RIMINI – “Il lavoro che non c’è”. Nel tema del IX Congresso Confederale della Cisal c’è il dramma di un Paese, il nostro Paese, devastato da una crisi senza precedenti che mette in ginocchio le imprese e lascia per strada migliaia di lavoratori, spesso – purtroppo – anche a causa di un uso distorto degli ammortizzatori sociali che, invece di costituire un’occasione di rilancio, finiscono per diventare mero strumento di riduzione di tutele e del costo del lavoro.
Nessun dubbio sul fatto che le aziende pirata vanno chiuse senza se e senza ma perché, non pagando stipendi e contributi, generano concorrenza sleale che mette in ginocchio gli imprenditori seri e onesti costringendoli a chiudere e licenziare. Ma è la mancanza di investimenti, soprattutto pubblici, il nodo centrale della scellerata politica del Governo Renzi che, dopo i disastri cominciati con il Governo Dini e proseguiti con quello Monti col suo ministro Fornero, continua a demolire lo stato sociale privilegiando i ricchi ed i potentati economici.
Altro che Jobs Act foriero di sviluppo e di crescita. Con l’arroganza di un Governo sempre più convinto che il Parlamento sia un optional e il sindacato la causa di tutti i mali, il Sindacato non può rimanere inerme davanti al graduale smantellamento dei diritti dei lavoratori conquistati con sudore, lacrime e sangue, grazie alle lotte e agli scioperi di milioni di lavoratori che hanno creduto in questa Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Ma il lavoro, il primo dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione, non c’è perchè milioni di italiani (1milione e 200mila soltanto tra il 2008 e metà del 2014) lo hanno perso; altri a causa dello smantellamento dello Statuto dei lavoratori potranno perderlo più facilmente e una massa sempre più preoccupante, soprattutto tra i più giovani, il lavoro non ce l’ha e rischia di non avercelo mai.
Sentiamo sfornare dati sulla crescita occupazionale, ma non teniamo conto del fatto che – senza seri vincoli sulle assunzioni a tempo indeterminato – con gli sgravi contributivi la maggior parte dei beneficiati rimarrà a piedi, dopo i tre anni di agevolazioni, grazie alla demolizione dell’articolo 18 che ha messo i lavoratori sotto schiaffo delle aziende.
Prendiamo il settore dell’editoria, uno dei più colpiti del Paese, con effetti devastanti sulle aziende e sui lavoratori. Nel giugno scorso, Fnsi, Fieg ed Inpgi hanno sottoscritto con il Governo un accordo di rinnovazione contrattuale che prevede l’allargamento del mercato del lavoro attraverso l’utilizzo della legge Letta di stabilità che demandava l’apposito decreto al Governo.
Per il 2014 sono stati previsti 11 milioni di decurtazione per contratti a termine ed a tempo indeterminato. Ne sono stati utilizzati pochi perché il decreto ministeriale del Presidente del Consiglio dei Ministri è arrivato soltanto a fine anno. Decreto che doveva essere reiterato per il 2015 con lo stanziamento di altri 11 milioni di euro. Già pronto a gennaio 2015, a fine aprile è stato, invece, ritirato dal Governo.
La legge di stabilità di Letta prevedeva, infatti, la costituzione di un fondo speciale per il sostegno all’editoria valido per tre anni (2014-2016) e la somma sarebbe stata suddivisa annualmente mediante decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Caduto il suo Governo, quello di Renzi aveva concordato il decreto 2014 e abbozzato quello del 2015 che, invece, si è rimangiato.
Questa – va sottolineato – non era una promessa, ma un impegno sottoscritto dal Governo, a Palazzo Chigi, il 25 giugno 2014. Impegno disconosciuto dal Governo con il quale avevamo concordato la modifica della legge sui prepensionamenti previsti con la legge 416 che prevedeva l’obbligo di 1 nuova assunzione a tempo indeterminato ogni 3 prepensionamenti. Venendo meno i finanziamenti all’occupazione, è chiaro che le aziende si sono venute a trovare in grande difficoltà.
E non parliamo del lavoro autonomo, sfruttamento allo stato puro, e dei co.co.co. e co.co.pro. che servono solo a truccare i numeri sulla crescita occupazionale.
Tra le nuove frontiere della professione giornalistica c’è un settore vecchio, ma ancora vergine in materia occupazionale: quello degli uffici stampa. A 15 anni dalla sua approvazione, la legge 150/2000 continua a segnare il passo in materia di contrattazione ed al tavolo dell’Aran, accanto alla Fnsi, soltanto la Cisal ha accettato di sedersi, nonostante sia l’unico tra i sindacati più importanti del nostro Paese a non aver ancora stipulato un patto di alleanza con il sindacato dei giornalisti italiani.
