LIVORNO – Delle doti umane e delle qualità professionali di Franco Carnieri hanno già scritto tanti colleghi e amici, soprattutto del “Tirreno” dove Franco aveva speso gli ultimi 26 anni del suo percorso giornalistico, iniziato negli anni Settanta a “Paese Sera”. Nei resoconti tuttavia, lo registro con un pizzico di disappunto, non si fa cenno al sia pur breve periodo di collaborazione che Franco ebbe anche con la redazione livornese de “La Nazione” dove anch’io ho mosso i primi passi del mestiere.
Per me non è una banale questione di appartenenza di testata, peraltro ormai abbondantemente superata dal pensionamento anticipato, ma l’irrinunciabile memoria di una condivisione che non dimenticherò mai. Perché Franco, per primo, nel rivendicare con orgoglio il suo essere comunista, si nutriva di valori universali, quelli dell’onestà, lealtà e amore per la verità, anche se a volte scomoda, che ne facevano uno straordinario giornalista. E un amico di immediata empatia.
Oltre che un signore d’altri tempi. Il signore che, sul finire di quegli anni Settanta, duri, drammatici, insanguinati dal terrorismo, lo fece esser grato al caporedattore de “La Nazione”, l’indimenticato Bruno Castagnoli, per averlo immediatamente accolto nella redazione di Piazza Grande quando proprio il Pci, il suo Pci, decise di chiudere “Paese Sera” per evitare a “l’Unità” un sempre più ingombrante concorrente nel mercato editoriale di casa.
Del resto non si trattava di un caso isolato: pur nella distanza ideale e ideologica dell’epoca, fu proprio “La Nazione”, soprattutto a Firenze, a garantire la continuità occupazionale e dello stipendio a tanti colleghi rimasti in mezzo a una strada con la fine della gloriosissima storia di “Paese Sera”. Giornale certamente di parte, ma che al cospetto dei marchettifici di oggi e della stampa ideologizzata di allora, a sinistra e a destra, era comunque di una caratura professionale universalmente riconosciuta di prima scelta.
E di Franco, del suo ineguagliabile stile, del suo meraviglioso donarsi agli altri, mi resta un segno tangibile e carico di significato che custodisco come una delle “cose” più importanti della mia vita: una macchina da scrivere “Olivetti 32” che Franco mi prestò per sostenere l’esame di stato a Roma che, nel dicembre del 1980, dette sostanza al sogno che inseguivo sin dall’adolescenza: l’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti professionisti.
Quando tornai, felice come una pasqua a Livorno, Franco mi accolse con un sorriso che aveva una meravigliosa luce paterna. E, quando gli porsi la preziosa valigetta verde pisello che conteneva la sua “Olivetti 32”, lui mi disse di tenerla. Era il suo regalo per la prova superata. E il benvenuto in un mondo di valori che facevano di Franco una persona assolutamente fuori dal comune. E che anch’io ho cercato, per quanto ho potuto, di rispettare nel mio cammino. La sua morte rende quel mondo, già brutalmente ridimensionato nel corso degli anni, ancora più lontano. Nel tempo e nella sostanza di vita. Ciao Franco, e grazie. Un abbraccio a tutti i suoi cari. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mascambruno