ROMA – Da un paio di settimane, sui giornali cartacei e online, si è scatenata una vera e propria bagarre con pochi precedenti nella storia del nostro Paese su un presunto, “imminente e gravissimo bavaglio alla libertà di stampa”. Addirittura quasi un ritorno al Medioevo connesso al prossimo divieto in Italia di pubblicazione integrale o per estratto del testo delle ordinanze di custodia cautelare di una persona indagata finché non si siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare in tribunale.
Un divieto che da alcuni mass media è stato, forse troppo semplicisticamente, ritenuto un inammissibile attacco da parte della politica al sacrosanto diritto dei cittadini ad essere correttamente e compiutamente informati. E si è persino chiesto al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di «prendere fermamente posizione e di non firmare nel modo più assoluto una simile disposizione di legge che presenta il vulnus di non rispettare la Costituzione di cui egli è il Supremo Garante».
La Fnsi (che dopo la nascita della Figec Cisal non è più il sindacato unico dei giornalisti) ha chiesto, assieme all’Usigrai (che dopo la nascita di Unirai non è più il sindacato unico dei giornalisti Rai) di boicottare la conferenza stampa del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, organizzata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dall’Associazione Stampa Parlamentare, ma l’appello è caduto nel vuoto considerato che l’aula che l’ha ospitata ha registrato, anche quest’anno, il pienone e i giornalisti di tutte le testate che avevano chiesto di porre domande l’hanno fatto nel corso della diretta televisiva durata oltre tre ore.
Si è così venuta a creare anche una situazione di imbarazzo per la stessa premier, tra l’altro giornalista, visto che anche il Comitato Esecutivo dello stesso Cnog si è subito schierato a tempo di record a fianco della Fnsi contro il varo in Parlamento, ritenuto illegittimo, di questa imprevista novità, conseguente all’approvazione in prima lettura alla Camera di un emendamento dell’onorevole Enrico Costa di “Azione” al disegno di legge di ratifica di una Direttiva Europea di otto anni fa in tema di presunzione di innocenza o, meglio, di presunzione di non colpevolezza.
Va subito detto quindi, per sgombrare il campo da possibili equivoci, che questa innovazione è frutto di un’idea dell’ex ministro Enrico Costa e recava inizialmente anche la firma dell’onorevole Davide Faraone di “Italia Viva”, già Sottosegretario di Stato, cioè di due deputati dell’opposizione. La maggioranza di governo si era, invece, schierata inizialmente contro. Ma, sulla spinta soprattutto di esponenti di Forza Italia, il Governo Meloni ha poi cambiato parere votandola convintamente come una norma di grande civiltà giuridica che riporterebbe finalmente l’Italia ad essere giustamente riconsiderata, come una volta, la patria del diritto, rimettendola in linea con la normativa europea dopo le condanne riportate a ripetizione per decenni dalla Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo. Alla fine, su 230 deputati votanti, l’emendamento Costa è stato approvato il 19 dicembre scorso dall’Assemblea di Montecitorio con 160 voti a favore e 70 contrari, come vedremo più in dettaglio appresso.
È un dato significativo che dimostra che, nell’occasione, vi sia stata una maggioranza trasversale di cui poi non potrà non tener conto il professor Mattarella da grande giurista quale è, essendo stato oltre che docente universitario di diritto parlamentare anche un giudice della Corte Costituzionale e come Capo dello Stato Presidente di diritto del Consiglio Superiore della Magistratura.
Premesso che prima di far scoppiare polemiche su una materia così complessa e delicata, meritevole anche di stimolare delle tesi di laurea in Giurisprudenza, sarebbe stato opportuno che se ne fosse parlato preventivamente e a 360 gradi su giornali, periodici e in pubblici dibattiti in tv coinvolgendo oltre ai cittadini i maggiori esperti del settore (costituzionalisti, giuristi, penalisti, magistrati, pubblici ministeri, direttori di tg, di giornali cartacei e online, cronisti giudiziari e politici), si sarebbe, però, dovuto quanto meno evitare da parte di molti commentatori di emettere giudizi troppo affrettati, trancianti o fuorvianti, o, peggio, fake news senza neppure aver letto a fondo e nei minimi dettagli la bozza della tanto discussa norma.
Si tratta, infatti, di una materia giuridica estremamente articolata, come si vedrà in seguito, che coinvolge varie disposizioni internazionali e norme della Costituzione italiana e dei nostri codici (penale e di procedura penale), ma anche disposizioni per molti esperti finite, purtroppo, nel dimenticatoio dopo appena una quindicina d’anni come, ad esempio, il Codice di Autoregolamentazione dei processi giudiziari in tv fermamente voluto nel 2008 dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (di recente scomparso) per porre fine al “massacro” mediatico su numerose drammatiche vicende finite nelle aule di giustizia, ma di continuo rilanciate dai media senza, però, un adeguato bilanciamento dei diritti dell’accusa e di quelli della difesa e viceversa.
Ma questo rigoroso Codice non è stato sufficiente a far voltare pagina tanto che, dopo il barbaro assassinio della giovane ragazza pugliese Sarah Scazzi, avvenuto ad Avetrana (Taranto) il 26 agosto 2010, l’Agcom raccolse in un dossier di ben 146 pagine fitte fitte di soli titoli delle numerosissime trasmissioni andate in onda a qualsiasi ora su tutte le reti tv per dibattere su una vicenda che aveva diviso l’opinione pubblica in innocentisti e colpevolisti e per cercare di far luce sugli esecutori e sugli eventuali mandanti dell’orrendo delitto.
Ciò indusse l’ex Capo dello Stato a indire una “Giornata dell’Informazione” che si tenne a Palazzo del Quirinale il 21 gennaio 2011. In quell’occasione Giorgio Napolitano pronunciò un apprezzato discorso in cui condivise appieno l’appello lanciato dall’allora Presidente del Comitato Processi in Tv e Presidente emerito della Corte Costituzionale, Riccardo Chieppa, alla ricerca di «un valido equilibrio tra i valori del diritto-dovere dell’informazione e quelli del rispetto della riservatezza delle indagini e della privacy e dignità delle persone».
