ROMA – Pioggia di critiche su Google, accusato dal sindacato “Foro dei giornalisti palestinesi” di aver “cancellato” la Palestina dalle sue mappe digitali, favorendo così Israele. Interpellata, però, dal quotidiano spagnolo El Pais, l’azienda americana si è difesa sostenendo di non aver modificato le informazioni che riguardano la regione. Nella versione attuale di Google Maps, non compare la denominazione “Palestina”, mentre si legge il nome di Israele sui territori dello Stato ebraico. Digitando, però, Cisgiordania o Striscia di Gaza, i territori vengono evidenziati correttamente.
Secondo il sindacato di giornalisti palestinesi che ha sollevato il caso, si tratta di “un piano di Israele per stabilire definitivamente il suo nome come stato legittimo per le future generazioni abolendo la Palestina per sempre”.
Insomma, sarebbe un complotto per “falsificare la storia, la geografia e il diritti dei palestinesi ad avere una patria”. La querelle è arrivata sulla piattaforma Change.org dove una petizione popolare in cui si chiede a Google di indicare la Palestina sulle mappe ha raggiunto in pochi giorni oltre 188mila sostenitori.
La stessa Google, tuttavia, nel 2013 aveva fatto notizia cambiando l’intestazione della schermata iniziale dell’edizione palestinese da “Territori palestinesi” a “Palestina”, pochi mesi dopo il riconoscimento da parte dell’Assemblea generale dell’Onu alla Palestina dello status di Paese osservatore non membro, al pari del Vaticano. All’epoca, l’iniziativa dell’azienda di Cupertino era stata accolta con soddisfazione dall’Autorità nazionale palestinese: Sabri Saidam, consigliere del leader Abu Mazen, alla Bbc l’aveva definito “un passo opportuno nella giusta direzione, che incoraggia altri ad aderire e a dare la correta definizione e nome alla Palestina invece che Territori palestinesi”.
Non è la prima volta che la questione dei confini viene sollevata: in caso di regioni contee, non solo in Medio Oriente ma anche in Asia (India-Pakistan, per esempio) o in Maghreb (con la questione del Sahara Occidentale), la tecnologia si scontra con la geopolitica.
Su Airbnb, il popolare sito di appartamenti in affitto, cercando abitazioni in Israele appaiono anche decine di case nelle colonie in Cisgiordania. Sono i proprietari di casa a indicare la localizzazione, e quindi l’«appartenenza» geografica.
Analoga la situazione su Bing, il motore di ricerca di Microsoft, che evidenzia chiaramente i confini della Striscia di Gaza o la Cisgiordania, ma per quanto riguarda la “Palestina” indica un punto all’interno della linea di demarcazione tratteggiata dei Territori palestinesi.
La difficoltà di mappare zone contese a volte ha anche dei risvolti drammatici: ne sanno qualcosa i due incauti soldati israeliani che qualche mese fa, seguendo le indicazioni di Waze, popolare app di navigazione di Google, sono finiti all’interno di un campo rifugiati palestinese in Cisgiordania. La loro auto è stata incendiata e per recuperarli è dovuto intervenire l’esercito con conseguenti scontri, diversi feriti e addirittura una vittima tra i palestinesi.
L’azienda ha negato ogni responsabilità nell’incidente, sottolineando che i due militari non avevano attivato l’opzione che permette agli utenti di evitare le zone sotto controllo palestinese, segnate come pericolose o addirittura vietate agli israeliani. Lapidario il commento dell’allora ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon: “Ho imparato anni fa l’importanza di muoversi con l’ausilio di una vera mappa, e principalmente di conoscere la zona circostante, senza contare troppo sulla tecnologia che può portare l’utente fuori strada”. (Agi)
È polemica dopo la denuncia del sindacato “Foro dei giornalisti palestinesi”