ROMA – In questi tempi di gravi ristrettezze economiche, il governo Renzi ha come obiettivo primario quello di ridurre, tagliare, evitare sperperi e sprechi. Ieri il premier ha smentito l’idea rilanciata dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, di ricalcolare retroattivamente con il sistema contributivo un numero consistente di pensioni da tempo in corso di pagamento.
Matteo Renzi ha annunciato che non taglierà ulteriormente le pensioni, ma darà una “sforbiciata” alla spesa pubblica: “La via maestra per recuperare risorse per il 2015 è, e resta, quella della revisione della spesa”, ha detto. Tra le ipotesi allo studio c’è, comunque, anche la radicale riduzione delle detrazioni fiscali Irpef, soprattutto per i titolari di redditi più elevati.
Ma proprio perché i sacrifici li devono pagare tutti i cittadini, compresi gli uomini politici, ci permettiamo di suggerire al presidente Renzi di mettere il naso in una zona franca, tuttora pressoché intoccabile nel labirinto pensionistico. E’ quella delle cosiddette doppie pensioni dei parlamentari a spese di “Pantalone”, cioé interamente gratis fino al 1999 e per 3/4 gratis dal 2000 in poi per ex deputati, senatori, europarlamentari, consiglieri regionali (compresi i governatori) e sindaci di grandi città.
E’ l’effetto della distorta interpretazione dell’art. 31 dello Statuto dei lavoratori, ideato dal professor Gino Giugni ed approvato dal Parlamento con la legge n. 300 del 20 maggio 1970 (Allegato 1).
Questa disposizione in vigore da ben 44 anni è sinora costata allo Stato almeno 5 miliardi di euro (10 mila miliardi di vecchie lire). Un esborso enorme che non era neppure minimamente previsto tra gli oneri dello Statuto dei lavoratori. E’, quindi, un costo pesantissimo e privo di qualsiasi copertura finanziaria, come invece impone l’art. 81 della Costituzione.
Ma il beneficio per un ex deputato o un ex senatore è stato spropositato perché fino al 1999 ognuno di loro ha incassato gratis 2 pensioni, mentre dal 2000 in poi pagando un terzo di una pensione, di pensioni ne ha potute comunque prendere addirittura 2, per effetto di un’interpretazione di comodo, o, meglio, grazie ad una furbesca invenzione giuridica frutto di un accordo trasversale e bipartisan tra i vari partiti.
Presidente Renzi, perché, a differenza di quanto avviene per l’ormai famigerato ed ultra noto art. 18 in tema di licenziamento per giusta causa da un’azienda, non parla mai dell’art. 31 dello Statuto dei lavoratori, visti i disastrosi effetti che questa assurda e furbesca invenzione ha avuto sinora nel bilancio dello Stato e di enti previdenziali come l’Inps e l’Inpgi? E perché non interviene subito con un decreto-legge che rimetta le cose finalmente al loro posto?
Eppure l’art. 31 dello Statuto dei lavoratori, in linea di principio, era stato correttamente congegnato proprio per garantire a tutti i cittadini dipendenti pubblici (magistrati, avvocati dello Stato, dirigenti pubblici, professori universitari, ambasciatori, ammiragli, generali, militari, carabinieri, poliziotti, medici ospedalieri, insegnanti, ferrovieri, ecc.) o dipendenti privati (manager e quadri d’azienda, bancari, piloti, telefonici, sindacalisti, ecc. e persino giornalisti), una volta eletti deputati, senatori, consiglieri o presidenti di Regione, sindaci di grandi città (poi il beneficio é stato esteso anche ai deputati del Parlamento europeo) di mettersi in aspettativa e di poter conservare il precedente posto di lavoro fino al termine del mandato, mantenendo anche un’adeguata copertura previdenziale.
