Il presidente Andrea Camporese spiega perché è necessaria dopo 6 anni di sofferenza

Esclusivo: ecco la riforma previdenziale Inpgi

Rapporti InpgiROMA (giornalistitalia.it) – Una riforma del sistema Inpgi appare necessaria, giunti al sesto anno consecutivo di sofferenza degli indicatori fondamentali. Il 2014, come emerge dal bilancio, è stato l’anno peggiore con una perdita del 6 per cento dell’occupazione che si è tradotta in oltre mille posti di lavoro in meno. La responsabilità degli amministratori, di fronte alla categoria e alle leggi, non può essere elusa. Allo stesso tempo va declinata con grande attenzione rispetto ai livelli di garanzia sociale soprattutto verso i più deboli, all’equità intra e intergenerazionale, alle crisi e alle negoziazioni tra parti sociali che vive il mondo dell’editoria. L’Istituto vede una crescita, pesante e preoccupante, del passivo determinato dal rapporto tra contributi versati e prestazioni pagate che dura da cinque anni e sfocia in un 2014 con oltre 80 milioni di disavanzo. Il fatto, molto positivo, che questo passivo sia stato azzerato ogni anno dall’ottimo rendimento del patrimonio accantonato, risulta del tutto indifferente rispetto all’obbligo di legge, e morale, di riportare i conti in equilibrio.

Quali sono le dinamiche che abbiamo di fronte?

Andrea Camporese

Il presidente Andrea Camporese

È opportuno osservare, in proposito, che sebbene alcuni elementi presentino profili comuni con il quadro macroeconomico del Paese – come, in particolar modo, un andamento del mercato del lavoro asfittico per effetto del perdurare del più lungo periodo di crisi economica registrato in epoca moderna nei Paesi avanzati – appare significativo riflettere sulle dimensioni che tale fenomeno ha assunto nello specifico ambito della professione giornalistica.
L’analisi dei dati relativi alla contrazione dei rapporti di lavoro dipendente assicurati presso l’Inpgi fa emergere che, nell’ultimo quinquennio, l’impatto della crisi sul tessuto delle imprese editoriali ha determinato una perdita di circa 3.000 rapporti, che sono passati dai 18.859 del 2009 ai 15.891 del 2014, con una diminuzione di oltre il 15% della platea; la comparazione con il dato generale dell’occupazione nel Paese, che ha presentato una diminuzione pari, nel medesimo periodo, a circa il 2,5%, fa emergere l’intensità del grado di erosione dell’occupazione nel mondo della professione giornalistica, sei volte superiore a quello generale.
Il fenomeno è ancor più preoccupante se posto in relazione alle numerose misure di intervento per promuovere la ripresa dell’occupazione che l’Inpgi ha posto in essere nel corso degli ultimi anni e che hanno interessato principalmente le politiche di alleggerimento dei costi degli oneri sociali, attraverso la concessione di sgravi contributivi per le nuove assunzioni e favorendo processi di emersione agevolata delle situazioni di potenziale irregolarità mediante la previsione di procedure semplificate e incentivate di stabilizzazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Questa scelta del Cda ha portato a 544 nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato nell’arco di tre anni. Senza questa misura la situazione si sarebbe ulteriormente e gravemente deteriorata.
Di contro, la dispersione lavorativa – con la conseguente contrazione del gettito contributivo afferente le posizioni assicurate – ha determinato l’incremento esponenziale del volume degli oneri che l’Istituto sostiene per l’erogazione degli ammortizzatori sociali; i trattamenti di disoccupazione, di cassa integrazione e per i contratti di solidarietà, infatti, fanno emergere una impennata dei costi, passati dai 10,7 milioni di euro del 2009 ai 36,2 milioni di euro del 2014.
A tali fenomeni di natura “contingente”, in quanto strettamente connessi alla situazione di crisi economica, si aggiungono elementi di tipo strutturale legati all’evoluzione delle ordinarie dinamiche demografiche. Quest’ultimo aspetto, in particolare, si riflette sull’andamento della spesa derivante dai flussi di erogazione dei nuovi trattamenti pensionistici, la cui progressione – peraltro in parte connesso all’accesso ai prepensionamenti indotti dagli stati di crisi aziendale – fa registrare un incremento del relativo onere che passa da 346,4 milioni di euro nel 2009 a 444,1 milioni di euro nel 2014, portando il coefficente del rapporto tra entrate e uscite della gestione previdenziale da 104,7 nel 2009 a 76,90 nel 2014 e il rapporto attivi/pensionati virtualmente necessario per la copertura della spesa pensionistica e il riequilibrio della gestione a 3,3, mentre quello registrato nel 2009 era pari a 2,77.

