ROMA – Convalidate dalla Cassazione le cosiddette “tabelle milanesi” per calcolare il risarcimento del danno morale e relazionale da diffamazione a mezzo stampa, online, radio e tv. Un giornalista rischia di pagare da mille a più di 50 mila euro.
Da parecchi decenni, nonostante fiumi d’inchiostro e centinaia di proposte di legge, il Parlamento italiano non è ancora riuscito a varare una radicale riforma della normativa sulla diffamazione a mezzo stampa, online, radio e tv e sulle relative liti e querele temerarie.
Per la verità solo nella 17ª legislatura si arrivò quasi al traguardo, ma alla fine – e addirittura in quarta lettura – non si fece più in tempo a votarla per lo scioglimento delle Camere. In pratica tutto il materiale raccolto è finito così nel cestino senza sostanziali passi in avanti e quelle dei politici si sono rivelate promesse da marinaio senza sostanziali passi in avanti.
Anche nell’attuale legislatura la riforma sembra essersi di nuovo stranamente impantanata, visto che i cinque discutibili e lacunosi disegni di legge, presentati al Senato sia dalla maggioranza, sia dall’opposizione con centinaia di modifiche contenute in altrettanti emendamenti al testo base S. 466 presentato da 21 senatori di Fratelli d’Italia, primo firmatario il senatore Alberto Balboni, non vengono più esaminati da oltre sei mesi dalla Commissione Giustizia, presieduta dall’avvocato Giulia Bongiorno (Lega). L’ultima seduta in cui si è discusso l’argomento a Palazzo Madama risale infatti al 14 maggio scorso.
Eppure, si tratta di una questione che, oltre a preoccupare seriamente la categoria giornalistica, è di vitale importanza in una democrazia e dovrebbe essere, invece, affrontata con assoluta priorità e risolta in poco tempo con saggezza, intelligenza, buon senso, equità ed equilibrio senza più rinvii alle “calende greche” od esami “a singhiozzo” al fine di arrivare al più presto ad una conclusione ampiamente condivisa da tutti i cittadini.
Tuttavia, parallelamente all’inammissibile letargo del Parlamento sull’argomento, la magistratura, anche se a rilento e nonostante la sua cronica tempistica procedurale a passo di lumaca, procede, invece, imperterrita, come se nulla fosse, nel suo inesorabile cammino, e finisce addirittura per sostituirsi di fatto alle Camere senza minimamente tenere conto delle possibili imminenti iniziative del Senato sulla riforma della diffamazione e delle querele temerarie da diffamazione o di liti con richieste di risarcimenti astronomici per presunta lesione dell’onore e della reputazione di una o più persone.
Insomma, attraverso le loro decisioni i supremi giudici, grazie al cosiddetto “diritto vivente” che viene oggi riconosciuto quando – come in questo caso – la giurisprudenza è univoca, finiscono di fatto per dettare legge, praticamente alla pari del Parlamento sulla delicatissima e complessa materia.
Lo dimostra la “storica” ed innovativa sentenza emessa 40 anni fa dalla prima sezione civile Cassazione (è la n. 5259 del 18 ottobre 1984), che ebbe un notevole risalto sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e meglio conosciuta come il “decalogo” della Suprema Corte sulla diffamazione proprio perché ne rappresentò la svolta, in quanto, pur in assenza di precise norme di legge, spalancò le porte al giudizio civile di risarcimento danni a prescindere dalla presentazione entro 90 giorni in base alla legge sulla stampa del 1948 di una querela in sede penale nei confronti del presunto diffamatore. Infatti, in quell’occasione i supremi giudici ritennero che in tal caso fosse ugualmente possibile intentare una vertenza civile di risarcimento danni contro chi avesse denigrato l’onore e la reputazione altrui senza dover prima attendere l’esito del processo penale come avveniva fino ad allora.
In pratica, fu una vera e propria rivoluzione di cui si sono poi visti i disastrosi risultati: da 40 anni ad oggi nei tribunali si é registrato il graduale crollo delle querele in sede penale sostituito dall’aumento esponenziale delle vertenze civili per risarcimento da diffamazione, molte delle quali, però, temerarie perché accompagnate da richieste astronomiche per danni al fine mirato di imbavagliare la libertà di stampa.
