Il Velino: “Mentre i magistrati coinvolti non hanno mai sentito il bisogno di chiederle”

Enzo Tortora, le scuse di Marmo segno di civiltà

Enzo Tortora

Enzo Tortora

ROMA – A chiedere scusa, 31 anni dopo l’arresto di Enzo Tortora, è l’ex pm Diego Marmo, che pochi giorni prima con la nostra agenzia – il Velino – aveva definito il suo giudizio sul giornalista e conduttore televisivo: “solo un episodio della mia vita professionale”. Nella realtà fu un’arringa tragica la sua, con le bretelle rosse sotto la toga e una veemenza tale da fargli scendere la bava all’angolo sinistro della bocca, quando dipinse l’imputato come “un uomo della notte ben diverso da come appariva a Portobello” e quando affermò che i voti presi da Tortora alle Europee erano anche voti di camorristi.
Le figlie e la compagna di Enzo Tortora hanno rifiutato le sue scuse, e non hanno alcuna intenzione di perdonare. Ma Diego Marmo non è il solo che ha taciuto per trent’anni. Dove sono finiti quei magistrati che non hanno mai sentito il bisogno di chiedere scusa? Quei magistrati che senza neanche l’ombra di un controllo bancario, un pedinamento, un’intercettazione telefonica, basandosi solo sulle fonti orali di criminali di mestiere, riuscirono a mettere in galera Tortora e condannarlo in primo grado a 10 anni di carcere.
I due sostituti procuratori che a Napoli avviarono il lavoro si chiamano Lucio Di Pietro e Felice Di Persia. Furono loro a convincere il giudice istruttore Giorgio Fontana ad avallare 855 ordini di cattura, 216 dei quali si rivelarono errori di persona. Quali furono le conseguenze, sul piano professionale, per questi giudici?
A parte il giudice Fontana, che si dimise e ora fa l’avvocato, Lucio Di Pietro è procuratore generale di Salerno, dopo aver sostituito Pier Luigi Vigna come procuratore nazionale antimafia. Felice Di Persia, oggi in pensione, è stato membro del Csm, l’organo di autocontrollo dei giudici. Resta ancora un altro protagonista del primo processo di Napoli, che iniziò nel febbraio 1985, un anno e otto mesi dopo l’arresto di Tortora, e si concluse il 17 settembre 1985, con il presentatore che subì la condanna ma già da deputato radicale al Parlamento europeo: il presidente Luigi Sansone. Fu lui a firmare una corposa quanto friabile sentenza di 2 mila pagine nella quale, tra le altre cose, si sostiene: “l’imputato non ha saputo spiegarci il perché di una congiura contro di lui”.
Poco prima di morire, Tortora aveva presentato una citazione per danni: 100 miliardi di lire la richiesta. Il Csm ha archiviato, risarcimento zero. Archiviato anche il referendum del 1987, nato proprio sulla spinta del caso Tortora, sulla responsabilità civile dei magistrati: vota il 65 per cento, i sì sono l’80 per cento, poi arriva la legge Vassalli e di fatto ne annulla gli effetti. Ora Matteo Renzi sembra deciso a porre il tema della responsabilità civile dei magistrati nell’agenda del suo governo. Non sarà mai abbastanza presto. (Tlc/Il Velino/AgvNews)

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