TORINO – Ha tenuto Chiara Appendino sotto scacco, minacciando lei e la sottosegretaria del Ministero dell’Economia, Laura Castelli, di rivelare informazioni “scottanti”, se non gli avessero procurato un lavoro quando, nell’estate 2018, lasciò il suo incarico di portavoce della sindaca di Torino. Per queste ragioni i pm Enrica Gabetta e Gianfranco Colace hanno chiesto il rinvio a giudizio di Luca Pasquaretta, giornalista di origini lucane, ed altre sette persone.
«Non ho mai chiesto nulla a nessuno, né incarichi, né lavori, né favori. Nulla di nulla – è la reazione dell’ex “pitbull”, come era stato ribattezzato – Non vedo l’ora di dimostrarlo» davanti ai magistrati, gli stessi che hanno invece chiesto l’archiviazione della Appendino dall’accusa di concorso in peculato.
L’inchiesta era partita da una consulenza da 5 mila euro – soldi poi restituiti – al Salone del Libro del 2017. Fuori da Palazzo Civico per questa inchiesta, travolto dalle polemiche politiche, Pasquaretta, avrebbe fatto pressione chiedendo nuovi incarichi, prima come collaboratore dell’europarlamentare Tiziana Beghin (senza riuscirci) e poi proprio con l’onorevole Castelli, come suo “addetto alla comunicazione”, ottenendo da quest’ultima più di 7.800 euro.
Per la Procura di si è trattato di estorsione: le richieste sarebbero avvenute «con violenza e minacce». «Se parlo io qui faccio crollare tutto», aveva detto in più occasioni a un assessore comunale Pasquaretta. A scagionare Appendino, ritenuta parte offesa, ci sarebbe una chat dalla quale si evince che non era a conoscenza della consulenza al Salone del Libro.
Oltre che per la prima cittadina, la procura ha chiesto l’archiviazione anche per Elisabetta Bove, la funzionaria del Comune di Torino che aveva preparato alcuni documenti per l’incarico al Salone.
Tra le richieste di rinvio a giudizio ci sono invece quelle per Mario Montalcini, ex vicepresidente della Fondazione per il Libro, e Giuseppe Ferrari, vicedirettore generale del Comune, accusati di concorso in peculato. E poi i due imprenditori Divier Togni e Francesco Capra, ai quali il portavoce avrebbe offerto aiuti e agevolazioni. Le accuse sono, a vario titolo, estorsione, peculato, turbativa d’asta, traffico d’influenze illecite e corruzione. Nove in tutto i capi di imputazione, tra Torino e la Basilicata, regione d’origine di Pasquaretta.
«Non mi darò pace fino a quando non verrà pronunciato “il fatto non sussiste” – commenta Pasquaretta – Mi interessa solo provare la mia totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati». L’ex portavoce aggiunge di essere «sorpreso» dalla decisione della Procura: «Ribadisco che non ho mai chiesto nulla a nessuno, né incarichi, né lavori, né favori. Nulla di nulla. E non vedo l’ora di dimostrarlo nelle sedi opportune». (ansa)
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