Da allora ciò ha, purtroppo, comportato sia la moltiplicazione delle vertenze con l’automatica applicazione anche delle tempistiche sulla prescrizione ordinaria prevista dal codice civile (si va da un minimo di 5 anni ad addirittura 10 anni dalla pubblicazione della notizia o dell’articolo ritenuto diffamatorio senza più tener conto dei 90 giorni prescritti, invece, dalla legge n. 47 del 1948!), sia la proliferazione di liti temerarie con richieste di risarcimenti astronomici per complessive centinaia di milioni di euro (già alla fine degli Anni Novanta fu calcolato in ben 3.500 miliardi di vecchie lire l’ammontare delle richieste di indennizzo da diffamazione avanzate dalle parti lese ai tribunali civili di tutta Italia).
Ma lo prova anche la sentenza della Terza Sezione Civile della Cassazione n. 17738 del 27 giugno 2024, secondo cui la sanzione pecuniaria, prevista dall’art. 12 della legge n. 47 del 1948, in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, si aggiunge senza sostituirsi al risarcimento del danno causato dall’illecito diffamatorio, e presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione.
Pertanto, tale sanzione pecuniaria non può essere comminata dal giudice nei confronti di una società editrice, né del direttore responsabile se la sua responsabilità sia dichiarata per omesso controllo colposo della pubblicazione. Al direttore responsabile può essere, invece, inflitta la sanzione pecuniaria esclusivamente se la sua responsabilità sia stata dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione.
Sul punto la Cassazione penale con la sentenza n. 862 del 12 gennaio 2023, ha tenuto a precisare che «in tema di diffamazione a mezzo stampa non è applicabile l’istituto della riparazione pecuniaria, previsto dall’art. 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, al direttore del giornale che sia dichiarato responsabile del delitto di omesso controllo colposo della pubblicazione, ai sensi dell’art. 57 del codice penale, in quanto l’irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce una sanzione civile che consegue al reato di diffamazione, dei cui elementi costitutivi presuppone l’accertamento».
In ogni caso sempre in riferimento alla diffamazione a mezzo stampa «la persona offesa dal reato può comunque richiedere, a norma dell’art. 12 della legge n. 47 del 1948, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 codice penale, comprensivo sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, una somma a titolo di riparazione che non rientra nel risarcimento del danno, né costituisce una duplicazione delle voci di danno risarcibile, ma integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato».
A riprova di tutto ciò si segnala un’ulteriore ma rilevante novità, cioè la liquidazione del danno da diffamazione con l’applicazione alla lettera delle cosiddette “tabelle milanesi”. Se ne è parlato in Sicilia il 19 novembre scorso nell’Aula Magna “Saetta e Livatino” del Palazzo di Giustizia di Caltanissetta nell’interessante incontro di studio su “La responsabilità civile: tipologie di danno, criteri di liquidazione ed evoluzione giurisprudenziale” con qualificati interventi di magistrati, docenti universitari, avvocati e studiosi della materia.
Infatti, con la recente ordinanza n. 29222 del 12 novembre 2024, la terza sezione civile della Cassazione, richiamando altre sue precedenti e univoche decisioni civili (n. 3178 del 2 febbraio 2024 e n. 18217 del 26 giugno 2023) e penali (n. 17161 del 24 aprile 2024) emesse nello stesso “Palazzaccio” di piazza Cavour, ha convalidato la liquidazione del danno da diffamazione con l’applicazione delle cosiddette “tabelle milanesi”, che hanno quindi sostanzialmente acquistato una piena validità giuridica in tutta Italia.
