ROMA – Il tribunale di Lecce ha condannato a un anno di reclusione il giornalista del quotidiano “la Repubblica”, Franco Viviano ritenendolo responsabile di aver sottratto “documenti custoditi in un pubblico ufficio”, reato previsto dall’articolo 351 del codice penale.
A darne notizia è stato il Comitato di redazione del giornale spiegando che la condanna si riferisce alla pubblicazione, nel marzo 2010, di un dettagliato articolo sull’inchiesta allora condotta dalla Procura di Trani “sul cosiddetto caso Rai-Agcom, in cui l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi era indagato per le asserite pressioni esercitate per chiudere il programma televisivo di Michele Santoro «Anno Zero». Non solo. Lo stesso tribunale di Lecce, nel condannare Viviano, ha ritenuto di dovergli comminare una pena detentiva superiore a quella richiesta dal pubblico ministero (9 mesi di reclusione) in ragione di una precedente condanna ricevuta per essersi «introdotto» nel centro di raccolta di immigrati di Lampedusa in occasione di una delle sue molte inchieste”.
La redazione di “Repubblica” non solo è solidale con il collega Viviano, che peraltro si è detto e si dice innocente rispetto alle accuse che gli vengono mosse, ma stigmatizza come reati “professionali”, propri cioé di chi è mosso dal diritto-dovere di cronaca, vengano puniti con il carcere.
“Nessuno – afferma il Cdr – evidentemente pensa o invoca che i giornalisti siano o debbano essere svincolati o liberi dal rispetto della legge, ma colpisce, nel caso di Viviano, la sproporzione della punizione e il rischio che questa suoni dunque intimidatoria”.
Sulla vicenda è intervenuta la Federazione Nazionale della Stampa sottolineando che “la vicenda di Francesco Viviano ripropone l’urgenza di affrontare – anche a prescindere dal caso in questione – il problema del carcere per i giornalisti, ancora previsto nel nostro ordinamento”.
Il presidente e il segretario generale della Fnsi, Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso, concordando con il Cdr di Repubblica, ricordano che “chi esercita il diritto di cronaca nell’interesse esclusivo dei cittadini ad essere informati e nel rispetto della verità dei fatti non può rischiare il carcere. Si tratta di un’anomalia tutta italiana, più volte stigmatizzata anche dagli organismi internazionali”.
A tal proposito, la Fnsi auspica che il Parlamento dia seguito alla richiesta dell’Unione Europea di depenalizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa. La proposta di riforma attualmente in discussione non affronta, infatti, il problema in modo soddisfacente anche perché nulla dice su un altro fenomeno molto italiano, quello delle querele temerarie, una pratica sempre più diffusa e inaccettabile in un Paese civile perché si trasforma di fatto in una forma di intimidazione ai giornalisti e, quindi, di limitazione del diritto di cronaca.
Cdr ed Fnsi: “Il Parlamento depenalizzi il reato di diffamazione a mezzo stampa”