BIELLA – I centocinquanta chilometri del “Cammino della Gran Madre” finiscono al santuario della Madonna nera di Oropa. Ci sono voluti nove giorni per percorrerlo a Lorenzo Del Boca ed Angelo Moia, l’immancabile compagno di avventura, che hanno dovuto arrampicarsi per dislivelli positivi di 5 mila e rotti metri. Acqua all’arrivo e ombrelli spalancati “ma, del resto, – ci scherza su il presidente emerito dell’Ordine nazionale dei giornalisti – sui 1200 metri di Oropa è più facile trovare pioggia che bel tempo”.
«Il pellegrinaggio – assicura il giornalista e storico – è stato un tuffo alla scoperta di tanti piccoli tesori che la provincia nasconde e che, spesso, anche gli abitanti faticano a distinguere. Per esempio, quanti conoscono la storia di Giacobino Canepaccio che san Carlo Borromeo, andando a Varallo Sesia, volle incontrare perché affascinato dal suo misticismo? Visse nella seconda metà del Quindicesimo secolo, – ecco che lo storico prende il sopravvento – fu proclamato beato e non venne “promosso” santo solo perché non vennero individuate esattamente le sue spoglie mortali che finirono confuse con tante altre in una fossa comune».
«Lui era di Piasca – spiega Del Boca – e i compaesani gli giocarono uno scherzo in seguito al quale precipitò in una buca dalla quale durò fatica per uscire. “Santo” sì, ma non senza carattere. Predisse che il villaggio non avrebbe superato i 100 abitanti e chi ha approfondito la vicenda assicura che il centounesimo cittadino moriva subito».
Lungo il Cammino della Gran Madre, di paesi ce ne sono parecchi. E ognuno con la sua storia. «Vogliamo parlare di Guardabosone? Una cittadella medievale – la descrive il tre volte presidente dell’Odg nazionale – con bastioni che hanno attraversato i secoli e che l’amministrazione comunale si preoccupa di conservare. Il vice sindaco Cesare Locca conosce ogni angolo del paese e quel che più conta è in grado di raccontarlo con sorprendente puntualità».
«Sagliano, invece, è la patria di Pietro Micca – fa notare Del Boca – che è personaggio abbastanza rinomato ma meriterebbe approfondire la conoscenza di Pietro Antonio Serpenteri, autore di sculture in legno di alcune via Crucis davvero preziose. Anche qui, il municipio è impegnato a valorizzare la storia della comunità. Stefano Sartorello, vice sindaco, artista, incisore e “spostatore di casseforti”, è nelle condizioni di raccontare come erano cucite le divise dell’esercito sabaudo del Settecento, com’era strutturata la Cittadella di Torino, quali dinamiche portarono alla guerra con la Francia e come si andò sviluppando il conflitto».
Ogni angolo di questo percorso in cui il giornalista e storico piemontese si è avventurato con il consueto spirito indomito, nasconde suggestioni interessanti: «La madonna di legno del 1200 – racconta Del Boca – conservata nel museo di Postua e quella “dei sette dolori” che, invece, sta nella chiesa. Il quadro comprato dai pastori del santuario della Brughiera. O le meridiane che marcano il tempo con la saggezza dei vecchi: “l’ura d’la pulenta”. In epoche di miseria, la tavola restava spesso vuota e quando ospitava un piatto di polenta era già festa grande».
Non sono mancati, nei brevi momenti di pausa dalla marcia, occasioni in cui a godere è stato il palato: «Grazie a Franca Piga al santuario del Cavalletto, – sorride Del Boca – mentre, in quello di Novareia, Maurizio Scaglia e Ampelia Carli ci hanno fatto trovare biscotti e cioccolatini».
Camminando in vista del traguardo, i pellegrini hanno anche avuto modo di ammirare le pareti delle basiliche, «coperte da ex voto che raccontano i miracoli di cento anni fa e che, in qualche modo, propongono una fotografia sociologica dell’Ottocento: quando la gente si dedicava soprattutto al lavoro dei campi – odore di fieno e di terra matura – dove i pericoli da cui guardarsi erano le cadute dagli alberi, le aggressioni dei lupi e l’acqua dei torrenti in piena».
In particolare, «il cippo del 1884 sta ad indicare: “miglia 6 e due terzi da Biella e 11 e un terzo da Piedicavallo”; il gallo “storto” di Masserano e le formelle di terracotta di Portula. La “Trappa”, invece, – si entusiasma lo storico – a mezza strada fra i santuari di Graglia e di Oropa, è un complesso che, abbandonato per decenni, ha corso il rischio di crollare, disperdendo un patrimonio di memoria. È stato recuperato dai volontari delle cooperativa che hanno saputo utilizzare alcuni finanziamenti europei ma che, soprattutto, non hanno lesinato sull’impegno personale. Non facilissimo ricostruirne il percorso storico». Ma Del Boca, manco a dirlo, lo fa: «La costruzione cominciò a metà del 1700 per iniziativa di Gregorio Ambrosetti, un notabile di Sordevolo e, fin dalle prime battute, prese la fisionomia di un gigantesco abuso edilizio. Il progetto iniziale per edificare una cappelletta “per grazia ricevuta” andò ampliandosi a dismisura. Probabilmente i committenti volevano costruire un monastero per ospitare i frati passionisti ma il municipio dell’epoca contestò e irregolarità per cui, da quel momento, i lavori dei muratori dovettero procedere a rilento e a strappi. Con la rivoluzione francese, alcuni trappisti, cacciati da Parigi, trovarono ospitalità fra questo mura e lasciarono alla “trappa” il segno della loro presenza».
Attenzione, però, perché «solo il pellegrino, con lo zaino in spalla, può apprezzarla per davvero». (giornalistitalia.it)