Ed affermò che «un valido equilibrio è egualmente sempre indispensabile, più in generale, nel rapporto tra chi è costituzionalmente deputato ad esercitare il controllo di legalità e ha specificamente l’obbligo di esercitare l’azione penale, e chi è chiamato, nel quadro istituzionale e secondo le regole della Costituzione, a svolgere funzioni di rappresentanza democratica e di governo».
«Non è questo il luogo – disse Napolitano – per ribadire inviti, argomenti, indicazioni che da anni sto spendendo per sollecitare quell’equilibrio e quel rispetto reciproco che appaiono spesso alterati, con grave danno sia per la politica che per la giustizia. Troppe sollecitazioni sono cadute nel vuoto; troppe occasioni sono state perdute. E oggi ne paghiamo il prezzo. Pur senza rinunciare alla prospettiva di scelte organiche e riforme condivise capaci di risolvere alla radice il problema giustizia, occorre nell’immediato scongiurare ulteriori esasperazioni e tensioni che possono solo aggravare un turbamento largamente avvertito e riconosciuto, e suscitare un effetto di deprimente lontananza dallo sforzo che si richiede per superare le molteplici prove cui, come ho detto, la comunità nazionale deve fare fronte».
Il presidente Napolitano concluse così: «Nella Costituzione e nella legge possono trovarsi i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali per far valere insieme le ragioni della legalità nel loro necessario rigore e le garanzie del giusto processo. Fuori di questo quadro, ci sono solo le tentazioni di conflitti istituzionali e di strappi mediatici che non possono condurre, per nessuno, a conclusioni di verità e di giustizia. Spero e confido che di ciò ci si renda conto sempre più diffusamente da ogni parte, e al di là delle diverse appartenenze politiche».
La “Giornata dell’Informazione” ottenne 13 anni fa un largo successo in tv, online e sulla stampa e, come auspica ora la Figec Cisal, meriterebbe, visto anche il lungo tempo trascorso, di essere presto replicata al Quirinale per poter mettere sotto i riflettori tutta una serie di problematiche oggi sul tappeto connesse alla libertà di stampa come il decreto legislativo n. 188 del 2021 sulla presunzione di non colpevolezza.
Decreto meglio noto come decreto del ministro della Giustizia – nel governo guidato da Mario Draghi – ed ex presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia che da due anni ha di fatto imbavagliato i cronisti di “nera” e di giudiziaria di tutta Italia senza che né la Fnsi, né l’Usigrai o il Cnog avessero in precedenza scritto una sola riga prima della sua approvazione in Parlamento, né abbiano minimamente manifestato la loro contrarietà.
O come la riforma della diffamazione e delle liti temerarie nei confronti dei giornalisti, attesa da una quarantina d’anni, e tuttora all’esame della Commissione Giustizia del Senato, che presenta numerose anomalie che dovrebbero essere assolutamente corrette come l’inammissibile lentezza della nostra giustizia che definisce i processi dopo un lasso di tempo lunghissimo e inaccettabile in un Paese civile o anche il “bavaglio” surrettiziamente utilizzato dal Ced della Cassazione che solo negli ultimi 6 anni – dal 2018 al 2023 – ha complessivamente oscurato d’ufficio sul suo sito online, ma senza alcuna valida motivazione o giustificazione ufficiale, ben 55 mila sentenze civili e penali emesse in via definitiva dalla magistratura in nome del popolo italiano. E questo sì che è un “bavaglio”, come abbiamo da tempo ampiamente documentato!
Ma torniamo all’emendamento Costa che si prefigge anche di rispettare disposizioni internazionali come la Costituzione Europea, la Cedu (Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) o il Patto Onu sui diritti civili e politici firmato a New York il 16 dicembre 1966 e ratificato in Italia con legge n. 881 del 25 ottobre 1977. Ma la maggior parte degli opinionisti (giuristi, magistrati, giornalisti e politici) tende, purtroppo, quasi sempre a dimenticarsi di queste norme da anni in vigore nel nostro Paese.
Cosa prevede la discussa norma sul divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare, che è ora all’esame del Senato (Disegno di legge n. 969)?
Ecco è il testo ufficiale dell’art. 4 (inizialmente art. 3) del Disegno di legge governativo n. 1342 di ratifica di una Direttiva Europea del 2016 in tema di presunzione di non colpevolezza inizialmente presentato dall’onorevole Enrico Costa (“Azione”) e dall’onorevole Davide Faraone (“Italia Viva”), successivamente integrato, riformulato ed approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 19 dicembre scorso (mentre l’articolato nel suo complesso il 20 dicembre 2023). È intitolato: “Delega al Governo per l’integrazione delle norme nazionali di recepimento della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”:
«1. Al fine di garantire l’integrale e compiuto adeguamento alla direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, anche al fine di integrare quanto disposto dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188, nonché di assicurare l’effettivo rispetto dell’articolo 27, secondo comma, della Costituzione, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr e del Ministro della giustizia.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo è tenuto a osservare, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche il seguente principio e criterio direttivo specifico: modificare l’articolo 114 del codice di procedura penale prevedendo, nel rispetto dell’articolo 21 della Costituzione e in attuazione dei princìpi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione, il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343».
Già da una prima lettura balza subito agli occhi un’assoluta singolarità: come si può sostenere a gran voce che l’art. 4 possa essere dichiarato incostituzionale dalla Consulta quando questa norma si prefigge la finalità non solo di assicurare l’effettivo rispetto dell’art. 27, secondo comma, della Costituzione (cioé la presunzione di non colpevolezza di un indagato), ma di vincolare il Governo Meloni a rispettare alla lettera anche l’art. 21 della Costituzione (cioé la libertà di stampa e il diritto dei cittadini ad essere correttamente e compiutamente informati come è richiamato anche nell’art. 4 del testo unico sulla radiotelevisione approvato con decreto legislativo n. 208 del 2021) e di attuare i princìpi e i diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione (cioè di garantire il diritto di difesa dell’indagato e la sua presunzione di non colpevolezza)? Sembra abbastanza evidente la pretestuosità e l’inconsistenza della tesi dell’incostituzionalità dell’emendamento Costa. Ma v’è di più.