Queste “tabelle” sono state predisposte nel 2018 dal tribunale civile di Milano, in base ai criteri dettati dall’Osservatorio sulla giustizia civile del capoluogo lombardo, per determinare il danno non patrimoniale, cioè il “danno morale e quello relazionale”, da liquidare in favore di una o più persone ritenute diffamate da una notizia o da un articolo ritenuto denigratorio. E per effetto di queste decisioni della Suprema Corte interpretativa del diritto in Italia le cosiddette “tabelle milanesi” si sono di fatto trasformate così quasi per magia in “tabelle nazionali” valide nel nostro Paese alla pari di una qualsiasi legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
Insomma, la diffamazione a mezzo stampa può quindi dare origine in termini monetari a pesanti indennizzi a ristoro “del danno morale e di quello relazionale” che, a seconda della gravità dei casi, può variare da un minimo di mille euro ad un massimo che può persino superare i 50 mila euro. Ma c’è anche il rischio di una rivalutazione monetaria di questi importi tenendo conto che essi risalgono al 2018.
Queste somme vanno naturalmente ad aggiungersi, come spiegato prima, alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 12 della legge sulla stampa del 1948, ma anche alle probabili sanzioni pecuniarie che vorrebbe introdurre il Senato anche se appaiono in aperto contrasto con numerose sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che a senso unico le ritiene illegittime in quanto spropositate. Tali sanzioni previste in caso di condanna del diffamatore in sede penale vanno versate alla Cassa delle Ammende (cioé allo Stato).
Tornando alle “tabelle milanesi” va sottolineato che esse sono state redatte ad insaputa della quasi totalità dei giornalisti, che, in perfetta buona fede, ne ignorano tuttora l’esistenza, nonché i loro rilevanti effetti e soprattutto le pesantissime conseguenze economiche che possono riflettersi automaticamente non solo su blog e siti internet, ma anche sulle casse di grandi, medie e piccole imprese che editano testate giornalistiche cartacee, radio tv e online.
Vediamo ora in dettaglio che prevedono le “tabelle milanesi” e in che modo verrebbe monetizzato quasi il danno da diffamazione con meccanismi che ci ricordano vagamente i metodi di valutazione automatica del grado di invalidità permanente di un infortunio fisico utilizzati dalle compagnie di assicurazione per attribuire il grado di invalidità permanente di un infortunio fisico e per quantificare l’entità del risarcimento.
In pratica, una volta accertata la natura diffamatoria di una notizia o di un articolo, il giudice deve riconoscere a chi è stato diffamato il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti nella “forma della sofferenza soggettiva causata dall’ingiusta lesione del diritto inviolabile inerente alla dignità, immagine e reputazione della persona ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione”.
Il danno non patrimoniale può essere risarcito nei soli casi previsti dalla legge, che si dividono in due gruppi, cioè quando la risarcibilità:
a) è prevista in modo espresso (ad esempio, nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato);
b) pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata all’art. 2059 del codice civile, per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione.
Pertanto, la lesione di uno o più diritti della personalità (onore, reputazione, immagine, identità personale, etc.) fa sorgere in favore dell’offeso il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato, sicché, ai fini risarcitori, è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa. Ma deve essere comunque provato, essendo conseguente ad un effettivo pregiudizio (non biologico) subito.
Altrimenti il risarcimento con funzione essenzialmente sanzionatoria e punitiva della mera condotta in contrasto con il vigente ordinamento sarebbe illegittimo e quindi non dovuto.
I danni non patrimoniali, invece, vengono per lo più riconosciuti sotto il profilo del danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore (turbamento, disagio, imbarazzo, ancorché transitorio) patita a seguito della diffusione dello scritto diffamatorio. In questo caso, la prova del danno, si risolve nella dimostrazione di due condizioni, cioè l’esistenza di un fatto produttivo di conseguenze pregiudizievoli e l’idoneità del medesimo ad ingenerare una ripercussione “dolorosa” nella sfera personale del soggetto leso.
Quanto alla loro concreta liquidazione, i danni non patrimoniali possono essere liquidati in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile e nella loro unitarietà, evitando duplicazioni di voci.
Come sempre, tale liquidazione equitativa non può essere contestata in Cassazione, sempreché «i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto».
L’importante questione è stata al centro dell’attenzione dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano (si tratta di quello stesso Organismo che, periodicamente, mette a punto le ben note tabelle per il risarcimento del danno biologico).
