ROMA – La sanzione sarà pure stata lieve, ma il fatto stesso che un giornalista abbia subito una condanna in sede penale rende lo Stato responsabile per violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che garantisce il diritto alla libertà di espressione. Questo anche in considerazione del fatto che una sanzione penale ha in sé un effetto dissuasivo sulla libertà di stampa, che non viene meno malgrado la lieve entità della sanzione pecuniaria.
È ancora una volta la Corte europea dei diritti dell’uomo a rafforzare la tutela dei giornalisti con la sentenza De Carolis e altri contro Francia, condannata da Strasburgo (AFFAIRE DE CAROLIS ET FRANCE TELEVISIONS c. FRANCE).
È stato il presidente di France 3, diventata poi France Télévision, insieme a 3 giornalisti, a rivolgersi a Strasburgo dopo essere stati condannati per diffamazione a seguito della denuncia del Principe saudita Turki Al Faisal. Quest’ultimo riteneva di essere stato diffamato per un reportage sull’11 settembre 2001 in cui i familiari delle vittime lamentavano i ritardi nelle inchieste giudiziarie in cui erano coinvolti alcuni sauditi da loro accusati di aver finanziato al Qaida. Il principe era accusato di aver aiutato i talebani quando era capo del servizio di sicurezza saudita. I giudici francesi avevano accolto la sua domanda e condannato i giornalisti. Una conclusione in violazione della Convenzione europea, per Strasburgo.
È vero che l’ingerenza nel diritto alla libertà di stampa era previsto dalla legge ma non era necessaria in una società democratica anche tenendo conto che nei casi in cui il giornalista riporta fatti di interesse pubblico, per di più relativi a personaggi pubblici, il margine di apprezzamento dello Stato è “particolarmente limitato”. Non solo.
La Corte è netta nello sbarrare la strada ai giudici nazionali che non possono certo sostituirsi alla stampa, scritta o televisiva, per decidere quale tecnica di resoconto i giornalisti devono adottare. Tra l’altro, nel caso di specie, i reporter avevano riportato fatti, espresso dei giudici di valore con una base fattuale sufficiente, usato varie volte il condizionale, invitato gli avvocati del principe e indicato quest’ultimo come presunto sostenitore di Osama bin Laden.
Accortezze sufficienti a garantire il rispetto delle regole deontologiche del giornalismo. Detto questo, però, non si può certo chiedere al giornalista “di prendere sistematicamente e formalmente le distanze dal contenuto di una dichiarazione che potrebbe offendere terzi”.
Tra l’altro, per la Corte, anche se l’entità della sanzione è stata limitata a 1.000 euro per i danni materiali e a un euro per quelli morali, il fatto che i giornalisti abbiano subito una condanna in sede civile e penale rende la sanzione sproporzionata perché la misura penale ha un effetto deterrente sulla libertà di stampa con inevitabile violazione della Convenzione.
Marina Castellaneta *
* Professore associato di diritto internazionale nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bari (laurea Magistrale in Giurisprudenza d’impresa). Insegna anche organizzazione internazionale presso la stessa Facoltà ed è titolare dell’insegnamento di istituzioni e politiche dell’Unione europea nel Master in giornalismo organizzato dall’Università degli Studi di Bari e dall’Ordine dei giornalisti di Puglia.
Giornalista pubblicista, collabora abitualmente con il quotidiano “Il Sole 24 ore”. Avvocato, è collaboratore del settimanale giuridico “Guida al diritto” e del mensile “Famiglia e minori”.