La gestione patrimoniale come fattore di gestione delle esigenze finanziarie correnti

InpgiÈ, quindi, evidente che, in attesa che la curva demografica si attesti su valori maggiormente conformi ad un progressivo riallineamento dell’equilibrio della gestione previdenziale, che – è bene sottolineare, costituisce la principale forma di sostegno dell’attività istituzionale dell’Inpgi – è stato possibile fronteggiare l’impatto negativo, sui conti dell’ente, determinato dal disavanzo a questa riferito solo attraverso una efficace azione di ottimizzazione del rendimento della gestione patrimoniale che, nel corso degli ultimi anni, ha costituito – di fatto – una fonte irrinunciabile di finanziamento delle prestazioni, consentendo all’Inpgi di chiudere gli esercizi contabili comunque con saldi attivi.
Proprio in considerazione della particolare rilevanza assunta dall’andamento della gestione patrimoniale – che ha visto sostanzialmente trasformato il proprio ruolo da mera componente di garanzia per l’erogazione delle prestazioni future a strumento generatore di flussi di liquidità per il finanziamento dell’andamento corrente – la ricerca di un costante incremento dei volumi di redditività del patrimonio dell’Istituto ha costituito il driver dominante nell’adozione e attuazione delle scelte strategiche operate nell’ambito delle politiche di investimento, la cui logica evolutiva è opportuno ricostruire attraverso un esame dei fattori dai quali ha tratto e trae ispirazione.
Nello specifico, l’analisi del patrimonio dell’Inpgi presenta un quadro tradizionalmente suddiviso nelle due macrotipologie degli investimenti immobiliari e mobiliari nell’ambito del quale la componente immobiliare è storicamente preponderante.
Dal 2008, l’Istituto da me presieduto ha attuato una profonda rivisitazione della politica di investimento e del modello gestionale adottando l’approccio noto come “asset allocation strategica a budget di rischio” per l’intero patrimonio delle due gestioni; conseguentemente la struttura degli investimenti dell’Istituto si è evoluta e modificata per conciliare gli aspetti di natura bilancistica, la gestione contabile ed amministrativa, la variabilità dei mercati finanziari, ai cambiamenti del regime fiscale ed alle necessità di diversificazione degli investimenti.
Le importanti modifiche adottate sin dal novembre 2008 nella gestione del patrimonio mobiliare dell’Inpgi – fino a quel momento investito prevalentemente in titoli governativi e azioni dei paesi sviluppati gestiti direttamente o per mezzo di mandati di gestione bilanciati – hanno comportato in sintesi una sostanziale variazione nell’asset Allocation per assicurare maggiore diversificazione degli investimenti, dei relativi profili di rischio e dei risultati fin da allora conseguiti.