Contestualmente alla pubblicazione delle tabelle 2018, l’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha pubblicato anche un lavoro organico che, per la prima volta, ha preso in considerazione i criteri per il risarcimento del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa.
Il lavoro dell’Osservatorio milanese ha inteso razionalizzare la copiosa giurisprudenza sul danno da diffamazione e ha mirato ad individuare, con un certo grado di oggettività, gli aspetti da valutare e i parametri in base ai quali misurare l’importo di tale danno.
Il risultato di questa attività, cioé questa sorta di impropria “monetizzazione”, è racchiuso in uno schema suddiviso in cinque diversi scaglioni, che differenziano i vari casi di diffamazione a seconda del contesto in cui avviene e in relazione a vari fattori.
In base a tale schema la diffamazione a mezzo stampa può dare origine a un danno risarcibile per un valore che, come detto, può variare da un minimo di 1.000 ad un massimo di oltre 50.000 euro, a seconda della gravità della situazione.
Con riguardo all’individuazione degli indici applicati per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, solitamente vengono individuati tenendo conto della seguente casistica:
• notorietà del diffamante;
• carica pubblica / ruolo istituzionale o professionale del diffamato / reputazione del diffamato;
• identificazione univoca del diffamato e sua riconoscibilità;
• risonanza mediatica della notizia / l’ampiezza della sua diffusione nei social network / numero di visite al sito on-line;
• natura e entità delle conseguenze sulla professione e/o sulla vita del diffamato;
• lasso di tempo trascorso tra il fatto e la domanda risarcitoria;
• pubblicazione, o meno, di una rettifica o comunque concessione al diffamato di uno spazio per chiarire le proprie posizioni / rifiuto del diffamato a rilasciare dichiarazioni;
• intensità dell’elemento psicologico, natura della condotta diffamatoria (ad esempio utilizzo di espressioni denigratorie, dequalificanti, turpiloquio, possibile rilievo penale delle espressioni), reiterazione della condotta lesiva;
• mezzo utilizzato per la diffamazione: mass-media tradizionali, social network (anche in combinazione tra loro); diffusione nazionale o locale; diffusione anche (o solo) on-line.
Con riferimento alla concreta liquidazione del danno sempre più spesso vengono applicate le cosiddette “tabelle milanesi”, in riferimento alle quali – sulla base della presenza, o meno, degli indici sopra indicati anche in combinazione e bilanciamento tra loro – le tabelle propongono degli scaglioni risarcitori propongono una diversificazione dei rilevanti risarcimenti in 5 scaglioni:
1) condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 1.000,00 e € 10.000,00 per le diffamazioni di tenue gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:
• limitata / assente notorietà del diffamante;
• tenuità dell’offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento;
• minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio;
• minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria;
• assente risonanza mediatica;
• tenue intensità elemento soggettivo;
• intervento riparatorio / rettifica del convenuto;
2) condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 11.000,00 e € 20.000,00 per le diffamazioni di modesta gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:
• limitata/modesta notorietà del diffamante,
• limitata diffusione del mezzo diffamatorio (1 episodio diffamatorio a diffusione limitata);
• modesto spazio della notizia diffamatoria;
• modesta/assente risonanza mediatica;
• modesta intensità elemento soggettivo;
3) condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 21.000,00 e € 30.000,00 per le diffamazioni di media gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:
• media notorietà del diffamante;
• significativa gravità delle offese attribuite al diffamato sul piano personale e/o professionale;
• uno o più episodi diffamatori;
• media/significativa diffusione del mezzo diffamatorio (diffusione a livello nazionale/significativa diffusione nell’ambiente locale di riferimento);
• eventuale pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale e professionale;
• natura eventuale del dolo;
4) condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 31.000,00 e € 50.000,00 per le diffamazioni di elevata gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:
• elevata notorietà del diffamante;
• uno o più episodi diffamatori di ampia diffusione (diffusione su quotidiano/trasmissione a diffusione nazionale);
• notevole gravità del discredito e eventuale rilevanza penale/disciplinare dei fatti attribuiti al diffamato;
• eventuale utilizzo di espressioni dequalificanti/denigratorie/ingiuriose;
• elevato pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale, professionale e istituzionale;
• risonanza mediatica della notizia diffamatoria;
• elevata intensità elemento soggettivo
5) L’Osservatorio propone una condanna in via equitativa al pagamento di una somma in misura superiore a € 50.000,00 solo per le diffamazioni di eccezionale gravità.
