ROMA – L’emergenza Coronavirus, quella che ha messo in ginocchio aziende e lavoratori costringendo il Governo a proroghe e misure straordinarie per il sostegno delle famiglie, non vale per il contratto nazionale di lavoro giornalistico Uspi-Fnsi. Pertanto, le aziende che l’hanno applicato, non solo non potranno rinnovare i contratti a termine e fare nuove assunzioni, ma dovranno adeguare i minimali contributivi a quelli, molto più onerosi, del contratto Fnsi-Fieg. L’Inpgi, infatti, annuncia che alle aziende, già in ginocchio per la crisi del settore ulteriormente aggravata dalla pandemia, «provvederà d’ufficio a ricalcolare le denunce contributive dei mesi di giugno e luglio 2020» costringendole ad un esborso in molti casi insostenibile e, dunque, pericoloso per il futuro dei giornalisti.
Ma vediamo come si è arrivati a questo punto. Con delibera del 23 ottobre scorso, la Giunta Esecutiva della Fnsi (contrari l’allora segretario generale aggiunto Carlo Parisi e Anna Russo, astenuti Giuseppe Di Pietro e Daniela Stigliano), ha votato con 11 voti a favore la disdetta del contratto firmato appena 14 mesi prima «perché non ha dato i risultati sperati e in alcuni casi è stato applicato ad aziende fuori dal perimetro contrattuale».
Attenzione: se il contratto Uspi-Fnsi è stato applicato in aziende “fuori dal perimetro contrattuale”, questo è stato possibile solo e soltanto per le deroghe concesse dall’apposita Commissione paritetica.
Numeri tutt’altro che insignificanti, quelli dei contratti di lavoro dipendente applicati (circa 300 per la Fnsi, circa 550 per l’Uspi) che, comunque, sono oro in un periodo devastante per il mondo del lavoro e dell’editoria in particolare (solo nel 2019 i posti di lavoro persi sono stati 865 per un totale di quasi 5mila negli ultimi sette anni). Ma soprattutto, come annunciato dalla Fnsi 14 mesi fa, «un contratto rivolto ad un ampio settore della categoria per il quale garanzie e tutele sono sempre state soltanto un miraggio. Un contratto rivolto non solo alle 3mila testate delle mille aziende Uspi, ma all’universo dell’on line che, bilanciando costo aziendale, diritti e tutele, offre alle aziende uno strumento sostenibile e, soprattutto, rappresenta un atto di giustizia per dare dignità a tanti giornalisti che un contratto non l’hanno mai avuto e forse, senza l’Uspi-Fnsi, non l’avrebbero mai».
Da evidenziare, infatti, che il mondo al quale il contratto Uspi-Fnsi era rivolto è quello delle aziende che non possono sostenere il costo del contratto Fieg-Fnsi e che, pertanto, costringono i giornalisti ad accettare anomali e stravaganti rapporti di lavoro che ne mortificano la dignità, oltre che penalizzarne la carriera contributiva.
Il 24 ottobre 2019, quindi, la Fnsi ha comunicato – 7 mesi prima della scadenza (nonostante il contratto prevedesse un preavviso di 4 mesi) – la disdetta del contratto con decorrenza 1 giugno 2020 senza alcuna proroga.
L’Inpgi, dal canto suo, ha aspettato 1 mese e 8 giorni dal ricevimento della risposta ad un quesito posto alla Fnsi (chiusa per ferie dal 5 al 26 agosto) per emettere, a pochi giorni da Ferragosto, una circolare (la numero 8 del 10 agosto 2020 “Cessazione contratto collettivo giornalistico Uspi/Fnsi”) che smantella il contratto nazionale di lavoro giornalistico Uspi-Fnsi, tagliando le speranze che nello stesso erano state riposte dai giornalisti ai quali era stato applicato ed a quelli che erano attesa di vederselo applicare.
