TRIESTE – Il Fondo Straordinario per l’Editoria attivato nei giorni scorsi dal Dpcm firmato dal sottosegretario all’Editoria Giuseppe Moles, con un provvedimento concertato con il ministro del Lavoro Andrea Orlando, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ed il ministro dell’Economia Daniele Franco è un importante aiuto al settore dell’informazione e la dimostrazione dell’attenzione verso il comparto.
Il sostegno dello Stato in questa fase di profonda crisi è fondamentale, ma serve una riforma normativa per salvare l’informazione, che è una delle solide basi della democrazia.
Due anni fa, da consigliere generale dell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), inviai – purtroppo da solo senza la condivisione di Assostampa Friuli Venezia Giulia-Fnsi — un appello ai Parlamentari del Friuli Venezia Giulia per salvare la previdenza dei giornalisti italiani e avviare sia un percorso di riscrittura delle ormai inadeguate norme che sovrintendono al mondo del giornalismo, sia la revisione della legge 150/2000 sull’informazione la comunicazione nella pubblica amministrazione. E della necessità di mettere mano alla 150/2000 si è espressa sia la Federazione Italiana Giornalismo Editoria Comunicazione (Figec), che PA Social che nella recente convention di Bergamo ha messo sul tavolo le stesse richieste.
Sono molte le affinità professionali tra i giornalisti e i comunicatori. Fino ad un anno fa veniva, infatti, perseguita da alcuni la strada dell’ingresso dei comunicatori all’interno dell’Inpgi. Una strada che non doveva servire solo per far “cassa” contributiva, ma che doveva prevedere la definizione di una collocazione dei comunicatori a livello ordinistico.
L’informazione, la comunicazione, ma anche la regolamentazione della pubblicità trasparente sui social media, sono tasselli di un unico sistema normativo, che va riformato per dar vita a un testo unico di regole valide per tutti. E ora, a due anni di distanza, la situazione è talmente grave che servirebbe un “Bonus 110%” pluriennale per l’editoria tradizionale e digitale, televisiva e radiofonica, per ridare vigore a un mercato colpito dalla crisi e sostenere le nuove assunzioni e gli investimenti in innovazione.
Giornaliste e giornalisti hanno il diritto al riconoscimento per legge di una professione profondamente mutata e in rapida evoluzione. È necessario capire perché a fine mese un collaboratore con decine di articoli pubblicati percepisce meno del reddito di cittadinanza. Intendo, ovviamente, un giornalista che è obbligato a maturare competenze, crediti formativi, seguire i corsi di aggiornamento, acquistare le tecnologie necessarie per adempiere al suo lavoro in un’era sempre più crossmediale. Gli interventi devono servire a garantire dignità e giusti compensi, perché solo attraverso il versamento dei contributi si potrà avere una dignità pensionistica.
L’Ordine dei Giornalisti ha organizzato decine di corsi con crediti formativi su come utilizzare i social network, come scrivere su Facebook piuttosto che su Twitter, o fare una foto e un breve video. Tutto questo pacchetto formativo vale retributivamente “zero” – fatta eccezione per il contratto nazionale Uspi-Cisal – solo perché le norme e i contratti non prevedono tali attività, nonostante siano fondamentali per contrapporsi alle fake news che girano su internet. Chi non ha mai letto di personaggi morti e risorti sul web nell’arco di qualche ora?
Sempre i giornalisti e i comunicatori devono rispettare le norme in vigore, mentre altri attori del web sono liberi di fare ciò che vogliono. Un esempio è quello relativo ai minori: la Carta di Treviso richiede agli operatori dell’informazione di non indicare neppure le iniziali del nome del minore, mentre sui social troviamo che profili personali/commerciali vengono usati senza seguire le regole che il legislatore ha inteso porre a tutela e nell’interesse dei soggetti più deboli.
Rimanendo nel mondo del web e dei social, si leggono spesso frasi del tipo: «Quella testata è di parte, meglio i social». Ma chi le scrive si è mai reso conto che le proposte che riceve sulle piattaforme sono generate da algoritmi che gli suggeriscono solo ciò che lui vuole sentire?
L’informazione, invece, non è un algoritmo, ma è il frutto dell’ingegno e del lavoro di persone che svolgono una professione che prevede sia la formazione prima dell’iscrizione all’Ordine, sia il successivo obbligo di aggiornamento continuo. E tutto ciò va tutelato come qualunque altro lavoro. (giornalistitalia.it)
Andrea Bulgarelli