TARANTO – Clemente Salvaggio, per tutti Dino, tanto che con l’amico-concorrente Dino Lopane (che di nome per l’anagrafe faceva Garibaldi, ma a differenza di Salvaggio si è sempre e solo firmato Dino), quando scrivevano corsivi o elzeviri si firmavano Dino Primo (Salvaggio) e Dino Secondo (Lopane), ci ha lasciati quest’oggi, ad 88 anni, compiuti il 3 maggio.
Era l’ultimo dei grandi di un giornalismo di provincia eroico, tramontato da tempo. Il giornalismo delle lunghe gavette, quando però, se resistevi abbastanza a lungo, l’assunzione era sicura; il giornalismo della macchina per scrivere, del cronista in giro per la città con le tasche piene di gettoni per poter telefonare in redazione dai telefoni pubblici della Sip, dei pezzi dettati allo stenografo (poi evolutosi in dimafonista), delle giornate che magari cominciavano tardi, ma che si concludevano a notte fatta, alle due, le tre… il giornalismo di provincia, con la telescrivente dell’Ansa che batteva poche notizie, ma erano quelle essenziali, verificate, e che anche il quotidiano locale doveva pubblicare, rielaborandole, perché i quotidiani nazionali arrivavano tardi nelle città periferiche, al Sud, e i lettori i giornali li compravano al mattino presto, prima di andare in fabbrica o di raggiungere i più svariati posti di lavoro, con mezzi pubblici o privati, e le edicole aprivano alle cinque del mattino, e il quotidiano locale godeva così di molte ore di vantaggio, di monopolio, quasi, rispetto ai più blasonati e venduti fratelli maggiori. E il lettore di provincia voleva un quotidiano omnibus, come si direbbe con voce dotta: con la politica nazionale, gli esteri, la politica e la cronaca locali, lo sport e lo spettacolo, nazionali, locali e persino di quartiere.
Un mix difficilissimo ed impegnativo, ma con tempi più distesi, che consentivano di ragionare e riflettere (e di verificare). Il giornalismo anche un po’ retorico dei freschi inchiostri all’alba, col redattore che, prima di rincasare, infreddolito e stanco, verso le due, le tre del mattino, passava comunque in tipografia per prendere una copia ancora umida del giornale, che gli avrebbe immancabilmente macchiato le dita.
Non c’erano rassegne stampa in tv: il giornale, chiuso in tipografia a tarda notte, quando raggiungeva le edicole era ancora nuovo, non sembrava sorpassato; ed era nuovo fino a sera, perché anche l’informazione radiotelevisiva, negli anni del monopolio Rai, non era certo “h 24”, e di spazio all’informazione locale, salvo per i capoluoghi regionali, ne dava pochissimo. In questo tipo di giornalismo locale si era formato Dino Salvaggio, classe 1934, che aveva optato abbastanza presto per il giornalismo sportivo, nel quale era nato, diventando il capo (i suoi redattori e collaboratori quell’iniziale la pronunziavano maiuscola…) dei servizi sportivi del Corriere del Giorno, il giornale tarantino per antonomasia: fondato nel 1947, fu fino al 1979, quando il mondo (anche dell’editoria e della comunicazione) era ormai molto cambiato, quasi stravolto, l’unico quotidiano del Mezzogiorno continentale che si pubblicasse al di fuori di Napoli e Bari.
Salvaggio, che già si era fatto un nome nel settimanale Mercoledì Sport e come corrispondente di quotidiani del centro-nord, vi approdò nel 1961, dapprima come cronista di giudiziaria, poi subito, nuovamente allo sport.
Pioniere dell’emittenza radiofonica e televisiva libera (si chiamava ancora così, non “commerciale”), Salvaggio, forte di una consolidata professionalità e di un forte prestigio, fondò nel 1975 la prima tv libera tarantina, Tv Taranto, ed animò in seguito negli anni ’70, sempre restando una colonna del Corriere del Giorno, numerosi programmi e trasmissioni tv. Ma, pur aperto alla “novità” dell’emittenza, il suo vero, grande amore restava la carta stampata.
Giornalista professionista dal 1° settembre 1962, dopo averne guidato a lungo la redazione sportiva, ed essere stato redattore capo e vicedirettore, assunse la direzione dello storico quotidiano tarantino, che resse in anni difficili ma anche ricchi di aperture al nuovo, dal 1991 fino al 2004 della pensione, quando gli subentrò Antonio Biella. Continuò a scrivere, come Dino Primo, e seguì le sorti del suo Corriere con partecipazione ed apprensione, fino alla scomparsa del giornale, nel 2014.
Quando una delle tante crisi che hanno contrassegnato la vita tormentata del Corriere del Giorno portò alla sua temporanea assenza dalle edicole, Salvaggio fu tra i promotori della cooperativa 19 luglio che fece risorgere il giornale.
Aveva rivestito anche incarichi nell’Ordine dei Giornalisti di Puglia e Basilicata: più volte consigliere, era stato anche tesoriere dell’Ordine. Aveva fatto parte del Comitato di redazione del Corriere del Giorno, del collegio sindacale dell’Assostampa allora di Puglia e Basilicata e del direttivo regionale dell’Ussi, Unione sportiva stampa italiana.
Nato a Livorno, ma vissuto sempre a Taranto perché nel ’34, anno della sua nascita, la famiglia si trasferì nel capoluogo jonico, iniziò giovanissimo a scrivere di sport come corrispondente del Resto del Carlino, poi per periodici e quotidiani, locali e nazionali: Mercoledì Sport, Football, Il Messaggero, il Corriere dello Sport, il Guerin Sportivo, la Gazzetta dello Sport (della quale fu corrispondente da Taranto dal 1973 al 1997).
Di formazione cattolica, impegnato – come ricorda il suo collaboratore ed amico fin dagli anni ’40 Vittorio Costa (un altro mito dello sport tarantino e della pubblicistica sportiva tarantina) – da studente liceale nelle manifestazioni per Trieste italiana, era stato anche uno dei protagonisti della Goliardia tarantina, fino a diventarne priore: uno dei pochissimi di area cattolica, perché l’Ordine del Santo Stato era a forte prevalenza laica.
Lucidissimo, informato – ci eravamo sentiti qualche mese fa, avrei dovuto chiamarlo in questi giorni perché era in predicato (svelo un segreto ormai vano) di ricevere dal Panathlon Taranto Principato il primo premio per il giornalismo sportivo: non ho fatto in tempo… era rimasto un innamorato di Taranto e della squadra del Taranto, così come di tutto lo sport, per la verità, e della professione, della quale osservava con tristezza il decadimento.
Ciao Dino, ultimo dei nostri grandi dinosauri. Adesso, non fosse che per onor di firma, in primissima linea ci siamo noi. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino