MILANO – Libero di spararle grosse, per catturare l’attenzione con il sensazionalismo che ormai caratterizza i suoi pezzi, ma non di scadere nel pessimo gusto – per usare un eufemismo –, per di più offendendo la memoria di una ragazza bruciata viva dall’ex fidanzato. Vittorio Feltri ci ricasca e, questa volta, non se la prenda con l’Ordine dei giornalisti che, giustamente, ha aperto un procedimento disciplinare sul catenaccio del titolo di apertura che il direttore di Libero ha dedicato, martedì 31 maggio, al barbaro omicidio di Sara Di Pietrantonio.
Sotto il titolo “Mentre i politici discutono di elezioni – Venezia occupata dagli abusivi – Milano allagata dalla pioggia – Roma sommersa dai rifiuti”, il catenaccio della vergogna: “E per gradire nella capitale arrostiscono una ragazza di 22 anni”.
Il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Gabriele Dossena, ha reso noto di aver trasmesso al Consiglio di disciplina territoriale, che ha già aperto l’istruttoria, le numerose e indignate proteste di quanti, come il Consiglio nazionale dell’Ordine, ritengono che Feltri abbia raggiunto il limite della tolleranza, ma soprattutto di coloro che, sottoscrivendo la petizione online su Change.org, ne reclamano a viva voce la radiazione dall’Albo professionale.
Di pentimento neppure a parlarne. “Non capisco dove stia il problema, la ragazza è stata bruciata viva, proprio arrostita”, insiste Vittorio Feltri che, ritenendo “assurda” la richiesta di radiazione, afferma che “il termine arrostire rende l’idea dell’intento punitivo. Il dizionario dice che arrostire significa cuocere ed è quello che ha fatto, anzi, ha fatto un flambé di quella ragazza ed è atroce. Mi sembrava che arrostire rendesse l’idea, flambé era adatto, ma magari sembrava ironico”.
Al microfono del programma di Radio24 “La Zanzara”, il direttore di Libero sostiene di aver “usato quel verbo perché il concetto faceva orrore e c’era una componente molto prossima alla tortura. Quindi, queste polemiche mi sembrano del tutto artificiose e, come sempre, si richiamano al «politicamente corretto», che è una sorta di gabbia del pensiero. Il mio è un linguaggio crudo? No, semmai è cotto”.
Feltri, insomma, difende a spada tratta il suo vergognoso catenaccio senza farsi sfiorare minimamente dal dubbio di aver raggiunto un livello di indecenza inaccettabile. La libertà di stampa è ben altra cosa.
Titoli come questo offendono la dignità di ogni giornalista che, quotidianamente, si sforza di difenderla a denti stretti per garantire qualità dell’informazione nel rispetto della deontologia professionale e di chi legge. E, manco a dirlo, di chi ha fatto una fine atroce per aver avuto la sfortuna di incontrare l’uomo sbagliato, l’indifferenza dei passanti e, come se non bastasse, l’imbarbarimento postumo di chi pretende di dare lezioni di vita violentando la professione con un linguaggio, lo ribadiamo, vergognoso. (giornalistitalia.it)