
Enzo Iacopino riceve dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo, la targa per i 50 anni (oggi 54) di iscrizione all’Ordine che non aveva finita ritirato
ROMA – Carattere spesso e volentieri scontroso, a tratti irritante, Enzo Iacopino nella sua carriera professionale è stato un numero uno, un uomo profondamente coraggioso, soprattutto nelle scelte più difficili che ha dovuto prendere nei suoi due mandati di presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
Documentatissimo e capace di affrontare e trovare una soluzione ai problemi più gravi della categoria, grazie alla sua esperienza trentennale di cronista parlamentare alla Camera dei deputati, in via Sommacampagna ricordano ancora le sue giornate di lavoro: Enzo era il primo ad arrivare al mattino e l’ultimo ad andare via alla sera, provvedendo a spegnere rigorosamente tutte le luci del palazzo. Mai una pausa, mai una sosta, mai un appuntamento o un incontro negato, riceva tutti, chiunque gli chiedesse di vederlo e di parlargli.
Lasciato l’Ordine, nel 2017, aveva scelto di vivere la nuova stagione della sua vita lontano da tutti e soprattutto fuori dai riflettori della corporazione, ma quando la professione rischia di essere spazzata via da assurde discriminazioni, il presidente emerito dell’Ordine dei giornalisti non si tira indietro.
Così, dopo vari rinvii, ha deciso di ritirare la targa che il presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Guido D’Ubaldo, gli aveva preparato nel 2021 per i suoi 50 anni di iscrizione all’Ordine dei giornalisti. Infatti, oggi gli anni sono 54 perché la sua data di iscrizione è è il 17 maggio 1971. Ma, soprattutto, Enzo Iacopino, mercoledì scorso, in audizione alla VII Commissione Cultura della Camera dei deputati, ha dato il suo contributo al Parlamento spronandolo di farsi carico, in questo 2025, di «una riforma radicale dell’accesso alla professione che non è più quella un po’ romantica, garibaldina, dei tempi di Guido Gonella».
Esaminate le proposte di legge sul tavolo, Enzo Iacopino ha richiamato l’attenzione sulla rappresentanza in un Ordine che conta circa 75 mila pubblicisti e scarsi 25 mila professionisti. «Tutti colleghi – ha evidenziato Iacopino – che hanno gli stessi doveri, deontologici e amministrativi, pagano la stessa quota associativa ma la stragrande maggioranza di essi, i pubblicisti, hanno diritti dimezzati se non marginali».
«Il rischio – ha denunciato Iacopino – è che i pubblicisti diventino il bancomat dell’Ordine dei giornalisti. Non penso – ha incalzato – che il Parlamento lo possa accettare senza reagire. Occorre rivedere i numeri della rappresentanza sia per un fatto morale sia per impedire, appunto, che i pubblicisti vengano ridotti al mero ruolo di bancomat per le spese dell’Ordine».
L’ex prendente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti si è inoltre soffermata sulla posizione “attiva” all’Inpgi, che viene richiesta ai consiglieri nazionali, che significa “alimentata”, non aperta all’ultima ora solo per non essere dichiarati ineleggibili, e che non vale per il Consiglio regionale: non credo che simili discriminazioni rispettino le leggi senza, piuttosto, violarle. Inoltre, con la riserva dei due consiglieri destinati alle minoranze linguistiche, paradossalmente per tutelare una minoranza viene penalizzata la maggioranza dei pubblicisti della regione che viene esclusa, considerato che i consiglieri nazionali pubblicisti eletti sono 19 a fronte delle 20 regioni».

Enzo Iacopino e il consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Antonio Boschi, all’audizione della VII Commissione Cultura della Camera dei deputati
Infine, un ulteriore appello di Enzo Iacopino al Parlamento affinché dimostri «coraggio e volontà di intervenire sugli editori che godono di provvidenze pubbliche ma continuano a tenere in vita la vergogna dei pochi spiccioli ad articolo con i quali vengono “retribuiti” gran parte dei giornalisti senza contratto».
Ma torniamo ad Enzo Iacopino. «Sognava di fare il magistrato, ma forse non ne aveva le qualità. Gli mancava anche il carattere giusto per fare l’avvocato a Reggio Calabria», dice di sé stesso. Troppi compromessi, forse. Non era per lui. Così si è trovato a fare il giornalista: Il Secolo d’Italia, Settimanale, Il Gazzettino, Il Giorno, Il Mattino. Ha un solo rammarico: non essere riuscito a stare costantemente vicino a don Mario Picchi, fondatore del Centro italiano di solidarietà grazie al quale ha imparato che la vita non è solo profumi o spot pubblicitari. Tra i suoi maestri c’è Sergio Zavoli che lo volle fortissimamente al Mattino di Napoli e di questa stagione della sua vita Enzo dice: «È cosa che ancora mi inorgoglisce».