il direttore Mimma Iorio

il direttore Mimma Iorio

Oggi l’Inpgi investe seguendo una ripartizione percentuale degli attivi approvata dal Consiglio di Amministrazione (Asset Allocation Strategica), sottoscrivendo quote di fondi di investimento o affidando deleghe a gestori professionali, mantenendo tuttavia al proprio interno il controllo della ripartizione strategica, di quella tattica, della selezione degli investimenti e delle controparti ed il controllo del rischio di ogni singolo strumento utilizzato.
I vantaggi ottenuti dalle scelte effettuate – oltre ai noti risultati economici e di diversificazione – riguardano, per la parte immobiliare, l’emersione delle plusvalenze del patrimonio – contabilizzate fino ad allora in base al valore storico e non di mercato – e una migliore efficienza gestionale e fiscale, mentre per gli investimenti mobiliari, la qualità gestionale, la semplificazione e l’efficienza contabile. Su quest’ultimo aspetto ha fortemente inciso la drastica riduzione delle movimentazioni e dei relativi oneri di gestione del portafoglio, con il passaggio dalla registrazione di oltre 16 mila movimenti annui relativi ad un portafoglio di oltre 1200 titoli a circa 400 movimenti riferiti a soli 95 Fondi.
In merito alle scelte operate circa la ripartizione tra investimenti immobiliari e mobiliari dell’Asset Allocation Strategica e alla sua evoluzione nel corso degli ultimi anni è opportuno sviluppare delle considerazioni su alcune circostanze di fondo.
Nel solco dell’orientamento volto a perseguire la massima redditività ponderata con i profili di rischio, già nel primo anno del mio mandato, fu prospettata dall’analisi effettuata dall’advisor incaricato – posto che il patrimonio era pesantemente sbilanciato verso l’ambito immobiliare – l’opportunità di assumere iniziative volte a riequilibrare tendenzialmente il volume delle due componenti.
In tal senso l’Istituto decise di adottare un modello innovativo di gestione integrata del passivo con l’attivo Alm (Asset Liabilities Management) e diridurre la quota della componente immobiliare, pari in quel periodo al 62%;
Il Consiglio di Amministrazione, quindi, nell’assumere importanti decisioni in merito alla gestione del patrimonio, decise comunque di prevedere un vincolo, bloccando la possibilità di scendere sotto il 50% del peso della componente immobiliare sul totale del patrimonio.
Nel gennaio del 2012, in fase di rivisitazione dell’asset allocation strategica, sempre sulla base di approfondite analisi sviluppate dall’advisor, venne dato nuovo impulso e continuità alle politiche avviate, con la decisione di insistere nell’indicare la quota di patrimonio immobiliare cui tendere nella misura del 50% del totale, che era in quel periodo diminuita di soli 3 punti percentuali (59%) grazie all’incremento di valore complessivo del patrimonio imputabile essenzialmente al positivo andamento dei mercati finanziari.
Le principali motivazioni nella scelta di riequilibrare l’assetto della ripartizione patrimoniale incrementando la quota mobiliare rispetto a quella immobiliare risiedono oltre che nella redditività attesa e poi realizzata, anche nella diversità di risposta delle due tipologie di investimento alle esigenze di flessibilità e liquidità connesse ai processi di compensazione e ripianamento finanziario dei disavanzi della gestione previdenziale, che nel frattempo erano emerse a seguito delle dinamiche di contrazione dell’occupazione e di incremento degli oneri per i trattamenti previdenziali e assistenziali illustrati in precedenza.
Il grafico sottostante, infatti, mostra l’allocazione del patrimonio – scala di sinistra – suddiviso in investimenti immobiliari e illiquidi (immobili diretti, fondi immobiliari, mutui e prestiti) e gli investimenti mobiliari (fondi azionari, fondi obbligazionari, fondi di private equity e hedge fund) paragonando nello stesso periodo – linea continua scala di destra – il saldo della gestione previdenziale.
Stime Inpgi

Ciò che emerge chiaramente è la sostanziale rigidità della tipologia del patrimonio a fronte di un drastico cambiamento negativo nel ricavo della gestione previdenziale, che potrebbe compromettere la disponibilità di patrimonio liquido per far fronte alle spese correnti per prestazioni che annualmente sostiene l’Istituto.
In questo contesto, è evidente, quindi, che la politica di ottimizzazione della redditività del patrimonio sviluppata si sia concentrata prevalentemente sugli strumenti e le modalità di investimento mobiliare, in quanto tale comparto costituiva l’unico segmento finanziario dal quale poter reperire con una tempistica compatibile con le esigenze della gestione amministrativa corrente dell’ente, il massimo delle risorse possibili, in linea con il mandato ricevuto.
Peraltro, la validità dell’attività intrapresa nel campo degli investimenti mobiliari è testimoniata dalle performance dei rendimenti negli ultimi anni:

TassoNota (*): Il rendimento del portafoglio mobiliare comprende anche fondi immobiliari, fondi di private equity e hedge fund. Dal 2014 parte del Patrimonio Immobiliare diretto è confluito nel Fondo Giovanni Amendola e la sua performance finanziaria è compresa nel Portafoglio Mobiliare.

