ROMA – Si è avvicinata troppo al buco nero, e ne è stata risucchiata. Nel difficile rapporto tra Egitto e tutela dei diritti umani va ad aggiungersi un nuovo episodio: le forze di sicurezza del Cairo hanno arrestato, proprio davanti al famigerato carcere di Tora, una giornalista egiziana mentre stava intervistando l’attivista Laila Seif.
Da alcuni giorni la donna dorme su un marciapiede per denunciare le condizioni nella prigione in cui è recluso suo figlio, l’attivista Alaa Abd El Fattah. Lo stesso carcere dove si trova anche Patrick Zaky, arrivato ormai al terzo mese di detenzione e accusato di avere “diffuso notizie false”, di “incitamento alla protesta” e di “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”.
A rendere noto l’arresto di Lina Attalah, questo il nome della giornalista, è stata la stessa testata da lei diretta, il portale indipendente Mada Masr. La notizia è poi stata rilanciata anche dal portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury.
La stessa associazione internazionale aveva definito in passato “aberranti” le condizioni in cui sono tenuti i prigionieri a Tora, alla periferia sud-est del Cairo e al cui interno si trova anche la prigione di massima sicurezza detta “Al Aqrab” (lo scorpione): celle fatiscenti, condizioni igieniche pessime e ora anche il coronavirus, che ha messo fine a visite e contatti per i detenuti”.
L’arresto di Attalah ha sollevato voci di sdegno anche in Italia. «È possibile – si chiede Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni – mantenere rapporti ordinari con un Paese in cui ad ogni voce di protesta segue a ruota un arresto. L’Italia ha il dovere di chiedere all’Egitto di rispettare i diritti umani. Per il ruolo che abbiamo nel Mediterraneo e per il debito che quel Paese ha con noi dopo il brutale assassinio di Giulio”.
Nelle quattro prigioni del complesso di Tora sono passati tra gli altri anche gli ex presidenti Hosni Mubarak e Mohamed Morsi e decine di attivisti. Tra i più noti c’è, appunto, Alaa Abd El-Fattah, icona della rivoluzione di Piazza Tahrir del 2011 e da ultimo critico del presidente al-Sisi. L’attivista è entrato in sciopero della fame a metà aprile, dopo una vicenda giudiziaria in corso da sei anni, proprio per puntare un riflettore sulle condizioni in cui lo tengono in prigione.
L’arresto della giornalista segue di appena qualche giorno quello di un video-blogger 28enne con quasi 240 mila iscritti su Youtube, Hany Mustafa, messo in carcere con l’accusa di diffamazione e “istigazione alla depravazione”.
Noto come “zio Hany” e attivo anche su Facebook e su Instagram, Mustafa era diventato popolare trattando apertamente e senza fronzoli di argomenti come sesso, politica e società.
E sempre nel carcere di Tora era morto il primo maggio il fotografo e regista 24enne Shady Habash. Era stato incarcerato per un video di una canzone che irrideva al Sisi e da più di due anni aspettava un processo. (ansa)