In conclusione, vista l’innegabile e notevole incidenza sulla libertà di stampa di queste discutibilissime “tabelle milanesi” ora diventate praticamente “tabelle nazionali”, viene spontaneo chiedersi: è normale tutto ciò? Quale attinenza possono mai avere queste “tabelle” per determinare il grado di diffamazione e monetizzare il danno con quelle utilizzate dalle assicurazioni per attribuire il grado di invalidità permanente di una persona?
Prima di predisporre queste “tabelle” ci sì è almeno confrontati con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti? Ma perché non se ne è mai parlato neppure in prima serata tv, trattandosi di una questione di primaria importanza che interessa tutti cittadini, e in particolare uomini politici, magistrati, avvocati e giornalisti, compresi direttori di giornali e tg e i mass media, che ne sono i maggiori protagonisti? E che aspetta il Parlamento a riaffrontare l’argomento e a varare finalmente la riforma della diffamazione? (giornalistitalia.it)
Pierluigi Roesler Franz
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L’Ordinanza della Cassazione n. 17738 del 27 giugno 2024
La sentenza della Cassazione n. 862 del 12 gennaio 2023
L’Ordinanza della Cassazione n. 29222 del 12 novembre 2024
Ecco 4 recenti casi concreti esaminati dalla Cassazione civile e penale che hanno dato via libera alla liquidazione del danno morale e relazionale con l’applicazione delle “tabelle milanesi” in tema di risarcimento civile da diffamazione:
L’Ordinanza della Cassazione n. 18217 del 26 giugno 2023
L’Ordinanza della Cassazione n. 3178 del 2 febbraio 2024
La Sentenza della Cassazione n. 17161 del 24 aprile 2024
L’Ordinanza della Cassazione n. 29222 del 12 novembre 2024
Ecco le due più recenti decisioni della Cassazione civile e penale sulla sanzione pecuniaria, prevista dall’art. 12 della legge n. 47 del 1948, in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa:
L’Ordinanza della Cassazione n. 17738 del 27 giugno 2024
richiamando la sua precedente decisione n. 16054 del 29 luglio 2015, ha stabilito che la sanzione pecuniaria, prevista dall’art. 12 della legge n. 47 del 1948, in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, si aggiunge, senza sostituirsi al risarcimento del danno causato dall’illecito diffamatorio, e presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione. Pertanto, non può essere comminata ad una società editrice e può esserlo, invece, al direttore responsabile a condizione, però, che la sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione.
La Sentenza della Cassazione n. n. 862 del 12 gennaio 2023
richiamando le sue precedenti decisioni n. 1188 del 26 ottobre 2001 e n. 44117 del 10 ottobre 2019, ha affermato che «in tema di diffamazione a mezzo stampa non è applicabile l’istituto della riparazione pecuniaria, previsto dall’art. 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, al direttore del giornale che sia dichiarato responsabile del delitto di omesso controllo colposo della pubblicazione ai sensi dell’art. 57 del codice penale, in quanto l’irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce una sanzione civile che consegue al reato di diffamazione, dei cui elementi costitutivi presuppone l’accertamento».
In ogni caso sempre in riferimento alla diffamazione a mezzo stampa la persona offesa dal reato può comunque richiedere, a norma dell’art. 12 della legge n. 47 del 1948, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 codice penale, comprensivo sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, una somma a titolo di riparazione che non rientra nel risarcimento del danno né costituisce una duplicazione delle voci di danno risarcibile, ma integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato. (Cassazione civile n. 29640 del 12 dicembre 2017, n. 14761 del 26 giugno 2007 e n. 12299 del 10 giugno 2005). (giornalistitalia.it)