Pur dando per scontato che tra pochi giorni il Senato approvasse l’art. 4 senza modifiche la nuova normativa non entrerebbe in vigore subito, ma con ogni probabilità solo nella prossima estate dopo che il Governo Meloni avrà varato i rispettivi necessari decreti legislativi nel pieno rispetto dei vincoli posti dal Parlamento. Per ora, quindi, nessun concreto cambiamento.
In proposito si ricorda che giuridicamente l’art. 4 di per sé non sanziona nulla, ma aggiunge – specificandolo meglio – un divieto a quelli già in vigore contenuti nell’art. 114 del codice di procedura penale, norma assai complessa che non tutti conoscono e che è stata più volte modificata in Parlamento con più leggi, decreti-legge e decreti legislativi e persino da una sentenza della Consulta.
Per comprendere meglio la portata dell’emendamento Costa è, quindi, opportuno riportarla integralmente nel testo ora vigente con le relative note, come ben spiegato nel sito Brocardi. Solo così ci si può rendere conto della complessità dell’argomento.
Art. 114 Codice di procedura penale
«1. È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto [329] o anche solo del loro contenuto(1).
2. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari [405 ss., 554] ovvero fino al termine dell’udienza preliminare [424], fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292(2)(4).
2-bis. È sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415 bis o 454(3)(4).
3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento [431], se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero [433], se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. È sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni [500, 501, 503](5).
4. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall’articolo 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è autorizzata dal ministro della Giustizia.
5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell’interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell’ultimo periodo del comma 4.
6. È vietata la pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. Il tribunale per i minorenni, nell’interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni(6).
6-bis. È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta(7).
7. È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.
Le relative Note all’att. 114 c.p.p. sono anch’esse altrettanto significative dell’estrema complessità della materia e sono quindi assolutamente indispensabili a far capire l’esatta portata dell’ultima modifica votata dalla Camera perché se fosse definitivamente approvata dal Senato ripristinerebbe di fatto proprio la normativa che senza particolari clamori disciplinava in Italia fino al 2017 la pubblicità degli atti giudiziari:
(1) Tale divieto di pubblicazione non investe però le indagini difensive, ma solo quelle compiute dall’organo pubblico durante tutta la fase delle indagini preliminari e fino al termine della stessa.
(2) Il presente comma è stato così modificato dall’art. 9, D.Lgs. 29/12/2017, n. 216 con decorrenza dal 26/01/2018 ed applicazione alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 marzo 2019; ai sensi dell’art. 9 del medesimo decreto la presente modifica acquista efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto.
Successivamente, il D. Lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, ha disposto (con l’art. 9, comma 2) che la disposizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), acquista efficacia a decorrere dal 1° agosto 2019”.
(3) Tale comma è stato inserito dall’art. 2, comma 1, lettera a) del D. L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 7.
Il D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 7, ha disposto (con l’art. 2, comma 8) che “Le disposizioni del presente articolo si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 30 aprile 2020”.
(4) Il D.Lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28 ha disposto (con l’art. 9, comma 1) che “Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 4, 5 e 7 si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020”.
Il D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 7, come modificato dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, ha disposto (con l’art. 2, comma 8) che “Le disposizioni del presente articolo si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione”.
(5) Una pronuncia della Corte Costituzionale, la sentenza 24 febbraio 1995, n. 59, dichiarando l’illegittimità di tale comma limitatamente alle parole: “del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli”, ha accorciato la durata del divieto.
(6) Il secondo periodo del comma in esame è stato inserito dalla L. 3 maggio 2004, n. 112 (art. 10, comma 8).
(7) Il comma in esame è stato aggiunto dall’art. 14, comma 2, della l. 16 febbraio 1999, n. 479 al fine di tutelare la dignità della persone umana, tuttavia il divieto di pubblicazione non ricorre nel caso in cui l’immagine di una persona sottoposta a provvedimento coercitivo o solo a procedimento penale non la mostri in manette, ovvero sottoposta ad altro mezzo di coercizione, e viene meno se la persona ritratta nell’immagine pubblicata abbia consentito alla sua pubblicazione».
Ma non è finita perché, come detto prima, l’art. 114 c.p.p. da solo non basterebbe ad un giudice per infliggere una sanzione penale a carico di un giornalista che lo trasgredisse. Occorre, infatti, far riferimento contestualmente all’art. 684 del codice penale, secondo cui «chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da Euro 51 a Euro 258,00».
La norma è molto chiara: si ha una pubblicazione arbitraria allorché atti o documenti di un procedimento penale vengano pubblicati – nei modi sopra specificati – in presenza di una legge che ne vieti la pubblicazione. Correttamente la dottrina e la giurisprudenza individuano quale prima norma che pone tale divieto l’art. 114 del codice di procedura penale la cui rubrica è «divieto di pubblicazione di atti e di immagini» (ci sono altre norme che vietano la pubblicazione: si veda, ad esempio, l’art. 13 del D.P.R 448/1988 per quanto riguarda il minorenne comunque coinvolto in un procedimento penale). Il primo comma di tale articolo così recita: «È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del contenuto».
Quindi, poiché il primo comma dell’art. 114 del codice di procedura penale prevede espressamente il divieto di pubblicazione degli atti coperti dal segreto, è necessario accertare quali siano tali atti. A sua volta l’art. 329, comma 1, del codice di procedura penale stabilisce che: «gli atti di indagine compiuti dal Pubblico Ministero e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari».
La complessa problematica è stata più volte affrontata dalla magistratura. La Cassazione, con sentenza n. 27986 del 15 aprile 2016, ha sancito che un giornalista non può invocare la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di cronaca, poiché essa non opera in riferimento al reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Motivo: «in relazione a tale ipotesi, il legislatore ha valutato preminente l’interesse alla non divulgazione dei dati processuali rispetto all’utilità sociale dell’informazione».
Con successiva decisione n. 41640 del 10 ottobre 2019 la Suprema Corte, dopo aver affermato che l’art. 114 cod. proc. pen. detta la stessa disciplina per gli atti non coperti dal segreto “ab origine” e per quelli non più coperti dal segreto, ha affrontato cosa debba intendersi per pubblicazione “del contenuto degli atti”, pubblicazione che è sempre consentita tranne che per gli atti coperti da segreto.
