto dall’Inpgi 1 in favore dell’editoria italiana.
Lo Statuto dell’Inpgi fu inizialmente approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del 1° ottobre 1951 n. 1576, poi modificato dal DPR n. 781 del 20 giugno 1956, quindi dal DPR 12 febbraio 1962 n. 571, dal DPR 24 agosto 1963 n. 1331, poi dal DPR 4 aprile 1968 n. 689 e, infine, dal DPR 21 febbraio 1972 n. 249. L’Inpgi venne di conseguenza trasformato in ente di diritto pubblico con personalità giuridica e gestione autonoma con il citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 781 del 1956.
Attualmente in applicazione di quanto disposto dal Decreto Legislativo 30 giugno 1994 n. 509, emanato dal Governo Berlusconi e che reca disposizioni in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, l’Inpgi ha assunto 25 anni fa la natura giuridica di “Fondazione” di diritto privato.
Il nuovo Statuto dell’Inpgi ente previdenziale privatizzato, ma rimasto oggi l’unico sostitutivo dell’Inps in Italia, è stato approvato con Decreto interministeriale del 24 luglio 1995, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 234 del 6 ottobre 1995 e successive modifiche.
Da ultimo é stato approvato con decreto interministeriale del 13 settembre 2007, l’attuale Regolamento di previdenza dell’Inpgi 1 (Gestione Sostitutiva dell’Ago Assicurazione Generale Obbligatoria, in vigore dal 21 febbraio 2017, mentre l’attuale Regolamento di attuazione delle attività di previdenza dell’Inpgi 2 (Gestione Separata a favore dei giornalisti iscritti lavoratori autonomi), nata ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera b) del Decreto legislativo n. 103 del 10 febbraio 1996, é stato approvato con Decreto Interministeriale del 21 maggio 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e da ultimo é stato approvato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e Finanze, con nota Ministeriale n. 12623 del 10 ottobre 2019.
Ad avallare in qualche modo l’assoluta unicità dell’Inpgi si segnala una semisconosciuta disposizione di legge di 57 anni fa che, paradossalmente, consentirebbe addirittura all’ente di poter costruire ancora oggi su aree fabbricabili case popolari per i propri Soci. Si tratta dell’art. 10 della legge n. 167 del 18 aprile 1962 che «prevede espressamente che le aree edificabili possono essere richieste per la costruzione di case popolari, solo dallo Stato, Regioni, Province, Comuni, Iacp, Ina Casa, Cooperative per la costruzione di case popolari a favore dei propri soci, Inpgi, Enti morali e Istituti non aventi scopo di lucro». Lo ha di recente confermato proprio la Cassazione con sentenza n. 10355 del 12 aprile 2019.
Tuttavia, pur con il massimo rispetto per la Suprema Corte, c’é seriamente da dubitare dell’effettiva attuale applicabilità all’ente di questa vecchia norma che attribuisce, guarda caso, solo all’Inpgi tra tutti gli enti previdenziali pubblici e privatizzati questa particolare facoltà!
Peraltro nel 1972, cioè oltre 20 anni prima della stessa privatizzazione dell’Inpgi 1 e delle altre Casse previdenziali dei liberi professionisti, la Corte Costituzionale, presieduta dal professor Costantino Mortati, con la celebre sentenza n. 214, di cui fu relatore l’avvocato Ercole Rocchetti, ritenne «insussistente l’analogia fra la Cassa di previdenza dei giornalisti e quelle degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei geometri». Ed affermò in sostanza, che «la cassa dei giornalisti costituisce un settore autonomo del complesso sistema previdenziale predisposto a tutela dei lavoratori dipendenti e i cui compiti sono assolti principalmente dall’Inps». (giornalistitalia.it)
Da 25 anni tutti i bilanci dell’Inpgi sono stati regolarmente certificati
e in Cda e nel Collegio Sindacale siedono 5 rappresentanti ministeriali
La Fondazione Inpgi (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, proprio in base alle leggi Rubinacci (20 dicembre 1951 n. 1564) e Vigorelli (9 novembre 1955 n. 1122), e successivamente alla legge 25 febbraio 1987 n. 67 (con cui sono state aperte le porte dell’ente sia ai giornalisti praticanti che fino ad allora versavano all’Inps, sia ai telecineoperatori tv che fino ad allora versavano all’Enpals), nonché all’art. 76 della legge n. 388 del 2000 (che ha spalancato l’ingresso anche ai giornalisti pubblicisti lavoratori subordinati) e alla legge 150 del 2000 (che sulla carta ha ammesso all’Inpgi 1 migliaia di giornalisti degli Uffici Stampa pubblici, ma che da ben 19 anni attende ancora una sua concreta ed effettiva attuazione), gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e provvede, altresì, ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica ed assiste anche i loro familiari.
