COSENZA – “Il prestigioso riconoscimento, che normalmente viene assegnato a uno storico, quest’anno – spiega Demetrio Guzzardi direttore Editoriale di Progetto 2000 e organizzatore della Settimana della Cultura a Cosenza – è stato invece conferito a un giornalista importante che nella sua professione ha utilizzato un metodo di ricerca e di racconto della realtà calabra, che sicuramente aiuterà i futuri storici a saper discernere e descrivere un periodo – la seconda metà del Novecento – foriero di grandi cambiamenti”.
Emanuele Giacoia – spiega Guzzardi – «non è stato solo la voce del calcio calabrese in serie A, ma, per tanti suoi colleghi, un maestro del giornalismo d’inchiesta e d’approfondimento. Senza dubbio, uno dei grandi maestri del giornalismo radiotelevisivo in Calabria, che ha segnato con la sua voce e la sua immagine il percorso quotidiano di intere generazioni, un giornalista d’altri tempi con un esasperato concetto del rispetto degli altri in ogni sua espressione o manifestazione».
Il vecchio Emanuele Giacoia oggi è qui, nella storica sede della Cgil cosentina, attorniato dalla sua grande famiglia, i figli Riccardo, Valerio, Sergio, Antonella e Arianna, alcuni dei suoi 12 nipotini, in testa la sua adoratissima Ramona, e per la prima volta si presenta in pubblico in carrozzella, «acciaccato dal tempo e dai dolori del corpo, ma a 93 anni – dice sorridendo – si può anche derogare alla forma e alla regola». Noblesse oblige, per il grande maestro.
Un uomo tutto di un pezzo, avvolgente, ironico, istrionico, straordinariamente ed eternamente affabile, giornalista di razza, cronista severo, scrupolosissimo, rispettoso della notizia, ma soprattutto un inviato alla vecchia maniera, profondamente rispettoso dei sentimenti e dell’umanità della gente che ha incontrato nel corso della sua vita. Così lo si vedeva in televisione quando lui ancora lavorava alla Rai, ma così Emanuele è sempre stato per tutti noi nella vita di ogni giorno. Per noi poi è stato, e rimarrà per sempre nella nostra vita, un indimenticabile e meraviglioso Direttore.
Credeteci, mai come nel suo caso personale, la televisione è stata così sincera e così reale, dando di lui prima alla radio e poi alla televisione l’immagine fiera di un grande romanziere delle immagini. Indimenticabile era il timbro della sua voce, e la maniera con cui salutava il suo pubblico: “Dal vostro…Emanuele Giacoia”.
«È stata davvero lunga la mia epopea giornalistica in Rai. Dall’inizio, fino al giorno della pensione – racconta dopo aver ritirato il Premio –, la Rai è stata la mia casa, e credo di avere avuto da questa azienda più di quanto io stesso potessi desiderare. Lo riconosco, fare poi il giornalista Rai in Calabria non è stato facile, soprattutto in passato, quando cioè questa regione sembrava enormemente complessa e lunga da percorrere.
Penso alle strade di allora, erano fatte solo di curve e tornanti, che riducevano la nostra vita ad un frappè. Si arrivava sbattuti, esausti, stanchi, dopo ore e ore di marcia. Da Cosenza a Catanzaro, passando per Rogliano e toccando Soveria Mannelli, si contavano 1867 curve diverse. Non è una battuta. Erano esattamente 1867 tornanti. Da Cosenza a Reggio Calabria servivano, invece, dalle cinque alle sei ore di macchina. Ricordo che la prima tappa per noi era Vibo Valentia per il “cambio dei cavalli”, noi dicevamo così. Il tempo di un caffè e due panini, poi si riprendeva il lungo viaggio. A Cosenza io sono diventato persino Caporedattore, un lavoraccio ed una grande responsabilità che porto ancora sulla mia pelle. Oggi la sede è faraonica, ma non fatevi ingannare: se sentite qualcuno mugugnare, scalciare, strepitare contro l’Azienda, non preoccupatevi più di tanto. La Rai non la lascerà mai davvero nessuno. Un’azienda come nessun’altra al mondo».
Struggente e pieno di commozione il ricordo di quel suo primo incontro con la Rai calabrese che allora aveva sede a Cosenza in uno storico palazzo civile di Via Montesanto 25.
«Ricordo il giorno ufficiale della inaugurazione. Quell’11 dicembre di 43 anni fa al numero 25 di Via Montesanto, al quinto piano di quel vecchio palazzo, in una Cosenza piovosa – ricorda il grande Emanuele Giacoia – c’ero anch’io. Ricordo che per mandare su al quinto piano autorità e invitati ci fu qualche problema per via di un improvviso blackout. Allora, quarantatré anni fa, si diceva più semplicemente “è andata via la luce”. L’ascensore si fermò per qualche minuto, vai a capirne il perché. La Rai preoccupatissima aveva fatto venire apposta un tecnico specializzato, un ascensorista. Ma questo non impedì che al pianterreno si vivessero momenti di panico generale.
La maggior parte di noi si domandava: “Come facciamo ora a mandare su l’ingegner Rodinò, l’allora potentissimo amministratore delegato della Rai?”, “E il vescovo mons. Aniello Calcara, poeta e pastore della Chiesa cosentina?”. Per fortuna il blackout durò poco. Come Dio volle la corrente elettrica tornò subito dopo, e nessuno di loro fu costretto a quei cinque piani a piedi. Per tutti noi, quel giorno, incominciava una straordinaria avventura».
Oggi per Emanuele Giacoia, che per lunghi anni dopo l’avventura Rai è stato anche storico direttore del Quotidiano del Sud, è arrivato il momento di festeggiare anche questo ennesimo riconoscimento che Demetrio Guzzardi ha fortemente voluto assegnarli.
“Premio alla Carriera”, intitolato a Gustavo Valente, famoso storico calabrese, “Premio alla sua storia professionale e alla sua vita di grande cronista”, ma anche Premio alla sua bellezza, inalterata nel tempo, nonostante questi suoi primi 93 anni si incominciano a far sentire, nonostante la carrozzella e gli acciacchi. Un Premio che Emanuele Giacoia dedicare ai suoi vecchi compagni di cordata e di lavoro in Rai. È l’intera e indimenticabile generazione di radiocronisti e telecronisti Rai, quelli di “Novantesimo minuto”, la trasmissione più popolare della TV di Stato, che il 27 settembre scorso ha compiuto 53 anni di messa in onda e che ha reso grande il nome e l’immagine della Rai nel mondo. (giornalistitalia.it)
Pino Nano