Si deve a tal fine ricordare che l’art. 114, comma 1, del cod. proc. pen. stabilisce che: «È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del contenuto». E come si è già rilevato anche nei commi due e tre del predetto art. 114 del cod. proc. pen. si ribadisce che «è vietata la pubblicazione, anche parziale degli atti», ma non si ripete il divieto assoluto di cui al primo comma dello stesso articolo esplicitato con le parole «è vietata la pubblicazione … anche solo del loro contenuto».
Da ciò si deve necessariamente trarre la conclusione che quando nella legge si vieta la pubblicazione anche parziale degli atti – che per loro natura sono atti scritti o se si tratta di atti contenenti documenti potranno avere anche la forma di registrazione, ripresa, foto ecc. – ci si riferisce alla pubblicazione di ciò che in esso è esattamente scritto (o registrato, ripreso, fotografato ecc.). È allora evidente che quando la predetta norma aggiunge al divieto di pubblicazione totale o parziale degli atti del procedimento penale, pure il divieto di «pubblicazione … anche solo del loro contenuto» la parola contenuto non può essere intesa nel suo primo significato che, secondo i migliori vocabolari, consiste in «ciò che è contenuto in un determinato spazio o luogo», ma nel suo secondo significato, che sempre per i predetti vocabolari, è «argomento, soggetto, tema di uno scritto, di una lettera, di un discorso o di una determinata disciplina». È proprio questo il significato da dare, nel caso di specie, alla parola contenuto».
D’altronde, se ad una persona viene chiesto di riferire il contenuto di un libro, di una lettera o di un atto processuale la risposta non può, certo, essere costituita dalla citazione integrale, parola per parola, del libro, della lettera o dell’atto processuale; la risposta consisterà, invece, nell’indicazione dell’argomento, del soggetto, del tema trattato. Se la parola contenuto non si interpretasse in tal modo, la distinzione contenuta nell’art. 114 del cod. proc. pen di cui sopra, non avrebbe senso e sarebbe impossibile dare un significato anche al comma 7 del predetto art. 114 cod. proc. pen.; infatti se per pubblicazione del contenuto dell’atto si intendesse la pubblicazione integrale (o parziale) parola per parola dell’atto processuale non vi sarebbe alcuna differenza tra il divieto assoluto previsto dal comma 1 dell’art. 114 del cod. proc. pen. e il divieto relativo di cui ai commi 2 e 3 del medesimo art. 114 cod. proc. pen. e lo stesso comma 7 dell’art. 114 cod. proc. pen. sarebbe in antitesi inspiegabile con i predetti commi 2 e 3 dello stesso articolo 114.
Al contrario con l’interpretazione di cui sopra della parola “contenuto” risulta chiaro ciò che indica il Legislatore: per gli atti coperti dal segreto non si può pubblicare neppure l’argomento, il soggetto, il tema di tali atti; quando invece l’atto non è segreto o non lo è mai stato rimane fermo il divieto di pubblicazione dell’atto anche in modo parziale, ma si può pubblicare l’argomento, il soggetto, il tema di tale atto.
Dall’esatta individuazione del significato della parola contenuto e dalla circostanza che la pubblicazione del “contenuto dell’atto” è consentita in ogni momento – quindi anche all’inizio del procedimento –, è evidente che per i principi che sottendono alla disciplina del divieto di pubblicazione – prima sinteticamente ricordati – si deve trattare di una pubblicazione generica “del fatto processuale” e cioè di quello che è percepibile da chiunque e che quindi, correttamente, può essere pubblicato perché si tratta di mera e generica informazione che non nuoce al corretto svolgimento delle indagini. Infatti, in questo caso non si pubblica ciò che è esattamente scritto “nell’atto processuale”, né ad esso si può fare riferimento indicando la tipologia dell’atto (ad esempio verbale di sommarie informazioni; denuncia – querela ecc.) o alla fonte dalla quale si sarebbe appresa la generica notizia del fatto (ad esempio Polizia Giudiziaria; Pubblico Ministero; persona informata sui fatti ecc.).
Sul punto l’Suprema Corte ha affermato che: «Peraltro, è sempre consentita la pubblicazione del contenuto degli atti non coperti (o non più coperti da segreto) a guisa d’informazione. Il codice distingue quindi nettamente tra atto del procedimento e suo contenuto» (vedi motivazione Sez. 1, sentenza n. 16301 dell’8 aprile 2014, non massimata e già sopra richiamata). Non è, evidentemente, un caso se nella parte di motivazione di cui sopra questa Corte richiama le parole “a guisa d’informazione”. Queste sono, infatti, proprio le parole che nell’art. 684 del cod. pen. indicano il quarto modo di pubblicare un atto del procedimento penale (i prime tre modi sono: in tutto, in parte e per riassunto; così recita l’art. 684: «Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale … è punito…») e che nel primo comma dell’art. 114 del cod. proc. pen. sono sostituite con le parole «o anche solo del loro contenuto» (così recita l’art. 114, comma 1, cod. proc. pen.: «È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del contenuto»).
Alle acute argomentazioni della Cassazione, che dimostrano quanto sia realmente difficile dare l’esatta interpretazione su norme in tema di segretezza e del correlato divieto di pubblicazione così articolate e variegate con più possibili alternative e modificate di continuo, si aggiunge anche la Corte Costituzionale che nella stessa sentenza n. 150 del 2021 con cui, dopo ripetute sentenze della CEDU, ha sostanzialmente cancellato il carcere per il giornalista condannato in sede penale per diffamazione a mezzo stampa in base alla legge del 1948 ha tenuto tuttavia a ricordare che «se è vero che la libertà di espressione – in particolare sub specie di diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti – costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico (come già riconosciuto dalla stessa Consulta con decisione n. 84 del 1969, ndr) non è men vero che la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignità della persona. Aggressioni illegittime a tale diritto compiute attraverso la stampa, o attraverso gli altri mezzi di pubblicità cui si riferisce l’art. 595, terzo comma, cod. pen. – la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e gli altri siti internet, i social media, e così via –, possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime. E tali danni sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati proprio dai moderni mezzi di comunicazione, che rendono agevolmente reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni, tutti gli addebiti diffamatori associati al nome della vittima. Questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall’ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare».