In pratica, se un lavoratore dipendente pubblico o privato viene eletto deputato, il suo posto di lavoro, finché resterà in carica come onorevole, potrà essere preso temporaneamente da un altro lavoratore. In questo periodo l’azienda pagherà solo quest’ultimo, compresi i contributi previdenziali. Ma una volta cessato l’incarico a Montecitorio l’ex deputato potrà tranquillamente tornare al suo vecchio posto di lavoro in azienda, mentre il suo sostituto dovrà andarsene. Per tutto questo periodo all’ex onorevole dovrà anche essere assicurata dallo Stato la precedente copertura previdenziale senza alcun buco contributivo.
Fin qui non ci si potrebbe scandalizzare e allo scomparso professor Giugni non si potrebbe rimproverare nulla perchè leggendo e rileggendo l’art. 31, o imparandolo a memoria, tutti sono concordi nel ritenerla una disposizione assolutamente giusta, garantista e corretta, insomma un diritto sacrosanto di ogni cittadino.
Peraltro, come ha sancito la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 149 del 3 maggio 2002: “le garanzie costituzionali, per chi é chiamato a funzioni pubbliche elettive, sono quelle di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”, oltre che di potervi accedere in condizioni di eguaglianza (art. 51 della Costituzione), essendo rimesso alla discrezionalità legislativa (influenzabile anche da una valutazione degli interessi attinenti alla situazione economica generale), il trattamento economico e giuridico del lavoratore chiamato alle funzioni anzidette, con il vincolo, in ogni caso, derivante dalle predette garanzie costituzionali”.
Senonché c’é un trucco nascosto e, a conti fatti, tale norma di garanzia é stata abilmente manipolata e aggirata. Ma come è stato possibile? Ciò é stato dovuto ad una subdola interpretazione del termine “vitalizio”, che – in virtù della cosiddetta ”autodichia” ed autonomia assoluta dei bilanci di Montecitorio e di Palazzo Madama, che ha finora impedito sul nascere qualsiasi possibile controllo preventivo e a consuntivo da parte della Corte dei Conti – la Camera e il Senato hanno elargito alla fine del loro mandato anche agli ex deputati ed ex senatori che avevano mantenuto la doppia copertura previdenziale proprio grazie all’art. 31.
Ebbene, anch’essi hanno avuto diritto a tenersi il vitalizio in virtù, appunto, della stravagante interpretazione che il vitalizio non potesse essere considerato una pensione. Pertanto, se un deputato o un senatore, prima di essere eletto, aveva già una posizione previdenziale aperta a suo nome scattava automaticamente a suo favore un secondo trattamento pensionistico del tutto gratuito. E così in 44 anni migliaia di ex parlamentari hanno di fatto messo in tasca una sorta di doppia pensione pagata da “Pantalone”.
Nel 1999, però, sull’onda di una campagna giornalistica di un noto quotidiano del Nord, diretto da Vittorio Feltri, che sollecitava un’immediata correzione della legge, vi è stata una modifica della normativa con l’introduzione dell’art. 38 della legge n. 488 (è la finanziaria per il 2000, Allegato 2): da allora se un deputato vuole incrementare i suoi contributi deve versare di tasca propria la quota di sua competenza (circa il 9%) come lavoratore subordinato. Resta, invece, a totale carico del rispettivo ente previdenziale (Inps, Inpgi, ecc.) la pesante quota (variabile dal 22% al 31%), che fino alla sua elezione veniva pagata dal datore di lavoro.
Parallelamente é aumentata anche la platea dei beneficiari dell’art. 31 che comprende anche tutti i dipendenti di enti pubblici eletti nei Consigli regionali, in base all’intervento di interpretazione autentica, operato con l’art. 22, comma 39, della legge 23 dicembre 1994 n. 724 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica).