Gli interventi strutturali sulla gestione previdenziale

L’analisi dei risultati ottenuti e delle principali dinamiche che consentono di ottimizzare la redditività del patrimonio al fine di reperire le risorse destinate a finanziare la gestione previdenziale corrente, tuttavia, non può far trascurare la riflessione in merito alla necessità di agire con tempestività ed efficacia sui fattori che condizionano l’andamento di quest’ultima per migliorarne progressivamente i saldi di esercizio in un’ottica strutturale di medio e lungo periodo.
Se le prospettive di riequilibrio della gestione previdenziale sono, pertanto, fortemente influenzate dall’andamento prospettico della curva demografica e dal recupero, almeno parziale, dei livelli occupazionali, appare decisivo richiamare l’attenzione della categoria verso una revisione della composizione delle attuali forme di tutela del welfare, intervenendo su quei profili che presentano margini di razionalizzazione e ottimizzazione dell’impiego delle risorse senza tuttavia determinare impatti non sostenibili per la categoria.
In tal senso il Cda sta elaborando le proposte di riforma, che prevedono sia interventi sulle entrate contributive che misure finalizzate al contenimento della spesa per prestazioni, da sottoporrealle parti sociali (Fnsi e Fieg) per il parere previsto dalla legge e dal tradizionale confronto che in questi anni è stato sicuramente costruttivo. Il precedente intervento di sistema, adottato nel 2011, ha previsto l’aumento dell’aliquota a carico dei datori di lavoro di tre punti percentuali (l’ultimo entrerà in vigore nel gennaio 2016) e un graduale aumento dell’età pensionabile delle donne. Si è trattato di un importante atto di responsabilità condivisa.
Ma le linee di intervento programmate nell’ambito del progetto di riforma elaborata – in adesione ad una visione organica ed equilibrata del complesso e articolato sistema di tutele assicurato dall’ente – dovranno situarsi in un ventaglio di azioni in modo da impattare diffusamente e il più possibile uniformemente sulla platea trasversale dei destinatari, evitando in tal modo di determinare squilibri particolari su specifici e ristretti ambiti tematici.
Va detto con chiarezza che l’attuale livello di avanzamento della discussione interna al Cda prevede:
– Azioni graduali e prospettiche che escludano la creazione di scaloni ed “esodati”, salvaguardando scelte di vita già compiute;
– Mantenimento della possibilità di andare in pensione con i 40 anni;
– La non applicabilità dell’aspettativa di vita;
– La tutela degli accordi in essere connessi agli stati di crisi;
– Un intervento molto limitato sul livello degli ammortizzatori sociali che, per buona parte, discendono da norme generali di legge;
– Il mantenimento di forme di flessibilità in uscita che consegnino ai singoli la possibilità di decidere la data del proprio pensionamento dentro un quadro di sostenibilità dell’Ente;
– Il mantenimento di sostanziali ed evidenti specificità e vantaggi rispetto al sistema generale garantito dall’Inps.
L’impatto complessivo delle misure messe in campo consentirà, in prospettiva, di realizzare un intervento strutturale che garantirà la sostenibilità della gestione nel lungo periodo, aderendo alla mission dell’ente di coniugare l’esigenza di assicurare la stabilità finanziaria nel tempo con l’erogazione di livelli adeguati di welfare in favore degli iscritti.
È in quest’ottica che tutti coloro che contribuiranno all’adozione e all’attuazione di queste linee strategiche sono chiamati oggi ad una assunzione di responsabilità netta e senza alibi o prove di appello verso le generazioni future. (giornalistitalia.it)

Andrea Camporese

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