ROMA – A faccia in giù, appena lambito dall’acqua, le braccia abbandonate, immobile nella morte. Il piccolo profugo siriano annegato davanti alla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, ha ancora la maglietta rossa e i pantaloncini scuri, le scarpe allacciate. E la foto di quel corpicino composto, delicato, ha fatto il giro del web, è stata rilanciata all’infinito su Twitter, simbolo della tragedia dei migranti e della decisione dei media di guardarla in faccia, questa tragedia. Senza sensazionalismo, ma anche senza ipocrisia.
L’agente turco ha il volto tirato mentre solleva con attenzione quel bimbo di due anni per portarlo via dal mare, troppo tardi per metterlo al sicuro ma ancora in tempo per un gesto silenzioso di pietà. Immagini dure, che il quotidiano britannico The Independent ha pubblicato per primo.
“È troppo facile dimenticare la realtà di una situazione disperata che molti rifugiati devono affrontare”, scrive il giornale spiegando una scelta non scontata e lanciando, con una domanda, un appello: “Se queste immagini straordinariamente potenti di un bimbo siriano morto su una spiaggia non cambiano l’atteggiamento dell’Europa nei confronti dei rifugiati, cosa può farlo?”. Lo chiede agli inglesi terrorizzati dall’ondata di migranti nel tunnel della Manica e agli ungheresi che costruiscono muri, agli austriaci scioccati dai morti asfissiati nel camion, a tutti i Ventotto che non sanno dare risposte alle centinaia di migliaia di disperati in fuga dal caos al di là del Mediterraneo. Lo ricorda al premier David Cameron, intransigente paladino della chiusura a ogni aiuto.
El Pais parla di “simbolo del dramma nell’Egeo”. “Immagini scioccanti” della “tragica epopea dei rifugiati”, scrive The Guardian. Il Mail online sceglie di sgranare l’immagine. Per l’Huffington Post Gb questa è “la guerra siriana in una foto”.
The Telegraph titola: “L’immagine del bambino siriano morto cattura la tragedia umana della crisi dei migranti”. Perfino Twitter cambia linguaggio, e c’è chi scrive “preghiamo per la sua anima innocente. Ogni giorno siamo impotenti di fronte a questo”.
Martedì un’altra foto aveva fatto il giro del mondo. Quella di una turista greca a bordo di una barca che stringeva a sé un profugo siriano salvato dopo 13 ore di mare non lontano da Kos. Il piccolo di ieri non è stato cosi fortunato. È uno degli 11 migranti siriani annegati mentre tentavano di raggiungere, a bordo di due imbarcazioni, l’isola greca di Kos, la porta più vicina dell’Europa e di una speranza inseguita a qualunque costo. Erano partiti da Akyarlar, poco lontano da Bodrum, e a soli cinque chilometri di mare da Kos. Troppi per la salvezza. (Ansa)
Lo chiedono i media, da The Independent a El Pais: “Cosa deve ancora accadere?”