ROMA – «“Voglio una vita spericolata, una vita come quelle dei film, una vita come Steve McQueen”. Sono le strofe che cantavo in Afghanistan nel 1983 durante il mio primo reportage al seguito dei mujaheddin, che si battevano contro gli invasori sovietici.
E domenica sera, prima del concerto “data zero”, a Bibione, ho coronato il sogno di incontrare Vasco Rossi, l’autore di questa canzone leggendaria. E portargli la foto della bambina in rosso di Kabul, in fuga dai talebani nella drammatica evacuazione del 2021. L’ho scattata dopo quarant’anni di vita spericolata in tanti reportage dalla prima linea. Un modo per non dimenticare il dramma delle donne afghane. E subito dopo il travolgente concerto davanti a 30mila persone a Bibione su un palco grandioso. Il Komandante, a 72 anni, non ha mollato un attimo cantando 24 pezzi per oltre due ore e mezza. E chiudendo, prima di Albachiara, con Vita spericolata, come quella dei film».
È questo il post che il giornalista Fausto Biloslavo pubblica sul sito on line del quotidiano Il Giornale, alle ore 18.37 del 3 giugno scorso, dopo aver incontrato Vasco Rossi e che dà per intero l’immagine reale di questo straordinario cronista di guerra.
Storia, la sua, di un giornalista che ogni sera entra nelle case di milioni di italiani con il garbo dell’amico della porta accanto e che, da 40 anni, racconta i conflitti e la devastazione di intere popolazioni in ogni parte del mondo.
«Quando Fausto Biloslavo si è iscritto alla Figec Cisal – afferma Carlo Parisi, segretario generale del nuovo sindacato dei giornalisti – abbiamo esultato, conoscendo la sua storia professionale e la serietà con cui ha sempre fatto il suo lavoro di inviato speciale nelle aree di crisi e di guerra di tutto il mondo. Per noi è un valore aggiunto perché porta all’interno della Figec Cisal, sempre più numerosa in tutte le province del nostro Paese, la sua esperienza e la sua passione per il giornalismo professionale di qualità».
Biloslavo per mesi ha vissuto in Siria, dove ha seguito e segue, ora per ora, una crisi che rischia di provocare altri morti e altri eccidi, e che oggi ridiventa più attuale che mai dopo il grido di allarme lanciato in questi giorni dai vertici dell’Unicef.
«Con la situazione in Siria in rapida evoluzione, l’Unicef – si legge in una nota ufficiale del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia – rinnova l’appello del Segretario generale delle Nazioni Unite alla calma, ad astenersi dalla violenza e a proteggere i diritti di tutti i Siriani – soprattutto i bambini, almeno 80 dei quali sono stati uccisi nelle ultime due settimane. Le condizioni umanitarie nel paese sono difficili, milioni di bambini e famiglie affrontano estrema deprivazione. Più di 10 anni di conflitto hanno causato ingenti danni a infrastrutture essenziali, sfollamenti su larga scala e accesso gravemente limitato a servizi essenziali che comprendono acqua sicura, servizi igienico sanitari, salute, nutrizione, protezione e istruzione».
L’Unicef chiede, quindi, a tutte le parti di «garantire che gli operatori umanitari abbiamo accesso sicuro e senza ostacoli per raggiungere bambini e famiglie con assistenza. Questo è fondamentale per poter ampliare rapidamente la risposta e rispondere ai crescenti bisogni umanitari. I bambini in Siria hanno già sofferto abbastanza. Hanno bisogno di un futuro di pace, dignità e opportunità».
Questo è il quadro generale che ogni giorno Fausto Biloslavo racconta dal fronte siriano, ma la situazione è così esplosiva da immaginare che anche il giorno di Natale o della fine dell’anno vedremo in televisione le cronache in diretta di questo grande reporter italiano.
Nato a Trieste il 13 novembre 1961, giornalista professionista iscritto all’Ordine del Friuli Venezia Giulia dal 25 febbraio 1983, in trentacinque anni di conflitti Fausto Biloslavo ha lavorato per tantissimi giornali italiani (Il Giornale, Avvenire, l’Indipendente, Corriere della Sera, Panorama, Epoca, L’Europeo, Mediaset, Rai, Sky) e per varie testate straniere (Tsi – tv svizzera, Ndr – tv tedesca, Antenne 2 – tv francese, L’Express, Orf – tv austriaca, Le Point, Jane’s defence weekly, Insight, magazine del Washington Times, Time Life, El Mundo, Nbc, Cbs).