Peraltro, per i giudici costituzionali è ancora giustificabile mantenere, invece, ancora il carcere in casi eccezionali e ben circoscritti, se si attuassero «campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della – oggettiva e dimostrabile – falsità degli addebiti stessi». Hanno spiegato, infatti, che «chi ponga in essere simili condotte – eserciti o meno la professione giornalistica – certo non svolge la funzione di “cane da guardia” della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di verità “scomode”; ma, all’opposto, crea un pericolo per la democrazia, combattendo l’avversario mediante la menzogna, utilizzata come strumento per screditare la sua persona agli occhi della pubblica opinione. Con prevedibili conseguenze distorsive anche rispetto agli esiti delle stesse libere competizioni elettorali».
In una vicenda estremamente complessa come questa riteniamo opportuno far conoscere in dettaglio le diverse posizioni delle forze politiche durante il dibattito alla Camera dei deputati in modo che ognuno possa liberamente orientarsi al meglio.
Camera dei deputati: le ragioni del no
Contro il provvedimento si sono espressi i deputati Federico Cafiero De Raho (Movimento 5 Stelle), Federico Gianassi (Pd-Idp), Valentina D’Orso (Movimento 5 Stelle), Devis Dori (Avs) e Carla Giuliano (Movimento 5 Stelle).
Federico Cafiero De Raho (Movimento 5 Stelle)
Io devo dire che si parte, nell’ambito dell’emendamento dell’onorevole Enrico Costa, da un presupposto che è rappresentato dalla direttiva europea. Ebbene, la direttiva europea dice ben altra cosa a ben vedere e se guardate all’articolo 4 si parla sostanzialmente di “misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole”.
L’ordinanza di custodia cautelare non presenta la persona come colpevole. È una misura cautelare ed è a tutti noto che la misura cautelare è fondata sui gravi indizi ma non sulla colpevolezza, ed è semplicemente finalizzata a soddisfare determinate esigenze. Ma non solo, perché tenga conto che l’ordinanza di custodia cautelare è diventata pubblicabile nel 2017, quando la Commissione giustizia ha modificato l’articolo 114, secondo comma, del codice di procedura penale. In quella Commissione giustizia era presente anche l’onorevole Enrico Costa che all’epoca non disse nulla e non intervenne per quell’intervento legislativo di cui oggi si rammarica; eppure la direttiva europea che oggi cita a fondamento di ciò che sostiene è una direttiva che è entrata in vigore prima di quel decreto legislativo.
Oggi perché non si vuole che venga pubblicata l’ordinanza di custodia cautelare? Perché non si vuole che si sappia effettivamente che esistono persone, soprattutto quelle che appartengono alla borghesia mafiosa, ai colletti bianchi, ai corrotti che diventano oggetto di ordinanza e di cui è interesse pubblico conoscere i fatti, perché l’informazione non è solo un dovere; è un diritto, è un diritto costituzionalmente garantito.
Con questo emendamento bisogna evitare l’imbarazzante diffusione di notizie sui reati del potere perché i reati della povera gente non interessano a nessuno. Se inseriamo questo, finiamo veramente per impedire alla gente di conoscere ciò che accade attorno a noi. Ma come vogliamo difendere le persone, se non facendo loro conoscere ciò che avviene? Ancora una volta si parla delle garanzie dell’imputato e, in nome di queste garanzie, si soffoca la eguaglianza delle parti, si separano le carriere, si impedisce il diritto di informazione, si fa tutto ciò che è contro un principio e un valore costituzionale.
Oggi, approvare questo emendamento significa soffocare la libertà di informazione, impedire ai giornali di informare le persone. Ma questo è gravissimo! Non possiamo consentire che ciò avvenga e chiunque abbia coscienza, chiunque creda nella libertà di informazione e nell’esigenza che tutti sappiano ciò che avviene nel nostro Paese non è possibile che ciò passi inosservato, con il voto favorevole di una maggioranza.
Federico Gianassi (Pd-Idp)
In questa settimana, abbiamo assistito a un fatto non nuovo: un emendamento dell’onorevole Costa, che spacca la maggioranza, Forza Italia che assume una posizione diversa dal Governo e il Governo che, in materia di giustizia, affronta posizioni radicalmente diverse. Evidentemente è così, altrimenti non si irriterebbero così tanto…
Non è, infatti, un caso che sulla giustizia partoriscano poco o nulla, al di là di molte dichiarazioni roboanti sui giornali. E, per correre ai ripari e non spaccarsi in quest’Aula, sono stati costretti a modificare un parere contrario e farlo diventare favorevole. Non è la prima volta: succederà ancora perché le differenze ci sono e non si sanano nemmeno con gli escamotage sui pareri relativi agli emendamenti.
Ma la proposta dell’onorevole Costa per noi non può essere accolta – e per questo manifestiamo un voto contrario – per alcune questioni di merito e di metodo. Per quanto riguarda il merito, l’onorevole Costa solleva un tema che è certamente importante: il diritto alla reputazione di ogni cittadino, anche del cittadino sotto procedimento penale, sotto processo penale. Ma lo strumento che si mette nelle mani del Governo è sbagliato, innanzitutto perché nel nostro ordinamento esiste un principio per cui si distinguono gli atti tra segreti e pubblici; l’atto del giudice è un atto pubblico ed è difficile immaginare un’eccezione soprattutto per un atto così gravoso e importante quale quello per il quale lo Stato esercita il suo maggior potere, quello di privazione della libertà personale.