Presidente Renzi, mi permetto, quindi, di avanzare una proposta di legge popolare molto semplice che, mi auguro, avrà il suo appoggio perché si attaglierebbe perfettamente sia alla formulazione letterale dell’art. 31 dello Statuto dei Lavoratori, sia alla spending review. Questa ne è in sintesi la sostanza: “I lavoratori eletti deputati o senatori (naturalmente lo stesso concetto dovrebbe valere per i consiglieri e presidenti di Regione, per i sindaci di grandi città e per gli eurodeputati, ndr) hanno diritto a mantenere il loro posto di lavoro per tutta la durata del mandato e a vedersi accreditare dalla Camera o dal Senato i contributi previdenziali originariamente versati dall’azienda presso cui lavoravano. Resta, tuttavia, a esclusivo carico del deputato e del senatore la quota di contributi già di sua spettanza come lavoratore, come prevede l’art. 38 della legge n. 488 del 1999. Deputati e senatori già iscritti ad enti previdenziali prima della loro elezione non hanno diritto di percepire alcun vitalizio da Camera o Senato. Resta, invece, il vitalizio di Camera o Senato solo per quei parlamentari che prima della loro elezione non avevano già una posizione previdenziale aperta a loro nome”.
In sintesi, un qualsiasi lavoratore eletto deputato o senatore avrebbe diritto a mantenere il precedente posto di lavoro per tutta la durata del mandato parlamentare e a vedersi poi accreditare i contributi nello stesso identico modo in cui avveniva prima della sua elezione, cioé pagando la propria quota di competenza. Pertanto la Camera o il Senato dovrebbero semplicemente sostituirsi all’azienda per i contributi relativi alla sola parte datoriale, mentre il deputato o il senatore dovrebbe versare la sua quota di pertinenza così come già avveniva in precedenza. Ma senza più godere di alcun successivo e costoso vitalizio a spese di “Pantalone”.
Naturalmente lo stesso discorso dovrebbe valere per i consiglieri e presidenti di Regione, per i sindaci di grandi città e per gli eurodeputati. Ovviamente, questa normativa non potrebbe avere effetto retroattivo (anche se sarebbe giusto farlo), ma costituirebbe comunque un atto di buona volontà di Governo e Parlamento nei confronti dei cittadini e nessuno potrebbe più lamentarsi degli ingiustificati privilegi finora goduti da ex deputati ed ex senatori.
Peccato, però, che tra migliaia di disegni di legge presentati in questa legislatura a Montecitorio e a Palazzo Madama ve ne sono solo sette (quattro alla Camera e tre al Senato) che si occupano dei vitalizi soprattutto per ridurne l’importo o per escluderne l’erogazione da parte delle Regioni in caso di condanna in via definitiva per associazione per delinquere anche di tipo mafioso. Particolare curioso: a distanza di quasi tre mesi dalla sua presentazione il testo del progetto di legge del “grillino” Riccardo Nuti (n. C. 2409) per modificare vitalizi erogati dalle Regioni è ad oggi ignoto alla Camera. Nessuno, tranne il proponente, lo conosce.
Non vi è, però, alcuna proposta di legge che preveda espressamente l’abolizione della doppia pensione per i parlamentari. Viceversa, quattro anni fa ci aveva pensato l’ex Presidente del Consiglio, Enrico Letta, che fu il primo firmatario di un’apprezzabile e condivisibile proposta di legge per abolire i vitalizi dei parlamentari (Allegati 3 e 4). Ma il documento é rimasto lettera morta, restando chiuso nei cassetti di Montecitorio senza neppure essere stato mai esaminato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera e finendo così in un cestino.
Ci si attendeva poi che da premier l’onorevole Letta, coerentemente con quanto aveva ipotizzato il 21 dicembre 2010, ripresentasse questa sua proposta come iniziativa dell’Esecutivo e quindi con ben altra valenza, ma soprattutto con ottime chances di vederla trasformata in legge. Purtroppo, queste legittime aspettative dei cittadini sono andate completamente deluse. L’ex numero 1 di palazzo Chigi deve essere, evidentemente, rimasto suggestionato dalla lavata di capo fattagli in una lettera dell’aprile 2011 dal presidente dell’Associazione degli ex parlamentari, Gerardo Bianco, già segretario del Ppi (Allegato 5).