Di grande forza mediatica sono due suoi libri nei quali Biloslavo racconta la sua vita di reporter di guerra (“Prigioniero in Afghanistan” – Sugarco e “Le lacrime di Allah” – Mondadori) e l’instant book “I nostri marò” (il Giornale 2013), ma è lui il primo a sottolineare che il «mestiere del giornalista non è quello dello scrittore».
Il suo libro fotografico “Gli occhi della guerra”, che è di una suggestione senza pari, sui conflitti dagli anni Ottanta ad oggi, viene rinnovato ogni anno con gli scatti dei nuovi reportage. In trentacinque anni di lavoro, sui fronti più caldi del mondo, Fausto ha scritto oltre 5000 articoli e «vissuto tante di quelle guerre – sottolinea – da apprezzare sempre più le cose semplici della vita e la fortuna di vivere in pace». Alle spalle si porta dietro un’infanzia felice e serena vissuta tutta intera tra Monfalcone e Trieste, e poi gli anni bellissimi del suo istituto nautico, e poi ancora la sua laurea con il suo 110 e lode in Scienze Politiche.
Un numero uno, in senso assoluto, un fuoriclasse e, soprattutto, un cronista libero, lontano anni luce dai condizionamenti della politica e sempre in prima fila a rischiare la vita per dare il meglio di sé stesso nel suo lavoro. Guai se non scrivessimo queste cose di lui.
Durante l’invasione israeliana del Libano nel 1982, è l’unico reporter che riesce a fotografare Yasser Arafat in fuga da Beirut. Negli anni Ottanta copre le guerre dimenticate, dall’Afghanistan, all’Africa, fino all’Estremo Oriente. Nel 1987 viene catturato e tenuto prigioniero a Kabul per sette mesi, dopo un reportage con la resistenza afghana contro l’Armata Rossa. L’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga (e solo lui poteva farlo), ottiene per fortuna la sua liberazione.
È davvero lungo l’elenco delle guerre vissute da Fausto Biloslavo in prima persona, dal genocidio in Ruanda alla crisi nei Balcani dove racconta tutte le guerre dalla Croazia, alla Bosnia, fino all’intervento della Nato in Kosovo. Nel 1997 firma il reportage forse più pericoloso della sua vita, in Cecenia, per liberare Mauro Gallegani, fotografo di Panorama, rapito dai famigerati tagliagole locali.
A quaranta anni esatti, nel 2001, è uno dei primi giornalisti ad entrare a Kabul al seguito delle truppe occupanti statunitensi e nel 2003 segue le truppe anglo-americane nell’invasione dell’Iraq fino alla caduta del regime di Saddam Hussein. Nel 2011 è l’ultimo giornalista italiano ad intervistare il colonnello Gheddafi prima dell’aggressione della Nato contro la sua nazione e del suo conseguente assassinio. Dalla nascita del Califfato insegue le bandiere nere in Siria, Libia e Iraq. Un protagonista di primissimo piano, insomma, del giornalismo di guerra di questo ultimo secolo.
Il giornalista triestino è stato più volte minacciato da chi vede nel suo lavoro un pericolo per il proprio paese. È il caso dell’imam di Bologna, recentemente espulso in Pakistan, che in un servizio televisivo dal Libano lo aveva definito un “cattivo maestro” evidenziando le proprie posizioni di islamista ultraradicale.
Anche in questa occasione la reazione immediata di Fausto Biloslavo è una posizione di grande equilibrio che, però, deve far riflettere il nostro mondo. «Non bisogna prendere queste minacce troppo sul serio – spiega Fausto – ma neanche sottovalutarle.
Soprattutto perché sono state pronunciate in un video dal Pakistan, dove l’imam è stato espulso per motivi di sicurezza nazionale, mentre in arabo citava le sure del Corano nei miei confronti, appunto, definendomi miscredente e corrotto al soldo di chissà chi. In realtà il messaggio era quasi tutto in italiano, quindi rivolto ad un pubblico tutto italiano, dove però puoi trovare anche qualche giovane islamico fuori di testa».
