ROMA – “Patrick è uno dei miei più cari amici. È un ragazzo buono e pieno di volontà. È partito ad agosto scorso per l’Italia con l’idea di perfezionare la sua formazione e poi ritornare qui, per lavorare e migliorare l’Egitto. Sono certa che è scioccato: è stato torturato ma senza motivo, perché non ha fatto niente di male. È solo un ragazzo che si impegna tantissimo per i diritti degli altri”. Così all’agenzia Dire Karoline Kamel, amica d’infanzia che con Patrick Zaky condivide anche la passione per i diritti umani: “Siamo entrambi ricercatori per l’Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr). Io mi occupo di libertà di espressione, lui di diritti di genere. Ecco perché aveva deciso di iscriversi al master dell’università di Bologna in Gender studies”.
Karoline Kamel è anche giornalista del quotidiano indipendente ‘Mada Masr’, che a novembre ha subito un blitz della polizia in cui quattro giornalisti sono stati arrestati. Questo è accaduto dopo l’ondata di proteste di settembre: “Le autorità da allora arrestano persone di continuo. Ho tanti amici e colleghi in carcere. Ciò che sta capitando a Zaky (accusato di sedizione e terrorismo, ndr.) è ciò che purtroppo succede agli altri casi di cui ci occupiamo”.
L’Eipr sta seguendo da vicino anche la situazione di Zaky “attraverso i nostri avvocati, e diffondendo informazioni. E’ tutto quello che possiamo fare. Il regime ci toglie ogni spazio, ogni diritto. I detenuti – prosegue – non hanno le coperte neanche ora, che è inverno. Il cibo in carcere non è buono e manca l’assistenza sanitaria”.
La giornalista, come Zaky e tanti altri giovani egiziani, svolge varie attività: “Siamo ricercatori, studenti, reporter, attivisti per i diritti umani perché è l’unico modo che abbiamo per resistere”. Come l’impegno profuso per il caso di Giulio Regeni, “di cui abbiamo scritto tanto per non far calare l’attenzione”. E l’arresto, perché adesso? “È strano infatti. Ma noi tutti abbiamo la sensazione che il regime intenda arrestare gli attivisti uno ad uno: non passa giorno che non venga ammanettato qualcuno”.
Gli studi all’estero hanno peggiorato le cose? “Non credo. Patrick poi non vedeva l’ora di tornare. Ama l’Italia per il cibo, il calcio, la cultura, ma diceva sempre quanto gli mancasse il suo paese. Lo prendevamo un po’ in giro dicendogli che sembrava che non fosse mai partito. Ci eravamo promessi di vederci, lo aspettavo per una cena con mio marito una sera di queste”. (agenzia dire)