In secondo luogo, perché in realtà, se è così grave il rischio per la tutela del cittadino, questo provvedimento non lo risolve: posticipa il momento della pubblicazione alla fine delle indagini preliminari, non affronta il tema vero, cioè la modalità di costruzione dell’ordinanza. Un tema che si è proposto di affrontare in precedenti Governi e, con la riforma Orlando, si arrivò a una disciplina sapiente ed equilibrata, quella di stabilire modalità di confezionamento dei brogliacci della polizia giudiziaria, delle ordinanze, delle richieste di misure cautelari ai pubblici ministeri e delle ordinanze emesse dai giudici. È lì che sta la questione fondamentale di tutela della reputazione del cittadino. E nascondere un provvedimento pubblico facendolo diventare segreto non risolve il problema, al punto tale che, posticipandone la pubblicazione, il tema tornerà a esplodere.
Ma c’è di più: con questo provvedimento si decide di intervenire per la segretezza dell’ordinanza di misura cautelare, attribuendo una delega al Governo ed escludendo tutti gli altri provvedimenti per i quali, parimenti, si può verificare lo stesso problema. Non è toccato il tema delle misure cautelari reali, non è toccata la decisione del giudice che dispone l’incidente probatorio, non è toccato il caso del giudice che autorizza le indagini, tutti casi nei quali possono essere previsti nei provvedimenti i richiami alle intercettazioni; quelle sì delicate sulle quali, ancora una volta, la riforma Orlando intervenne, stabilendo un’eccezione al principio tra segretezza e pubblicità: quella della segretezza speciale per le intercettazioni che, quando cessano di essere segrete, non possono comunque essere pubblicate, se non rilevanti.
Questi sono i temi che garantiscono i cittadini, non una misura che rende segreto l’atto più forte che lo Stato può realizzare. Cafiero De Raho ha guardato un punto della vicenda, ma ce n’è un altro. Non è solo il diritto di conoscenza dei cittadini di sapere cosa ha commesso un cittadino, ma c’è il diritto di tutela di quel cittadino arrestato, che non può essere arrestato nella segretezza dello Stato. In un regime democratico, in un Paese democratico l’esercizio della giurisdizione è pubblico e, soprattutto laddove tocca diritti fondamentali, come quello della libertà dell’individuo. Infine, c’è un tema di metodo per noi gigantesco e politico. Noi non concediamo alcuna delega in bianco a questo Governo, tanto meno sui temi della giustizia e tanto meno sui temi della disciplina della segretezza, laddove in quel Governo siede un Sottosegretario alla Giustizia che si è fatto vanto di avere divulgato documenti segreti e ancora oggi continua a rivendicare quell’azione e promette di rifarlo, se gli viene chiesto. Con quale coerenza il Governo difende il Sottosegretario che rivela documenti segreti, dicendo che non c’è segretezza lì, e poi decide, con un emendamento, di rendere segreti i provvedimenti dei giudici? Qual è la coerenza? Non abbiamo fiducia in questo Governo e per questo manifestiamo un voto contrario: con buona pace dei deputati di Fratelli d’Italia, che non sono contenti, per me è un motivo di vanto.
Valentina D’Orso (Movimento 5 Stelle)
Io faccio solamente un riassunto delle puntate precedenti. Noi ci siamo lasciati, la scorsa settimana, proprio nel momento in cui il Governo avrebbe dovuto dare il parere a questo emendamento e c’è stata anche tutta una sceneggiata, una messa in scena, per non arrivare a quel parere.
Oggi apprendiamo che il Governo non solo dà un parere praticamente positivo, ma fa una riformulazione addirittura peggiorativa dell’emendamento Costa nella sua versione originaria. E io mi meraviglio di Fratelli d’Italia, perché, se ci siamo lasciati per delle fibrillazioni che probabilmente c’erano all’interno delle forze di maggioranza su questo emendamento quando il collega Calderone ha detto che Forza Italia lo abbracciava e lo sosteneva, allora mi chiedo, sotto forma di riflessione che è stata fatta in questi giorni: vi state rendendo conto che state approvando un emendamento peggiorativo, che non lascia nulla di intentato? Vi stanno raccontando che, né per estratto, né integrale, si potrà pubblicare un’ordinanza di custodia cautelare.
Devis Dori (Avs)
Anche noi, AVS, voteremo contro questo emendamento, perché si tratta di una delega in bianco a un Governo di cui non ci fidiamo.
Certo, stiamo parlando di una legge di delegazione europea, quindi questo discorso dovrebbe valere su tutto il testo, però qui davvero sono coinvolti diritti particolarmente delicati e garanzie costituzionali, quale il principio di presunzione di innocenza. E non basta sventolare questo principio per garantirlo. Quindi, non riusciamo a credere davvero, fino in fondo, che poi, alla fine, il Ministero della Giustizia riuscirà a trovare quel giusto equilibrio che sarebbe dovuto. Per questo motivo, quindi, voteremo contro.
Carla Giuliano (Movimento 5 Stelle)
Voglio un po’ chiarire quello che stiamo discutendo in quest’Aula.
Forse la maggioranza si è dimenticata dell’iter che abbiamo avuto fino ad oggi. Sento interventi della maggioranza convinti nel sostenere un emendamento che, fino a pochi minuti fa, aveva il parere contrario, perché qui non stiamo parlando di colpevolezza accertata. Il collega parlava di gravi indizi di colpevolezza su cui si deve basare l’ordinanza di custodia cautelare, che deve garantire il diritto all’informazione, ma anche alla difesa della stessa persona che viene arrestata. Forse voi siete abituati alle fughe di notizie e, forse, siete abituati a prendere i provvedimenti che limitano la libertà personale degli indagati nelle segrete stanze. Noi siamo, invece, per un’informazione corretta, puntuale e a vantaggio non solo dell’indagato, ma anche della collettività.
Camera dei deputati: le ragioni del sì
A favore del provvedimento si sono, invece, espressi i deputati Enrico Costa (Azione-PER-RE), Tommaso Antonino Calderone (Forza Italia-PPE), Pietro Pittalis (Forza Italia-PPE), Gianluca Vinci (Fratelli d’Italia), Davide Bellomo (Lega), Andrea Pellicini (Fratelli d’Italia) e Stefano Giovanni Maullu (Fratelli d’Italia).
Enrico Costa (Azione-PER-RE)
Accetto la riformulazione perché è assolutamente in linea con il testo dell’emendamento. Questo emendamento era finalizzato a rimuovere una stortura nel nostro ordinamento.