Coraggio, quindi, Presidente Renzi, provveda Lei a ripresentare la vecchia proposta di Enrico Letta n. 3981 con gli opportuni aggiustamenti, perché andava davvero nel segno giusto prevedendo, tra l’altro, l’abrogazione dell’istituto dell’assegno vitalizio e il divieto di accumulo del vitalizio con i contributi graziosamente elargiti da “Pantalone”. D’altronde con quale coraggio e con quali fondi si potrebbe oggi mantenere in piedi un sistema che continui a regalare vitalizi a gogò?
Pierluigi Roesler Franz
Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati
presso l’Associazione Stampa Romana
ALLEGATO 1 (Statuto dei lavoratori)
Legge 20 maggio 1970, n. 300 Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento. (Gazzetta Ufficiale n.131 del 27-5-1970 )
Art. 31 (Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali)
I lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o di assemblee regionali ovvero siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato. La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali.
I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a richiesta dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico della assicurazione generale obbligatoria di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modifiche ed integrazioni, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l’esonero.
Durante i periodi di aspettativa l’interessato, in caso di malattia, conserva il diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione delle prestazioni medesime. Le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma non si applicano qualora a favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di pensione e per malattia, in relazione all’attività espletata durante il periodo di aspettativa.
ALLEGATO 2 (La “leggina” del 1999 approvata per mettere una “pezza” all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori)
Legge 23 dicembre 1999, n. 488 in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27-12-1999 (Supplemento Ordinario n. 227). Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2000).
Art. 38 (Contributi pensionistici di lavoratori dipendenti che ricoprono cariche elettive e funzioni pubbliche)
1. I lavoratori dipendenti dei settori pubblico e privato, eletti membri del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo o di assemblea regionale ovvero nominati a ricoprire funzioni pubbliche, che in ragione dell’elezione o della nomina maturino il diritto ad un vitalizio o ad un incremento della pensione loro spettante, sono tenuti a corrispondere l’equivalente dei contributi pensionistici, nella misura prevista dalla legislazione vigente, per la quota a carico del lavoratore, relativamente al periodo di aspettativa non retribuita loro concessa per lo svolgimento del mandato elettivo o della funzione pubblica. Il versamento delle relative somme, che sono deducibili dal reddito complessivo risultando ricomprese tra gli oneri di cui all’articolo 10, comma 1, lettera e), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, deve essere effettuato alla amministrazione dell’organo elettivo o di quello di appartenenza in virtù della nomina, che provvederà a riversarle al fondo dell’ente previdenziale di appartenenza.
2. Le somme di cui al comma 1 sono dovute con riferimento ai contributi relativi ai ratei di pensione che maturano a decorrere dal 1° gennaio 2000.
3. I lavoratori dipendenti di cui al comma 1, qualora non intendano avvalersi della facoltà di accreditamento dei contributi di cui al comma 1 medesimo secondo le modalità previste dall’articolo 3 comma 3 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564 e successive modificazioni, non effettuano i versamenti relativi.
4. I soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 564 del 1996, che non hanno presentato la domanda di accredito della contribuzione figurativa per i periodi anteriori al 31 dicembre 1998 secondo le modalità previste dal comma 3, articolo 3, del decreto legislativo, 16 settembre 1996, n. 564 e successive modificazioni, possono esercitare tale facoltà entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
5. A decorrere dal 1o gennaio 2000 il diritto agli sgravi contributivi previsti all’articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978 n. 218 e successive modificazioni e integrazioni è riconosciuto alle aziende che operano nei territori individuati ai sensi dello stesso articolo come successivamente modificato e integrato che impiegano lavoratori anche non residenti per le attività dagli stessi effettivamente svolte nei predetti territori.
6. La disposizione di cui al comma 5, si applica anche ai periodi contributivi antecedenti il 1° gennaio 2000 e alle situazioni pendenti alla stessa data; sono fatte salve le maggiori contribuzioni già versate e le situazioni oggetto di sentenze passate in giudicato.