Nella circolare dell’Inpgi, inviata ieri alle aziende, alla Fnsi, all’Uspi, agli Uffici di Corrispondenza dell’Inpgi e alla Casagit, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani evidenzia che «con atto del 24 ottobre 2019, la Fnsi – avvalendosi delle disposizioni di cui all’art. 31 del Cnlg in oggetto – ha disdettato il contratto collettivo Fnsi-Uspi del 24 maggio 2018 (in scadenza il 31 maggio 2020)» per comunicare che «la Federazione Nazionale della Stampa, con nota n. 1023 del 2 luglio 2020, rispondendo ad un quesito dell’Inpgi, ha confermato che – pur essendo in corso trattativa tra le parti – il contratto collettivo giornalistico Uspi/Fnsi deve intendersi scaduto il 31 maggio 2020 e che lo stesso non è stato oggetto di proroga».
L’Inpgi ricorda che «le vigenti disposizioni legislative prevedono che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali non può essere inferiore all’importo stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva (D.L. n. 338/1989 convertito in legge n. 389/1989)».
Alla luce di questo ragionamento, l’Inpgi «fa presente che anche i datori di lavoro non aderenti alla disciplina collettiva posta in essere dalle citate Organizzazioni Sindacali sono obbligati, agli effetti del versamento delle predette contribuzioni, al rispetto dei trattamenti retributivi stabiliti dalla disciplina collettiva.
Infatti, l’art.2 – comma 25 – della legge 549/1995 ha disposto che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la stessa categoria, la retribuzione ai fini del calcolo dei contributi è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle Organizzazioni Sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria. Nel caso dei giornalisti ha, quindi, valenza il contratto stipulato tra la Fnsi e la Fieg. Limitatamente al settore giornalistico della emittenza radiotelevisiva in ambito locale il contratto di riferimento è quello stipulato tra la Fnsi ed il coordinamento Aeranti-Corallo».
Pertanto, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani afferma che «ai soli fini della determinazione della contribuzione dovuta all’Inpgi, a far data dal mese di giugno 2020, i datori di lavoro con personale giornalistico i cui rapporti di lavoro risultano regolati dal suddetto Ccnl scaduto dovranno far riferimento ai minimi retributivi previsti dal Ccnl giornalistico Fieg/Fnsi, quale contratto collettivo stipulato dalle Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale».
«Ai fini della predisposizione della denuncia contributiva mensile, le aziende interessate – comunica l’Inpgi – dovranno procedere alla variazione nella procedura Dasm del codice di contribuzione attribuito: alle aziende inquadrate con codice 35 è attribuito d’ufficio il codice contributivo 27; alle aziende inquadrate con codice 39 è attribuito d’ufficio il codice contributivo 16».
«Ai dipendenti, sempre ai fini della determinazione della contribuzione e del rispetto dei minimi retributivi contrattuali imponibili, a seconda della tipologia di svolgimento del rapporto di lavoro – prosegue l’Inpgi – dovrà essere attribuita la corrispondente qualifica prevista dal Ccnl giornalistico Fieg/Fnsi. Di conseguenza, per i rapporti di lavoro che prevedono la presenza quotidiana in azienda ed il rispetto dell’orario di lavoro, dovrà essere attribuita la qualifica di “redattore” o superiore. I dipendenti con qualifica di “collaboratori di redazione”, invece, per i quali non è previsto uno specifico orario di lavoro, potranno essere inquadrati ai fini previdenziali come “collaboratori fissi” ex art. 2 del Cnlg Fieg/Fnsi».
L’Inpgi conclude affermando che «provvederà d’ufficio a ricalcolare le denunce contributive dei mesi di giugno e luglio 2020, segnalando alle aziende interessate le eventuali differenze contributive dovute, che potranno essere versate – senza aggravio – entro il prossimo mese di settembre 2020».
E adesso? Le aziende, che hanno già comunicato ai giornalisti l’intenzione di non rinnovare i contratti a termine scaduti e non procedere alle programmate nuove assunzioni, minacciano licenziamenti «per impossibilità a sostenere costi aziendali proibitivi» ed i giornalisti si chiedono perché debba sempre piovere su quelli che non hanno ombrello. (giornalistitalia.it)
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