MILANO – Il sostituto procuratore generale di Milano, Daniela Meliota, ha chiesto la conferma delle condanne per l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede e per l’ex consigliere lombarda Nicole Minetti, rispettivamente a 4 anni e 10 mesi e a 3 anni di reclusione, nel processo d’appello bis sul caso “Ruby bis” con al centro l’accusa di favoreggiamento della prostituzione per le serate nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore. Procedimento scaturito dalla decisione della Cassazione di rinviare ad un nuovo appello per colmare alcune “lacune motivazionali” della sentenza di secondo grado.
Il pg nell’intervento, oltre a chiedere di respingere una questione di illegittimità costituzionale del reato di favoreggiamento della prostituzione presentata dalle difese, ha spiegato che Fede (accusato anche di tentata induzione) favorendo la prostituzione per l’ex Cavaliere voleva “guadagnarci” in termini economici e di “posizione” e aveva il compito di portare “merce nuova” a villa San Martino. Minetti, invece, aveva il ruolo “fondamentale” di fornire “abitazioni” alle ragazze.
Fede – come ha spiegato il pg, che ha ripercorso tanti elementi dell’inchiesta sul caso Ruby tra cui anche l’ormai nota “statuetta di Priapo” definita “pupazzo superdotato” – “aveva un preciso scopo per favorire la prostituzione selezionando” le ragazze da portare ad Arcore e che provenivano “dall’agenzia di Lele Mora”, già condannato in via definitiva in questo procedimento. “Voleva mantenere la sua posizione di direttore del Tg4 – ha detto il pg – e la sua autorevolezza che gli derivava dal suo rapporto con Berlusconi, anche perché stava perdendo colpi e voleva ancora gloria e guadagni”. E ha ricordato l’episodio del prestito milionario chiesto da Fede e Mora all’ex premier e del quale il giornalista avrebbe poi trattenuto una parte.
La Cassazione, ha ricordato il pg, ha chiesto di approfondire gli elementi probatori relativi alla tentata induzione e al favoreggiamento della prostituzione di 6 ragazze (“sulle 33 totali”), tra cui anche Ambra Battilana, Chiara Danese, Imane Fadil (testimoni “chiave” dell’accusa e parti civili) e Roberta Bonasia. E il pg ha parlato di quella “fase del bunga bunga nella quale c’era un’atmosfera suadente e accattivante che influiva sulla fragilità delle ragazze, alcune appena 18enni e nel corso della quale Berlusconi e Fede toccavano le ragazze”.
Nel processo d’appello “escori” in corso a Bari a carico di Gianpaolo Tarantini i giudici hanno deciso di mandare gli atti alla Consulta per la valutazione della costituzionalità del reato di favoreggiamento della prostituzione che, anche secondo le difese del “Ruby bis”, limiterebbe la libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale (i difensori hanno citato, in tema di libertà, anche l’ordinanza nel processo a Cappato sul caso dj Fabo finito davanti alla Consulta). Il pg, invece, ha sostenuto che il reato punisce “qualsiasi attività di speculazione sulla prostituzione per i fini più disparati”, come dimostra questo processo.
“Le ragazze che partecipavano alle serate di Arcore “erano delle ‘aspiranti mantenute’, non delle prostitute, lavoravano già nel mondo dello spettacolo, avevano interesse a conoscere il presidente del Consiglio, anche ad avere una relazione con lui se poteva avere un’utilità per loro, per fare carriera e la legge Merlin deve continuare a sanzionare giustamente la tratta delle schiave e non casi come questo”.
Così il legale Paolo Righi, difensore dell’ex consigliere lombarda Nicole Minetti, in un passaggio della sua arringa ha illustrato l’istanza difensiva di sollevare davanti alla Consulta la questione di illegittimità costituzionale delle norme sul favoreggiamento della prostituzione nell’ambito del processo d’appello “bis” sul caso Ruby bis.
La difesa dell’ex showgirl ed ex igienista dentale di Berlusconi ha chiesto, comunque, in prima battuta, l’assoluzione perché “Minetti, occupandosi delle bollette e delle case delle ragazze, non ha favorito la prostituzione, ma ha favorito l’allora premier, gli ha fatto solo una cortesia”.
Gli appartamenti delle cosiddette “olgettine”, ha aggiunto il legale, “non c’entravano niente con l’attività prostitutiva, che a nostro parere nemmeno c’era, perché erano le ragazze a voler partecipare a quel ‘format’ ad Arcore e lo facevano liberamente”.
La difesa di Minetti, infatti, così come quella dell’altro imputato, Emilio Fede, citando anche l’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Bari ha inviato di recente gli atti alla Consulta sulla legge Merlin nel processo “escori” a carico di Gianpaolo Tarantini, ha evidenziato la “libera autodeterminazione” delle giovani che non possono “essere considerate delle prostitute”.
L’assoluzione è stata chiesta anche per Fede anche dal legale Maurizio Paniz, il quale ha chiarito che in questo processo “abbiamo avuto la prova provata solo del nulla e intanto il direttore ci ha perso anni della sua vita”.
Il prossimo 7 maggio parlerà l’altro difensore di Minetti, l’avvocato Pasquale Pantano, e potrebbe arrivare la sentenza. (ansa)