ALLEGATO 3 (E’ la proposta di legge finita nel cestino che l’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta presentò nel 2010 per abolire i vitalizi dei parlamentari
Dal sito: http://leg16.camera.it/camera/browse/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=16&codice=16PDL0054320&back_to=http://leg16.camera.it/126?tab=2-e-leg=16-e-idDocumento=3981&sede=&tipo=
XVI LEGISLATURA CAMERA DEI DEPUTATI N. 3981
Proposta di legge d’iniziativa dei deputati Letta, Boccia, Dal Moro, De Micheli, Garavini, Mazzarella, Mosca, Vaccaro. Nuove disposizioni concernenti il trattamento pensionistico dei parlamentari. Presentata il 21 dicembre 2010: “Onorevoli Colleghi! L’odierno quadro demografico, caratterizzato da un rilevante incremento della speranza di vita alla nascita e da un ridotto tasso di fertilità, ha imposto negli ultimi quindici anni importanti riforme della previdenza obbligatoria, che hanno profondamente inciso sulla disciplina previgente. La riforma adottata con la legge 8 agosto 1995, n. 335, e poi a più riprese modificata, ha comportato il ridimensionamento dei trattamenti pensionistici e la decisa tendenza verso l’elevazione dei requisiti anagrafici e contributivi per il pensionamento, ponendo a proprio fondamento il principio dell’equità attuariale tra contributi versati nel corso della vita attiva e trattamento pensionistico.
La legge 24 dicembre 2007, n. 247, ha tra l’altro previsto, in ossequio al principio dell’equità attuariale e in considerazione della maggiore frammentarietà delle moderne carriere lavorative, la cumulabilità dei periodi contributivi afferenti a diverse forme di previdenza obbligatoria (cumulabilità piena per i lavoratori soggetti al solo sistema contributivo e solo in parte limitata per i restanti lavoratori).
Sforzo del disegno di riforma perseguito negli ultimi anni è stato inoltre quello di procedere verso una progressiva armonizzazione dei trattamenti, eliminando le situazioni di favore verso alcune categorie precedentemente determinate da una normativa stratificata e disomogenea.
In questo quadro l’attuale regolazione dell’assegno vitalizio di cui fruiscono i parlamentari si configura – per la sproporzione tra contributi versati e trattamenti percepiti e per l’età anticipata alla quale è possibile accedere ai suddetti trattamenti – come un vero e proprio privilegio, la cui conservazione sarebbe particolarmente odiosa agli occhi dell’opinione pubblica.
La presente proposta di legge intende, al contrario, garantire ai cittadini che svolgono il mandato parlamentare, e solo per il periodo del mandato, un trattamento in tutto e per tutto analogo a quello che gli altri cittadini si vedono riconosciuto in relazione ai propri periodi di lavoro. Il parlamentare non verrebbe in questo modo favorito (come invece accade con la normativa vigente), né danneggiato (cosa che potrebbe disincentivare l’impegno in politica di particolari categorie di soggetti, con detrimento per la democrazia).
La normativa proposta estende quindi ai periodi di esercizio del mandato parlamentare l’applicazione delle norme generali che disciplinano il sistema pensionistico obbligatorio, assimilando tali periodi, ai soli fini pensionistici, ai periodi di esercizio di attività di lavoro subordinato. Tali periodi saranno pienamente ricongiungibili con gli altri periodi di contribuzione.
Si prevede, infine, la possibilità per gli Uffici di presidenza delle due Camere di istituire un fondo di previdenza complementare a capitalizzazione, alimentato unicamente dai contributi volontari dei parlamentari e con esclusione di ogni onere a carico del bilancio dello Stato.
Quanto agli odierni assegni vitalizi che, com’è noto, gli Uffici di presidenza delle due Camere hanno disciplinato in assenza di un’idonea regolazione di legge, la presente proposta di legge ne fa venire meno il presupposto e ne prevede la soppressione.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1 (Trattamento pensionistico dei periodi di esercizio del mandato parlamentare)
1. Il trattamento pensionistico dei periodi di esercizio del mandato parlamentare è regolato dalle norme generali che disciplinano il sistema pensionistico obbligatorio dei lavoratori dipendenti e autonomi contenute nella legge 8 agosto 1995, n. 335.
