ROMA – Stanare i serial killer attraverso un software: quello che fino all’altro ieri sembrava fantascienza oggi è realtà, grazie a un giornalista americano, Thomas Hargrove, che ha avuto l’intuizione quasi per caso, analizzando un lunghissimo dossier dell’Fbi per un reportage sul mercato della prostituzione al quale stava lavorando. Il suo metodo ha portato all’arresto di un uomo di Gary, nell’Indiana, colpevole di aver strangolato decine di donne negli anni ’90.
Da anni in pensione, Hargrove ha fatto della lotta al crimine il suo nuovo progetto di vita. Il reporter ha fondato Map (Murder Accountability Project), una sorta di data base open source degli omicidi negli Stati Uniti. Con 638.454 omicidi registrati dal 1980 al 2014 – inclusi 23.219 casi non riportati dall’Fbi, il sito di Hargrove – afferma Bloomberg che ha dedicato un lungo articolo al giornalista – contiene la più completa e dettagliata lista dei delitti degli Stati Uniti, il 35% dei quali risultano ancora senza un colpevole.
Come funziona il software
Aiutato da uno studente dell’Università del Missouri, Hargrove ha “insegnato” al computer ad evidenziare i trend negli omicidi rimasti irrisolti, attraverso le informazioni ottenute grazie al Freedom of Information Act (FOIA).
Nello specifico, riporta “Il Messaggero” che ha raccontato la storia, “il giornalista ha prima scaricato il rapporto dell’Fbi in un software per le statistiche poi ha trascorso dei mesi cercando di sviluppare una soluzione per incrociare i dati riguardanti i casi irrisolti. Poi ha fatto il percorso inverso, testando il suo algoritmo con gli omicidi di un serial killer già noto. A detta sua, scoprì un centinaio di falle, quindi si concentrò solo su alcuni parametri: geografia, sesso, età, metodo”. Bingo.
Gli allarmi (inascoltati) di Hargrove
Per il giornalista riuscire a farsi ascoltare non è stato affatto semplice. L’8 agosto del 2010 il luogotenente di polizia di Gary ricevette un’email. Il mittente era Hargrove – un perfetto sconosciuto per il funzionario – che lo avvisava che nella cittadina dello stato dell’Indiana poteva nascondersi un serial killer.
L’autore spiegava che, dai dati dell’Fbi che aveva analizzato per il suo reportage, aveva notato che negli ultimi anni nella cittadina erano stati commessi 14 omicidi nei confronti di donne tra 20 e i 50 anni. Le vittime erano state tutte strangolate e i singoli casi risultavano ancora irrisolti. Il dato, poi, era superiore alla media nazionale. Il che faceva sorgere solo un sospetto: c’era forse un serial killer a piede libero? Il poliziotto cestinò l’email.
Dodici giorni dopo il giornalista tornò a scrivere al funzionario, aggiungendo altri dettagli: le donne erano state strangolate in casa e, in almeno due casi, il killer aveva incendiato l’abitazione. Nei casi più recenti, invece, l’omicida aveva colpito dentro o in prossimità di edifici abbandonati. Non c’era forse un filo rosso che legava tutti i casi? Il poliziotto non rispose mai all’email.
Quattro anni dopo, una ragazza di 19 anni fu strangolata in un motel. Gli investigatori riuscirono a risalire a un sospettato attraverso le celle telefoniche. L’uomo, Darren Deon Vann, confessò il delitto e l’omicidio di altre decine di donne fin dagli anni ’90.
Il metodo Moneyball nella lotta al crimine
L’intuizione di Hargrave non è del tutto nuova, ma è la prima volta che viene applicata ai delitti. L’incrocio dei dati fu utilizzato la prima volta per studiare le prestazioni degli atleti di baseball. Il fatto fu raccontato Michael Lewis in “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game” sulla squadra di baseball Oakland Athletics e sul loro general manager Billy Beane. Nel 2011 il regista Bennett Miller ha portato la storia sul grande schermo con il film “Moneyball. L’arte di Vincere”, interpretato da Brad Pitt e Johan Hill.
Sugli algoritmi si basa anche “Key Crime”, il software utilizzato dalla polizia italiana che anticipa le rapine individuando gli obiettivi a rischio di una città. Il programma ha ridotto del 57% le rapine a Milano. (agi)