ROMA – «Bisogna affermare la supremazia culturale di chi fa informazione. Bisogna riconoscere con forza il ruolo dei giornalisti: è questo l’unico strumento, il più efficace, per contrastare il fenomeno delle fake news, fenomeno che rischia di spazzare via la fiducia dei cittadini nei confronti di tutto ciò che li circonda». Parole, quelle del senatore Antonio De Poli, questore del Senato, che, già all’avvio dei lavori, hanno saputo condensare il senso del dibattito al centro del convegno “Fake news, libertà e responsabilità d’informazione nell’era digitale”, organizzato dall’Uspi, l’Unione Stampa Periodica Italiana, nella Sala Koch di Palazzo Madama, e moderato dalla giornalista Federica Meta.
Portando i saluti del presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, De Poli ha ribadito che «si tratta di un problema che non può essere risolto solo con l’intelligenza artificiale: ci vuole la mano dell’uomo. È, dunque, molto importante investire nella cultura, nella preparazione delle persone, unico antidoto alla diffusione delle false notizie in ogni campo».
«L’82% degli utenti del web non sa come riconoscere una notizia vera da una fake new, ma ancor più dannosa della falsa notizia – ha affermato, dando il via al dibattito, il segretario generale dell’Uspi, Francesco Saverio Vetere, – è la misinformazione, ovvero quelle notizie non vere, create per incompetenza, non volontariamente, ma per mancanza di adeguata preparazione. Cosa ancora diversa è la disinformazione, costruita ad arte per diffondere informazioni false e fuorvianti».
Fatte le debite differenze, l’unica certezza è che «non basta la legge per arginare il fenomeno – ha precisato Vetere – anche se dobbiamo ammettere che non si tratta di un fenomeno nato nell’era tecnologica: certo, l’avvento di internet lo ha amplificato, ma dove c’è e c’era informazione, c’è e c’è sempre stata disinformazione. Quello a cui assistiamo oggi è, piuttosto, un cambiamento dei paradigmi di produzione e distribuzione dell’informazione: da verticale a orizzontale».
«Regole e fake news, una questione che non riguarda solo la categoria dei giornalisti, ma la collettività e la democrazia nel mondo», ha esordito, nel suo intervento, il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Verna, che ha sottolineato la necessità di «nuove regole, perché quando le regole per la stampa sono state pensate erano totalmente altri tempi: oggi si deve giocare un partita fondamentale in cui tutti sono chiamati a giocare, utenti del web compresi».
«Come Ordine – ha ribadito Verna –, in virtù del nostro ruolo culturale, abbiamo istituito un’apposita commissione per monitorare e contrastare il fenomeno delle fake news perché vogliamo fare la nostra battaglia, ma vogliamo combattere avendo alleati le istituzioni e gli altri soggetti deputati alla salvaguardia della democrazia: ecco perché è importante la presenza dell’Ordine qui, al Senato. Insieme si deve costruire – ha incalzato Verna – un circuito virtuoso in cui il giornalista abbia e debba avere un ruolo centrale. Ecco perché, in questa prospettiva e con questo obiettivo, posso dire che l’Ordine è un brand, un marchio di qualità che sancisce la fiducia. Altro brand è la testata giornalistica che diffonde notizie, non fake news».
Sul valore dei giornali, quelli veri, fatti dai giornalisti, ovvero dai professionisti dell’informazione, ha posto l’accento Carlo Parisi, direttore di Giornalisti Italia: «In una Rete bombardata da informazioni continue è facile cadere bersaglio di notizie false, create ad arte o meno. Così come è facile per un giornale il cui editore non paga i giornalisti produrre e diffondere fake news senza badare alla qualità. Anche sul web, ancora una volta, qualità fa rima con dignità, professionale ed umana».
«Sono d’accordo con il senatore De Poli – ha proseguito Parisi – quando afferma che per arginare il nocivo fenomeno delle fake news sia indispensabile la mano dell’uomo insieme all’intervento legislativo, ma c’è una domanda alla quale bisogna prima rispondere: chi stabilisce quali siano le fake news? Il pericolo di una norma di contrasto alle fake news è, infatti, quello di consentire al governo di poter liberamente decidere quale sia una notizia vera e quale no. Ecco che la tutela deontologica del giornalismo e dei giornalisti, a cui è deputato il diritto-dovere di fare informazione, diventa fondamentale e il compito dell’Ordine importantissimo».
«E ricordiamoci – ha chiosato il direttore di Giornalisti Italia – che i social, il terreno più fertile per la diffusione delle fake news, rappresentano un luogo di incontro importante, ma l’informazione è un’altra cosa».
Ad offrire l’opportunità di un spunto di riflessione tutt’altro che scontato ci hanno pensato gli interventi dei due “tecnici” presenti, Diego Ciulli, public policy manager di Google Italia, e l’avvocato Maurizio Gualdieri, esperto di Diritto e Mercati dei contenuti e servizi online dell’Università Europea di Roma.
Gualdieri, da uomo di legge, ha tenuto a dire che «solo un’osservazione condivisa, libera e imparziale può consentire al giurista di individuare la giusta norma di contratto alle fake news» e sottolineato «l’importanza del medium, il mezzo, cioè internet, come principale veicolo di diffusione oggigiorno delle false notizie, da cui non si può prescindere nella valutazione di strumenti adeguati: l’articolo 656 del codice penale disciplina la diffusione di notizie false e tendenziose, ma non credo che il fenomeno delle fake news diffuse via web possa essere compreso nel Codice Rocco».
Ciulli, da strenuo difensore di Google e del suo business, ha addirittura auspicato l’istituzione di “un ministero della verità”, sottolineando che “noi di Google abbiamo tutto l’interesse che le persone trovino informazione di qualità sul web: per noi è una questione di business, perché l’utente che digita su Google cerca informazioni, cerca verità. Così come trovo molto utile che, ogni volta che vado su internet, mi seguano indicazioni, informazioni che rispondono alle mie esigenze: se io voglio fare un viaggio in Tanzania, comincio a cercare informazioni in merito ed ecco che la volta successiva che entro su internet, apro la posta, visito siti, le informazioni sulla Tanzania mi seguono».
«Il fatto che sulla Rete sia un Grande Fratello che ci controlla e ci indirizzi, ci studi captando i nostri gusti e i nostri desideri – è stata la replica di Carlo Parisi – non mi rassicura, anzi mi inquieta: in realtà, tutto quello che ci viene prospettato come gratis ha un costo altissimo e, a ben vedere, in Rete comanda chi paga. E questo vale anche per i giornali: le testate più piccole, che fanno buona informazione tra mille difficoltà e che non possono finanziare il business del web, soccombono». (giornalistitalia.it)