2. Ai fini pensionistici, l’esercizio del mandato parlamentare è assimilato ad attività di lavoro dipendente.
3. È considerata retribuzione pensionabile ai fini dell’applicazione dell’aliquota contributiva, nonché del calcolo del trattamento pensionistico, l’indennità annua spettante ai parlamentari a norma dell’articolo 69 della Costituzione, stabilita ai sensi della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, e rideterminata dall’articolo 1, comma 52, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
4. Gli uffici di Presidenza della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, dispongono la soppressione di ogni forma di assegno vitalizio per i parlamentari.
Art. 2 (Totalizzazione dei periodi assicurativi e cumulo tra pensione e redditi da lavoro)
1. Ai periodi assicurativi relativi all’esercizio del mandato parlamentare si applicano le disposizioni generali in materia di totalizzazione di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, nonché le norme in materia di cumulo di cui all’articolo 72 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, estese ai sensi dell’articolo 44 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
2. È fatta salva per il parlamentare la possibilità di optare per la contribuzione figurativa relativa all’attività di lavoro dipendente dalla quale è collocate in aspettativa in ragione dell’elezione al Parlamento. Si applicano in tale caso le norme di cui all’articolo 31 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e all’articolo 38 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni.
3. È comunque fatto divieto di cumulare, ai fini del calcolo della pensione, i contributi versati in relazione al periodo di esercizio del mandato parlamentare con altri contributi relativi al medesimo periodo.
Art. 3 (Gestione della previdenza obbligatoria dei parlamentari)
1. La gestione della previdenza obbligatoria dei parlamentari è affidata all’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) nell’ambito del fondo pensioni lavoratori dipendenti. Gli Uffici di presidenza delle due Camere possono deliberare di avvalersi dell’Inps per la corresponsione degli assegni già maturati in relazione ai periodi di esercizio del mandato parlamentare precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge. A tale scopo i medesimi Uffici di presidenza provvedono a fornire all’Inps tutte le informazioni necessarie e a rimborsarlo annualmente dei pagamenti da esso effettuati in relazione ai citati assegni.
2. Gli Uffici di presidenza delle due Camere sono tenuti, nei confronti dell’Inps, agli adempimenti previsti per i sostituti d’imposta dei lavoratori dipendenti.
Art. 4 (Previdenza complementare)
1. Gli Uffici di presidenza delle due Camere possono prevedere l’istituzione di un fondo di previdenza complementare a capitalizzazione, alimentato unicamente dai contributi volontari dei parlamentari, con esclusione di ogni onere a carico del bilancio dello Stato.
Art. 5 (Entrata in vigore)
1. La presente legge si applica a decorrere dalla XVII legislatura.
ALLEGATO 4 (La spiegazione di Enrico Letta per l’abolizione dei vitalizi. Ma solo a parole, perché nei fatti la sua idea è finita nel cestino e lì è rimasta)
Pubblicato il 24 ottobre 2011 in Proposte http://www.enricoletta.it/proposte/abolizione-vitalizi-parlamentari-la-proposta-di-legge/. Si chiama “Nuove disposizioni concernenti il trattamento pensionistico dei parlamentari”, ed è una proposta di legge n. 3981 depositata alla Camera il 21 dicembre 2010, primo firmatario Enrico Letta, cofirmatari i parlamentari Francesco Boccia, Gianni Dal Moro, Paola De Micheli, Laura Garavini, Eugenio Mazzarella, Alessia Mosca e Guglielmo Vaccaro, cliccare su: http://leg16.camera.it/camera/browse/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=16&codice=16PDL0054320&back_to=http://leg16.camera.it/126?tab=2-e-leg=16-e-idDocumento=3981&sede=&tipo=
Nell’ambito di una riorganizzazione del sistema pensionistico dei parlamentari, il testo presentato propone il suo inserimento all’interno delle norme generali che disciplinano il sistema pensionistico obbligatorio dei lavoratori dipendenti ed autonomi, prevedendo un cumulo tra pensione e redditi da lavoro evitando l’accumulo dei contributi versati durante il mandato ad contributi “altri”, relativi allo stesso periodo. La proposta – avanzata da Enrico già in occasione della campagna per le primarie del 2007 – prevede quindi l’abrogazione dell’istituto dell’assegno vitalizio, perché è giusto che la politica venga retribuita ma non è giusto che lasci privilegi per tutta la vita.