Ma ancora prima di questo episodio, a minacciare il reporter italiano erano stati quelli di Al Quaeda.
«È vero, non è la prima volta che subisco minacce del genere. Ma questo bisogna metterlo nel conto, se da oltre 40 anni fai il giornalista di guerra sul campo. Prima dell’imam, alcuni anni fa c’era un’organizzazione terroristica – sempre in zona medio orientale – che mi aveva addirittura condannato a morte. Poi, in una base di Al Quaeda in Siria, è stata trovata una lista di nomi di giornalisti occidentali da rapire. C’erano anche altri colleghi italiani e il sottoscritto. Infine, uno pseudo gruppo jihadista albanese di hacker mi ha piratato il sito con tanto di scimitarre islamiche e minacce nei miei confronti».
La profonda tristezza del grande reporter triestino oggi non è tanto il clima pericolosissimo che vive sulla sua pelle in Siria come inviato del suo giornale, quanto invece – racconta – la solitudine in cui è rimasto dopo le minacce subite.
«A parte la Digos, il prefetto e il questore di Trieste, che mi hanno garantito assoluta attenzione e sorveglianza, com’è giusto che sia, nessun altro si è fatto sentire. Ma per assurdo non mi stupisco nemmeno. È incredibile, ma neanche l’Ordine dei Giornalisti di Trieste, di cui faccio parte, è intervenuto. A volte penso che sarebbe meglio non essere iscritti, ma bisogna esserlo per poi fare questo mestiere. Vedo da lontano dove vivo che molti ordini professionali si preoccupano di qualsiasi problema, anche il più marginale. Ma nel mio caso sono rimasto sempre completamente solo. Evidentemente ci sono sempre due pesi e due misure. Magari, ho pensato, sarà perché scrivo su un giornale che viene definito di destra, o magari perché vengo bollato per non essere un uomo di sinistra. Oppure soltanto perché c’è di mezzo un pericolo musulmano. Sta di fatto che registro un silenzio tombale da parte di quella che di fatto dovrebbe essere la mia famiglia, la mia categoria, e non invece una casta».
Amarezze dietro amarezze. Ma come se ne esce?
«Sono assolutamente convinto che la politica dovrebbe sempre restar fuori dal nostro mestiere. Ovviamente noi abbiamo le nostre idee, le nostre opinioni, che esprimiamo liberamente. Ma posso garantire che quando vado sul campo, anche se l’obiettività non esiste, io lavoro senza paraocchi.
Vado sul campo su tutti i fronti. Cerco sempre di andare, quand’è possibile e talvolta anche quand’è impossibile, su tutti i fronti in lotta per sentire tutte le storie, tutte le versioni di un conflitto. Penso, invece, che purtroppo tanti colleghi e anche alcune istituzioni giornalistiche, oggi lavorano e pensano solo coi paraocchi. E questo mi porta tristezza. E mi scuso se ho osato raccontarvi anche questo».
Ma il suo racconto diventa per fortuna oggi motivo di riflessione corale da parte della Figec Cisal: «La storia di Fausto Biloslavo – commenta Carlo Parisi, segretario generale della Figec Cisal – deve convincerci che nessun collega deve essere lasciato solo e che attorno al rischio che corre anche uno solo di noi bisogna fare quadrato, perché nessun cronista al mondo si senta mai più solo».
«A conferma dell’attenzione e dell’ammirazione che nutriamo verso di lui e verso il suo lavoro, sottolineiamo – ribadisce Carlo Parisi – che noi siamo con Fausto Biloslavo e che il suo lavoro avrà da parte nostra il rispetto pieno e puntuale di una categoria che spesso dimentica i suoi figli migliori. Porteremo anche nelle sedi deputate il peso della sua solitudine perché ci si renda conto delle difficoltà enormi e pesanti che gli inviati di guerra vivono sui fronti più caldi del mondo. Lo abbiamo fatto con Stefania Battistini, dopo la minaccia di un arresto da parte delle autorità russe, lo faremo con Fausto Biloslavo ancora di più, perché il loro lavoro va considerato sacro sotto tutti i profili possibili». (giornalistitalia.it)
Pino Nano