Noi siamo intervenuti in linea con la presunzione di innocenza per limitare le conferenze stampa delle procure, però, se limitiamo le conferenze stampa delle procure e poi sono pubblicabili testualmente, integralmente e alla lettera le ordinanze di custodia cautelare, che contengono centinaia di pagine di intercettazioni, di sommarie informazioni e di note della Polizia giudiziaria, siamo da capo. Se quell’ordinanza di custodia cautelare viene annullata dal riesame o viene annullata dalla Cassazione intanto c’è il pdf sui siti dei giornali. Questa non è presunzione di innocenza, questo non è lo spirito dell’ordinanza di custodia cautelare. Addirittura sapendo che ci sono le limitazioni, come procure, per comunicare con conferenze stampa, ci sono procure che optano per fare l’ordinanza di custodia cautelare, perché questo rafforza le loro indagini, questo consente di avere il titolo dei giornali e magari infilare dentro intercettazioni colorite con un elemento importante: la difesa non ha ancora toccato palla, perché quello è un atto esclusivamente dell’accusa. Allora, vogliamo semplicemente una cosa: il nostro spirito è quello di consentire, con gli strumenti, con le risorse, con il personale, allo Stato di svolgere le indagini, ma ci vuole anche una garanzia da parte dello Stato che, quando una persona ne esce da innocente, dopo essere stata chiamata a rispondere, sia la stessa persona che è entrata nell’ingranaggio come immagine, come reputazione e anche come portafoglio, e questo è un grande passo in avanti in questa direzione.
Tommaso Antonino Calderone (Forza Italia-PPE)
Intendiamo da subito precisare che per noi riveste una particolare importanza l’emendamento a firma dell’onorevole Enrico Costa, relativo in particolare all’articolo 3.
È un emendamento che ha la funzione di delegare al Governo per seguire un principio che credo riguardi tutti e sia, di massima civiltà giuridica per uno Stato che pretende di essere – e lo è stato per tanti anni, anche se abbiamo un po’ smarrito la via – uno Stato di diritto. Avviene – ed è questo che sollecita il collega Costa – che, al momento dell’esecuzione di un’ordinanza custodiale, colui che viene raggiunto da un provvedimento restrittivo, con un artifizio che mi permetterò, sia pure per le vie brevi, di rappresentare a codesto Parlamento, viene ad essere “sbattuto” – e mi scuserete per il termine poco elegante – in prima pagina, perché l’ordinanza custodiale contiene, con un artifizio ipocrita – mi sia consentito –, tutte le notizie utili, che non dovrebbero essere contenute nei giornali del giorno dopo. Mi spiego: se un’ordinanza restrittiva contiene tutte le intercettazioni, le sommarie informazioni testimoniali e l’intero compendio probatorio, questo significa che, venendo meno la segretezza perché lo impone e lo prevede l’articolo 114 del codice di procedura penale, con questo artifizio noi mettiamo nella condizione, chi si trova a patire una misura coercitiva, di essere “sbattuto” in prima pagina, con tutte le intercettazioni, con tutte le conversazioni, con tutte le sommarie informazioni e con tutte le dichiarazioni, sebbene – ed è qui il vulnus ipocrita – l’articolo 114 del codice di procedura penale vieti – si badi che è un espresso divieto – di pubblicare gli atti di indagine fino all’udienza preliminare; quindi fino all’udienza preliminare non possono essere pubblicati gli atti, però, nel momento in cui viene eseguita l’ordinanza – e ancora siamo nella fase delle indagini preliminari –, questo artifizio ipocrita, da anni e anni, “consente” a tanti italiani di essere umiliati, per poi magari addivenire a una sentenza assolutoria. Ecco perché Forza Italia è fermamente convinta che questo sia un emendamento brillante, un emendamento che va osservato con grandissima attenzione, onorevole Costa, ed è quello che faremo. Questo sta a significare che non c’è un pregiudizio politico, culturale o ideologico nei confronti degli emendamenti che non provengono dalla maggioranza, perché Forza Italia persegue quello che per lei è giusto. È questa la stella cometa di Forza Italia, sia chiaro, perché noi amiamo contraddistinguerci, perché agiamo sempre secondo la nostra scienza e coscienza.
Pietro Pittalis (Forza Italia-PPE)
Ha chiarito in maniera egregia ed esaustiva il collega Tommaso Calderone le ragioni del sostegno. Quindi, non mi dilungherò, però mi pare che con questo emendamento si dia concreta attuazione al principio della presunzione di innocenza. Inoltre, si restituisce centralità al diritto di difesa e, quindi, il tutto va nella direzione di una giustizia giusta e di qualità che crediamo che, con la riforma delle riforme, cioè con la separazione della carriera, si attui davvero quel sogno – che è un sogno di tutti gli italiani – di vedere veramente sullo stesso piano accusa e difesa e, soprattutto, il giudice deve essere terzo.
Tommaso Antonino Calderone (Forza Italia -PPE)
Soltanto un minuto perché ero intervenuto la volta scorsa. È veramente ottima questa rimodulazione. Complimenti all’onorevole Enrico Costa. Forza Italia è convinta e all’unisono voterà a favore su questo emendamento, sottolineando l’aspetto più spaventoso che ha caratterizzato i nostri tempi fino a questo momento: pensate che, una volta eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, venivano pubblicati solo gli elementi a carico dell’indagato, perché l’interrogatorio di garanzia, come è noto, doveva e deve celebrarsi nei 5 giorni successivi. Quindi, a tacer d’altro, oggi, con questo emendamento, che dovrebbe imporre al Governo di emanare il relativo provvedimento legislativo, abbiamo affermato un grandissimo principio di civiltà.
Gianluca Vinci (Fratelli d’Italia)
Noi abbiamo una visione decisamente diversa da quella che è appena stata pronunciata dai colleghi del Movimento 5 Stelle e del Pd. Noi pensiamo che i processi si facciano nei tribunali e che siamo ancora in una democrazia.