Si tratta di una risposta non demagogica alle esigenze di sobrietà ed equità poste dalla difficile situazione che viviamo in questo periodo e alle richieste di riforma e di sblocco che i più diversi livelli della società, dalla gente ‘normale’ alle associazioni nazionali e istituzionali, fino al presidente Napolitano, avanzano all’unisono, ormai da qualche tempo, alla classe politica.
Vale la pena di segnalare, a questo proposito, la legge regionale n. 13 emanata dall’Emilia Romagna, voluta fortemente da Matteo Richetti, Presidente dell’Assemblea legislativa e approvata dal Parlamento regionale il 23 dicembre 2010, negli stessi giorni in cui la proposta di legge nazionale veniva depositata. Nell’articolo 5 si prevede proprio l’abrogazione dell’istituto dell’assegno vitalizio regionale, a partire dal 1 gennaio 2011.
Affrontare la riforma del sistema pensionistico parlamentare proprio nel pieno della crisi potrebbe essere un passo importante anche verso l’abbassamento dei toni nello scontro tra politica e gente “normale”, che percepisce sempre più l’istituzione parlamentare come una “casta” fatta di privilegi, portando a ridurre la distanza e la sfiducia verso il Parlamento e contribuendo a riaprire un dialogo costruttivo con tutti coloro che stanno aspettando di ritornare ad una Politica, con l’iniziale maiuscola.
ALLEGATO 5 (ItaliaOggi, numero 84 pag. 2 del 9 aprile 2011 “Pd, lavata di capo di Gerardo Bianco a Enrico Letta che vuol abolire il vitalizio” di Franco Adriano
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1709350&codiciTestate=1)
Caro Enrico, sono davvero curioso di leggere la relazione che accompagnerà il tuo preannunciato progetto di legge sull’abolizione del vitalizio parlamentare e sulla regolamentazione delle primarie nella vita dei partiti”. Appartengono allo stesso partito, il Pd, eppure il presidente dell’Associazione degli ex parlamentari, Gerardo Bianco, già segretario del Ppi da cui proviene anche Enrico Letta, non si è trattenuto dal fargli un clamoroso liscio e busso finora rimasto riservato.
La lettera risale a tre giorni fa ed ora è stata pubblicata anche sul sito internet dell’associazione. “In verità, mi è parsa abbastanza balzana l’idea di abbinare i due argomenti”, attacca Bianco, “ma, a pensarci bene, forse un nesso c’è, ed è quello di concepire la nostra democrazia come un sistema politico per ricchi!”. All’anziano leader democristiano non interessa tanto l’argomento delle primarie per le quali “non inganni la prima esperienza prodiana di offerta dell’obolo da parte dei votanti; la seconda ha già dimostrato che occorrono parecchie risorse economiche”. E se diventassero obbligatorie per legge “saranno solo i paperoni o le loro «marionette» a giocarsi la partita”. Ma è sul vitalizio che Bianco è sbottato: «Mi verrebbe da dire, tu quoque Henrice nella giostra del qualunquismo nostrano, senza un minimo di riflessione”.
Nella sua lunga lettera, Jerry White spiega a Letta che il riconoscimento della indennità ai parlamentari ha la sua origine (“antica, e a.C.”) nel principio che tutti i cittadini possano accedere alla massima carica elettiva (“ricchi o poveri che siano”). È una “garanzia” per evitare anche per il dopo mandato “la subordinazione ai corposi interessi di lobbies”. “Da seniores”, conclude Bianco, “potremmo, forse, offrire qualche utile suggerimento come abbiamo da tempo proposto, ma ci basta, comunque, che venga rispettata la nostra storia che, prima o poi, sarà anche la vostra, di persone che hanno inteso servire con passione l’Italia e non inseguire «privilegi» che tali non sono”.