L’Inpgi 1, come hanno affermato le Sezioni Unite Civili della Cassazione con sentenza n. 19497 del 16 luglio 2008, rappresenta assolutamente un unicum nell’intero panorama degli enti previdenziali privatizzati e, in particolare, delle Casse di previdenza dei liberi professionisti. Difatti:
a) la provvista finanziaria non proviene da contribuzioni dei professionisti, ma dall’obbligatorio contributo dei datori di lavoro (la gestione dei contributi dei liberi professionisti è autonoma e separata da quella ordinaria);
b) la previdenza e l’assistenza erogate dall’istituto sostituiscono, a differenza di quelle delle casse di previdenza dei liberi professionisti, le forme di previdenza e assistenza obbligatorie e consistono in prestazioni analoghe a quelle a carico dello Stato (cassa integrazione, prepensionamenti, Tfr, ecc.);
c) a differenza di quanto avviene per le altre Casse di previdenza dei liberi professionisti (Inpgi 2 compresa, cioè la Gestione separata per il lavoro autonomo che naviga, invece, in acque floridissime con casse piene e boom di iscritti – veri o “falsi” che siano come spiegheremo meglio dopo – ma con conti del tutto separati ed autonomi), opera il principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali;
d) l’istituto è dotato di poteri autoritativi, sia per l’accertamento per mezzo del proprio corpo di ispettori dei crediti contributivi, sia per l’irrogazione delle sanzioni;
e) la Corte dei Conti non solo esercita il controllo di gestione, ma ha giurisdizione sulla responsabilità amministrativa per danno erariale dei dipendenti;
f) la disciplina della totalizzazione dei periodi assicurativi è quella che vale per gli enti pubblici e non quella dei soggetti privati.
In conclusione, ha affermato sempre la Suprema Corte, «la disciplina dell’attività svolta dall’Inpgi giustifica ampiamente il riconoscimento della natura pubblica delle funzioni assistenziali e previdenziali svolte».
C’é chi sostiene oggi che gli atti dell’Inpgi non siano trasparenti. Eppure dal 1992 ad oggi i verbali di tutte le sedute dei suoi organi collegiali sono stati stenografati con il sistema Micaela (lo stesso in funzione al Senato).
I suoi bilanci dal 2008 (presidente Andrea Camporese) in poi sono tutti visibili nel proprio sito internet http://www.inpgi.it/?q=node/641 come le Relazioni annuali della Corte dei Conti ai bilanci dal 1996 fino all’ultima riferita al 2017, approvata con determinazione n. 55 del 23-24 maggio 2019.
L’Inpgi (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, come prevedeva il decreto del Presidente della Repubblica del 20 luglio 1961, è stato sottoposto al controllo della Corte dei Conti, controllo poi confermato dal decreto legislativo del 30 giugno 1994 n. 509. E annualmente la Sezione Controllo Enti della Corte dei Conti riferisce al Parlamento con una propria dettagliata relazione. A vigilare sull’efficienza, sull’equilibrio e sull’utilizzo dei fondi disponibili degli enti gestori, come l’Inpgi 1 e l’Inpgi 2, é, invece, preposta per legge la Commissione bicamerale per il controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale attualmente presieduta dal senatore Sergio Puglia (Movimento 5 Stelle).
Tra gli attuali 16 componenti del Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi siedono due rappresentanti governativi: uno per la Presidenza del Consiglio (é il dottor Antonio Funiciello) e uno per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (é il professor Mauro Maré componente anche della Commissione Contributi e Vigilanza). Tra i 7 componenti del Collegio Sindacale dell’Inpgi siedono tre rappresentanti governativi. Il posto di Presidente del Collegio è riservato ad un rappresentante del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (é l’avvocato professor Vito Branca), mentre dei restanti 2 sindaci ministeriali uno rappresenta la Presidenza del Consiglio (é la commercialista dottoressa Raffaella Fantini) e l’altro il Mef, Ministero dell’Economia e delle Finanze (é il dirigente statale Roberto Alessandrini).
Tutti i verbali del Collegio Sindacale vengono pochi giorni dopo trasmessi ai Ministeri vigilanti del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Economia e delle Finanze (assieme alle delibere che necessitano di approvazione adottate dal Cda, dal Consiglio Generale e dal Comitato Amministratore dell’Inpgi 2), nonché alla Sezione Controllo Enti della Corte dei Conti. Analogamente vengono trasmessi alla Covip (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) gli atti di sua stretta competenza. Insomma, tutte le pubbliche autorità sono state sempre puntualmente informate passo passo di ciò che accadeva all’Inpgi 1 e all’Inpgi 2.
Anche i rendiconti annuali dell’Inpgi 1 e dell’Inpgi 2 sono sottoposti per legge (decreto 509 del 1994) a revisione contabile indipendente e a certificazione da parte dei soggetti in possesso dei requisiti per l’iscrizione al registro di cui all’art. 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88. Negli ultimi quattro anni, cioè per i bilanci 2015, 2016, 2017 e 2018 – oltre a quelli relativi all’anno in corso 2019 e al 2020 – tale incarico è stato svolto dalla Società di revisione E & Y Spa (già Reconta Ernst & Young S.p.A), mentre in precedenza fino a tutto il 2014 analogo lavoro era stato, invece, svolto dalla Società di revisione PricewaterhouseCoopers Spa.
Insomma, da 25 anni tutti i bilanci dell’Inpgi sono stati certificati, come prevede la legge, da società preposte alla revisione contabile indipendente e le cui risultanze sono pubbliche e non hanno mai dato adito ad alcun rilievo. Sono stati, inoltre, sempre predisposti anche i bilanci tecnico-attuariali Inpgi 1 e Inpgi 2 (negli ultimi anni li ha redatti il prof. Marco Micocci), che sono stati puntualmente inviati ai ministeri vigilanti.
In conclusione, signor Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, La prego di voler cortesemente prendere atto di questi dati e di fare pubblicamente mea culpa. (giornalistitalia.it)
Pierluigi Roesler Franz
Sindaco Inpgi
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