Coltiva una velleità: che ci si possa occupare degli interessi dei colleghi uscendo dalla miope logica delle convenienze di gruppo. È convinto che il più subdolo bavaglio all’informazione sia quello che tentano di imporre gli editori che compensano con due euro ad articolo i giovani professionisti.
Inizia la carriera giornalistica come corrispondente dalla Calabria del Secolo d’Italia, nei primi anni ’70, e poi nella redazione romana. Giornalista professionista dal 1976, nel 1981 diventa vice capo redattore del quotidiano Il Gazzettino in forza alla redazione romana. Nel 1989 passa al quotidiano Il Giorno come inviato speciale, per poi diventare nel 1994 capo della redazione romana de Il Mattino.
Dal 1994 al 2006 è stato a capo dell’Associazione Stampa Parlamentare, rieletto per quattro mandati. Dal 2001 sino al 2010 è membro del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, dal 2004 al 2007 è componente della Commissione Ricorsi. Nel 2007 viene eletto segretario dell’Ordine dei Giornalisti e il 23 giugno 2010 presidente. Rieletto nel 2013 ha concluso il suo secondo mandato il 16 marzo 2017.

Enzo Iacopino con Luciano Violante alla Camera dei deputati durante il suo lungo mandato di presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare
A giugno del 2015 protesta formalmente contro le condizioni del concorso Rai di Bastia Umbra e a dicembre di quello stesso anno denuncia l’“emergenza democratica” relativa allo sfruttamento economico dei giornalisti in Italia, chiedendo al premier del tempo Matteo Renzi di non dare contributi pubblici ai gruppi editoriali che non pagano dignitosamente i giornalisti.
Indimenticabili le sue posizioni politiche in difesa della categoria, soprattutto quando dichiara ufficialmente che l’Ordine dei giornalisti è l’unico ad opporsi alla politica della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) e chiede una legge che obblighi gli editori a documentare le retribuzioni dei dipendenti per poter accedere ai contributi pubblici. Nel 2016 diventa primo presidente della Fondazione per il Giornalismo Paolo Murialdi.
Moralmente ineccepibile, trasparente fino a farsi anche del male anche da solo, ma questa è stata la sua storia vera al servizio dell’Ordine che gli deve riconoscenza eterna se non altro per avergli dato una sede prestigiosa in via Sommacampagna, a Roma. Un’operazione che allora pareva impossibile da portare a termine e che Enzo risolse alla sua maniera, con l’efficientismo e il carattere testardo e determinato che ha sempre avuto.
Maestro di deontologia, caparbiamente sempre in prima fila, e sempre pronto a mettersi di lato pur di non dare fastidio a colleghi meno capaci e meno esposti di lui. Ricordo l’affetto personale che Papa Francesco gli riservò quando per la prima volta riuscì a convincere la Santa Sede che all’Ordine dei Giornalisti italiani il Papa dovesse dedicare una udienza assolutamente privata. Una richiesta per nulla campata in aria, ma legata al senso di orgoglio per questa nostra professione e questa nostra grande famiglia.
«Papa Francesco, dopo il mio intervento pubblico – racconta – mi disse, stringendomi tutte e due le mani: “Lei è un uomo coraggioso”. Mi si piegarono le gambe, confesso». Ancora oggi, all’entrata del Palazzo di via Sommacampagna c’è la grande foto di quel giorno: il Papa al centro con accanto Enzo Iacopino e intorno decine di colleghi invitati alla riunione in Sala Clementina. Giornata storica per la vita del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
Non potrò mai dimenticare il giorno in cui tu Enzo Iacopino si fiondò di corsa in Calabria per incontrare il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e chiarire nella tua veste di presidente dell’Ordine Nazionale la vicenda delicatissima del famoso “pizzino” che sarebbe stato trovato dai Ros in un covo di mafia e che forse faceva riferimento a un cronista calabrese. In quella occasione è stato un leone e anche un difensore strenuo della grande famiglia dei giornalisti italiani. Alla fine, infatti, avevamo ragione noi, ed Enzo Iacopino ha vinto una battaglia davvero difficile: riuscire ad ottenere dal Procuratore Pignatone il comunicato ufficiale che la vicenda meritava. Toc toc toc, buona vita Enzo, tanta serenità e tanto affetto, pubblico e privato, da parte di tutti noi. (giornalistitalia.it)
Pino Nano