MILANO – «Che cosa vogliamo? Vogliamo un accordo con Google in base al quale il motore di ricerca ci paghi i nostri prodotti editoriali che immette nel suo sistema, condivida i dati degli utenti e ci dia una parte degli incassi pubblicitari che genera grazie ai nostri contenuti». Se i rapporti tra il colosso di Mountain View e gli editori dei giornali sono – diciamo così – dialettici, in tutto il mondo, l’Italia non fa eccezione. E il presidente della Fieg, Maurizio Costa, dopo aver incontrato più volte negli ultimi mesi gli uomini di Google per trattare sugli interessi degli editori di giornali, che rappresenta, adesso vuole stringere. Propone un’intesa basata su quello che definisce un «modello italiano».
Qual è il nocciolo della questione tra voi e Google?
«Google usa gli articoli dei nostri giornali, che contribuiscono al suo business miliardario. Business, tra l’altro, di cui nessuno può conoscere i dati in Italia. Però si stima che abbia un fatturato di circa 1,2 miliardi sul quale paga tasse insignificanti».
Google replica che indicizza gli articoli su Google News, che non è il motore di ricerca e non raccoglie pubblicità. Inoltre dice che grazie al suo servizio i siti dei giornali hanno più accessi e più incassi da pubblicità…
«Questa è una foglia di fico. La verità è che la maggior parte degli articoli viene raggiunta attraverso il motore di ricerca di Google – che in Europa ha un peso spropositato, riguardando oltre il 90% delle ricerche – e che i dati così raccolti servono a profilare in modo dettagliatissimo ogni utente. Ormai Google non vende più solo spazi pubblicitari, ma anche e soprattutto profili di potenziali clienti agli inserzionisti. Tra l’altro con una macroscopica violazione della privacy».
E il modello italiano per trovare un’intesa quale sarebbe?
«Bisogna ovviamente partire da una legge che riconosca il diritto d’autore anche nella sfera digitale, ma su questo il governo ha dimostrato sensibilità. E poi applicarla con un modello economico che sia sostenibile per tutti gli attori, pensando anche a una sorta di arbitrato se non si trova un’intesa».
Un accordo in Francia c’è stato: 60 milioni di euro in tre anni per usare gli articoli dei giornali.
«Formula che non ci piace».
E perché? Se volete i soldi…
«Gli editori non pensano di dover essere “aiutati”, come Google invece ama dire. Preferiscono vedere riconosciuti i loro diritti sugli articoli che vengono indicizzati».
Google però può anche non essere un nemico per i giornali. Otto grandi quotidiani europei, compresa La Stampa, hanno stretto un accordo proprio con il motore di ricerca per sviluppare nuove forme di giornalismo online.
«È vero, ma vedo che anche chi ha firmato questi accordi – come voi – riconosce che le questioni poste dalla Fieg vanno affrontate e risolte».
Ma davvero pensa che il Davide dell’editoria italiana possa vincere contro il Google-Golia che non paga diritti agli editori da nessuna parte? E perché il gigante dovrebbe accettare se così rischia di innescare un effetto-domino in altri Paesi?
«Noi proponiamo una strada che in Italia potrebbe funzionare. E poi la stessa Google mi pare più consapevole di quanto fosse solo sei mesi fa che occorre trovare un punto d’incontro. È anche nel suo interesse. Del resto con la nuova Commissione europea è cambiato radicalmente il clima nei suoi confronti, in Italia le diverse autorità esaminano con attenzione certe anomalie e anche negli Usa la prossima fine del mandato di Barack Obama sta cambiando pesantemente l’atmosfera».
Non solo Google si muove. Già alcuni giornali americani, e presto anche alcuni europei, offriranno i loro articoli direttamente su Facebook.
«Quella di Facebook è un’innovazione significativa, visto che accettano di riconoscere un valore ai contenuti, di condividere i dati, e offrono la possibilità ai giornali di raccogliere pubblicità attraverso la loro piattaforma. Ma anche questo modello va valutato con attenzione».
Alcuni – anche a Bagnaia, dove è in corso un convegno che riunisce editori e grandi società Internet – vi accusano di avere una posizione di retroguardia. La Rete dilaga e voi difendete l’orticello di Gutenberg…
«Io sono invece convinto che la nostra sia una posizione di avanguardia perché vogliamo evitare che venga espropriato il lavoro altrui e difendere una risorsa come la libera informazione e il giornalismo di qualità che è fondamentale per qualsiasi democrazia. Penso anche che chi ci critica confonda il contenitore con il contenuto».
In che senso?
«Oggi i giornali si possono leggere sulla carta, sul telefonino, sul computer o sull’iPad, come faccio io ogni mattina. Insomma ogni mezzo, ogni contenitore, va bene. Ma quello che non si può accettare è che grandi operatori “over the top” come Google usino gratis contenuti altrui per fare affari. Dunque: siamo i primi ad auspicare i progressi tecnologici, ma un’avanzata della tecnologia fatta a spese degli editori di giornali e di chi in quei giornali lavora non è sostenibile». (La Stampa)
Intervista del presidente degli editori a La Stampa: “No all’esproprio del nostro lavoro”