Alla Cisal ed al suo segretario generale, Francesco Cavallaro, tra l’altro giornalista pubblicista, va il ringraziamento dei giornalisti italiani. Un segretario che, nella sua lucida relazione introduttiva ha fotografato con concretezza, determinazione, ma soprattutto autonomia, lo stato dell’arte del mercato del lavoro, confermando la bontà della nostra scelta, nel gennaio scorso al Congresso di Chianciano, di annoverarlo nel Consiglio Nazionale della Federazione della Stampa.
Tra i relatori che mi hanno preceduto, abbiamo ascoltato quello del vice presidente della Giunta Regionale della Calabria, Vincenzo Ciconte, che ha parlato, tra l’altro, di sviluppo, speranza e meritocrazia.
Non è certo questa la sede per parlare di Calabria, ma a lui, al suo partito e al suo Governo, va ricordato che se il messaggio è quello lanciato, nei giorni scorsi, con l’assunzione per chiamata diretta di tre giornalisti all’Ufficio Stampa della Giunta Regionale, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ma con “funzioni” ed elementi contributivi e retributivi (con tanto di tredicesima, quattordicesima e indennità) propri dei lavoratori dipendenti, la speranza per i giovani calabresi di rimanere nella propria terra, sperando di poter far valere il proprio merito attraverso concorsi pubblici aperti a tutti e trasparenti, è ancora lontana. Anzi, è addirittura peggiorativa, considerato che la precedente Giunta Regionale, seppur con lo stesso discutibile criterio della chiamata diretta, quantomeno aveva correttamente applicato i contratti di lavoro dipendente senza il bisogno di mascherarli da lavoro autonomo.
Ma tornando al Governo nazionale, in nome della spending review non si può pensare di tagliare gli interventi a sostegno e per lo sviluppo dell’occupazione, considerandoli mera voce di spesa, così come non si può pensare di mettere il bavaglio ai giornalisti con leggi sempre più restrittive che lasciano spazio alle richieste di risarcimenti milionari che hanno l’unico fine di limitare la libertà di stampa con una sorta di autocensura preventiva.
Non esiste libertà di stampa senza libertà dal bisogno: se un giornalista, come ogni altro lavoratore, ha il portafoglio vuoto, è meno libero e più ricattabile. Ci vuole una linea chiara e ferma, da parte di tutto il fronte sindacale, in tutto il territorio nazionale, senza distinguo o deroghe, soprattutto in materia di gestione degli stati di crisi e di contrattazione collettiva di prossimità. Sono necessari l’impegno e il sostegno dei soggetti istituzionali e, soprattutto nelle terre più difficili e depresse, delle forze dell’ordine e della magistratura. Quel sostegno che i Prefetti di numerose province italiane hanno garantito, soprattutto negli ultimi anni, al Sindacato colmando i vuoti della politica nell’aiutarci a risolvere delicate vertenze che hanno restituito, con il loro esito, giustizia e fiducia ai cittadini tutti.
Il Sindacato, d’altronde, è anche questo: serve a fare rete, perché la demolizione di un elemento del contratto di una categoria finisce sempre per rappresentare un pericoloso precedente da esportare a tutto il mondo del lavoro.
Chi lavora sottopagato, o a addirittura gratis, deve capire che non sta investendo sul futuro, ma rovina il presente di sé stesso, della propria famiglia e degli altri.
Il Governo, dal canto suo, non può mettere la testa sotto la sabbia ignorando che il lavoro nero è sempre stato il punto di forza del malaffare e della criminalità mafiosa che, nel serbatoio della disoccupazione, ha sempre attinto la sua manovalanza approfittando della disperazione di chi chiede soltanto un lavoro e una vita normale.
Carlo Parisi
Giunta Esecutiva Fnsi
https://www.giornalistitalia.it/cisal-il-lavoro-che-non-ce-e-i-numeri-di-renzi/
Ciconte è uomo di legalità, sa bene e lo ha spesso ripetuto e sa anche bene come i monopoli siano invisi perfino al capitalismo più ruggente, come il fatto che la corruzione alligna nei favoritismi e nel clientelismo, soprattutto quando vengono ad inficiare la legalità delle assunzioni e la libertà di stampa. Sono sicuro che interverrà immediatamente per sanare l’assunzione per chiamata diretta di tre giornalisti all’Ufficio Stampa della Giunta Regionale, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ma con “funzioni” ed elementi contributivi e retributivi (con tanto di tredicesima, quattordicesima e indennità) propri dei lavoratori dipendenti.
Sarebbe grave molto grave se illegalità e favoritismi soprattutto nel mondo della comunicazioni dovessero ledere, a nome della Regione Calabria, i diritti dei cittadini.