Pensiamo che le informazioni contenute in una misura di custodia cautelare siano giuste, ma da utilizzare all’interno di un processo, perché molto spesso quelle misure di custodia cautelare sono frutto di un’ordinanza che poi viene smentita dai giudici di merito, e quindi le informazioni non erano corrette o erano parziali. In quest’Aula, poco fa, si è cercato di fare l’ennesimo processo fuori dai tribunali: ho sentito parlare di documenti segreti, la legge dice altro. Se noi continuiamo a inseguire un populismo di sinistra, che dice che ognuno può raccontarla come vuole, e mettiamo dentro gli atti giudiziari e quello che vogliamo e diventa subito la realtà, ancora prima del primo grado, questo è gravissimo. E pensiamo che questo emendamento vada a sopperire a questo. Ho sentito anche dire che questa maggioranza vuole insabbiare, vuole chiudere e non vuole vietare l’informazione proprio di nulla, perché le indagini non saranno segrete, si saprà sicuramente che qualcuno è sotto indagine, visto che viene incarcerato. Ma all’interno dell’ordinanza ci può essere, e spesso c’è, veramente di tutto, e non riteniamo giusto che quel tutto, che spesso porta poi anche alla scarcerazione e alla dichiarazione di innocenza, venga buttato e butti fango, sui giornali, su persone della cui colpevolezza ancora non si sa assolutamente nulla. Per questo motivo, chiedo di sottoscrivere anch’io l’emendamento, perché lo ritengo assolutamente valido e pregevole.
Davide Bellomo (Lega)
Ho sentito cose che neanche il migliore o peggiore Robespierre poteva pronunciare. Ho sentito dire che noi abbiamo il dovere di informare di un’ordinanza di custodia cautelare, come se la colpevolezza fosse rappresentata dall’ordinanza di custodia cautelare!
Solo le sentenze definitive hanno l’autorità di determinare la colpevolezza di un cittadino di fronte alla legge, nient’altro. Le ordinanze di custodia cautelare sono fondate sì sui gravi indizi di colpevolezza, ma sulle esigenze cautelari e sulla rappresentazione che lo stesso soggetto possa subire una condanna superiore ai 2 anni di reclusione. Ed è previsto anche nell’ordinanza di custodia cautelare che entro i 5 giorni ci sia un interrogatorio di garanzia proprio per fare in modo che l’indagato possa dare la rappresentazione dei fatti, e spesso e volentieri questa rappresentazione dei fatti finisce con la scarcerazione dell’imputato. Quindi l’informazione viene data – e lo sa bene, mi rivolgo, per il tramite del Presidente, al collega Cafiero de Raho – e viene rappresentata con una conferenza stampa, che tutti i procuratori della Repubblica fanno, ed è autorizzata e nessuno la sta discutendo, che rappresenta che il soggetto Tizio o Caio è stato arrestato, vengono edotti quelli che sono gli articoli di legge violati, punto. Ora, invece, si vuole che il singolo cittadino indagato venga messo al pubblico ludibrio, perché poi non ci dobbiamo dimenticare che vengono rappresentati sui giornali solo gli stralci delle ordinanze che più rappresentano la colpevolezza dell’indagato, o, meglio, i gossip dello stesso. Se poi – ve lo rappresento, faccio il penalista di professione –l’avvocato dell’indagato va in cancelleria a chiedere la copia dell’ordinanza di custodia cautelare, capita spesso e volentieri di sentire dire: “avvocato, lei deve attendere, perché noi non abbiamo la notifica che lei è il difensore”.
Più volte sono andato nel corridoio, ho incontrato il giornalista amico e ho detto “per favore, mi dai l’ordinanza del mio cliente?”). Questo è normale in uno Stato di diritto? Ed è normale che si tenti di non obbligare il divieto di pubblicazione? Questa è procedura penale, è senso di civiltà che noi dobbiamo avere, poiché il colpevole giustamente sarà punito dallo Stato e sarà rappresentata la sua colpevolezza con tutte le misure che la legge prevede.
Andrea Pellicini (Fratelli d’Italia)
Grazie, Presidente. Rispondo all’onorevole Federico Gianassi, che comunque stimo perché ha una capacità sia tecnica che politica assolutamente significativa, ma oggi, su questo tema, tutta la maggioranza ha un parere unanime.
Quello che è stato introdotto con l’emendamento dell’onorevole Costa, poi riformulato dal Governo, è semplicemente un principio di civiltà. Se il nostro codice vieta la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, è un mezzo surrettizio quello di pubblicarle attraverso la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare. Una persona viene massacrata prima del giudizio del tribunale del riesame. Se dopo 20 o 30 giorni questa persona viene rimessa in libertà e l’ordinanza di custodia cautelare è annullata, ormai tutto il pubblico conosce le intercettazioni telefoniche e giudica una persona assolutamente colpevole. La persona è sottoposta al ludibrio generale. Quindi ben venga l’emendamento dell’onorevole Costa, con la riformulazione del Governo.
Stefano Giovanni Maullu (Fratelli d’Italia)
Intervengo volentieri perché credo che in questa serata in Aula si stia svolgendo un dibattito surreale, che però dà il senso di quanti decenni questo Paese ha passato sotto un giogo che l’opinione pubblica schierata ha voluto dare nei confronti degli indagati, che sono stati usati né più e né meno come strumenti per alimentare il circuito mediatico-giudiziario.
Qui non stiamo parlando certamente di un aspetto di libertà di informazione, qui stiamo parlando di uno strumento essenziale che serve a garantire al magistrato gli elementi per poter creare le condizioni di un’ordinanza di custodia cautelare tecnicamente detta. Tutto il resto che viene propagandato, veicolato, come se fosse uno strumento di libertà di informazione è, né più né meno, che uno degli elementi di barbarie che questo Paese ha subito per decenni.
Ciò che stupisce di più è che chi ha ricoperto compiti di altissima amministrazione quale vincitore di un pubblico concorso per una funzione delicatissima tende a riproporre ancora oggi gli stessi strumenti di 30 anni fa. (giornalistitalia.it)
Pierluigi Roesler Franz
Ottimo articolo, spiegato molto bene come sempre sa fare Franz. Aggiungo che le esagerazioni dovute al fare da megafono dell’accusa di quasi tutti i miei colleghi amanti del sensazionalismo ha reso questa legge quanto mai opportuna.